DI GIULIETTO CHIESA
lavocedellevoci.it
Succede che mentre cerchi una cosa ne trovi un’altra. Stavo esaminando i sistemi con cui si e’ costruita la guerra civile in Siria e mi sono imbattuto, quasi per caso, in una storia analoga vecchia di 21 anni.
Un mio giovane amico lituano, Algirdas Palezkis, capo del piccolo Partito Socialista locale, e’ stato incriminato dalla giustizia del suo paese per avere messo in dubbio la veridicita’ della versione ufficiale di un episodio sanguinoso che viene ufficialmente ritenuto fondativo della nuova indipendenza lituana (per inciso: la Lituania e’ oggi membro dell’Unione Europea e della Nato). Tanto fondativa, quella storia, che il solo fatto di rimetterla in discussione, ha implicato l’incriminazione di Palezkis. Si tratta del massacro del 13 gennaio 1991, in cui 14 persone, tra le migliaia di manifestanti che si erano radunati attorno alla torre della televisione di Vilnius, rimasero uccise. Sono andato a rivedere quelle immagini su Youtube. Il primo commento e’ bastardi comunisti!. Infatti l’accusa, per quelle vittime, ricadde immediatamente sulle truppe sovietiche che avevano occupato la torre e la stavano presidiando, appoggiate dai blindati. La folla voleva l’uscita della Lituania dall’Urss e, alla fine, vinse. L’infamia di avere sparato sulla folla disarmata e’ rimasta, da allora, sulle truppe sovietiche.
Le cose non andarono come sono state raccontate. Algirdas Palezkis si e’ limitato a citare le rivelazioni di colui che organizzo’ la provocazione: si chiama Audrius Butkiavicius. Era in quel momento a capo della sicurezza della capitale lituana. In seguito e’ diventato ministro della difesa. Nel 2000 ha rilasciato un’intervista al giornale in lingua russa Obzor. Per averla citata, Palezkis rischia la prigione a Vilnius. Non stiamo facendo un esercizio di ricostruzione storica, stiamo cercando di capire in quale modo si puo’ stravolgere la verita’ e trarre in inganno l’opinione pubblica mondiale.
Ecco alcuni brani dell’intervista. Domanda (la giornalista si chiama Natalia Lopatinskaja): Fu lei a pianificare i morti di quel gennaio? Risposta: Si’… io non posso certo giustificarmi di fronte ai parenti delle vittime, ma davanti alla storia io posso farlo. Voglio aggiungere: quelle vittime inflissero un colpo decisivo alle due principali colonne del potere sovietico, l’esercito e il KGB. Lo dico apertamente, si’ io ho organizzato tutto cio’. Avevo lavorato per lungo tempo nell’Istituto Einstein, con il professor Gene Sharp, che si occupava di quella che allora si chiamava difesa civile. Cioe’ di guerra psicologica. Si’, io pianificai come mettere l’esercito sovietico in una posizione psicologica tale che ogni ufficiale avrebbe dovuto vergognarsi di farne parte. Era appunto una guerra psicologica. Noi sapevamo che, in quel conflitto, noi non avremmo potuto vincere se avessimo fatto uso della forza. Tutto questo ci era chiaro. Per questo io cercai di trasferire lo scontro su un altro piano, quello del confronto psicologico. Posso proprio dire che fui io a vincere, perche’ quei piani di difesa non violenta erano stati predisposti molto tempo prima degli eventi di gennaio.
A uccidere non furono le truppe russe. L’indagine del Cremlino, promossa successivamente da Mikhail Gorbaciov, permise di accertare che i soldati non avevano munizioni nei caricatori e che i carri armati erano dotati di proiettili a salve. Gli assassini furono persone mai identificate, che spararono dai tetti degli edifici circostanti, direttamente sulla folla. Le autopsie condotte sulle vittime (subito fatte sparire nei giorni successivi all’eccidio) dimostravano che erano stati usati fucili da caccia e altre armi non in dotazione all’esercito russo. Butkiavicius aveva organizzato tutto. Adesso e’, ovviamente, in liberta’ a Vilnius e gode di tutti gli onori di liberatore della patria. Neanche l’improvvida intervista ha portato alla sua incriminazione quale organizzatore dell’eccidio dei suoi connazionali.
Ci sono pero’ ancora testimoni viventi, cittadini lituani, che videro da dove provenivano i colpi di arma da fuoco. Ma non sono mai stati interrogati.
Il professor Vytautas Landsbergis, oggi parlamentare europeo, allora presidente del Soviet Supremo della Lituania, disse in quei giorni, che non c’e’ liberta’ senza sangue. Insomma: il fine giustifica i mezzi. Il professore Gene Sharp, che ancora, a quanto pare, dirige l’Istituto Einstein, ha pubblicato un libro tradotto in tutte le lingue del mondo, anche in Italia, con il titolo Come abbattere un regime, e come sottolitolo Manuale di liberazione non violenta.
Puo’ essere orgoglioso del suo allievo Butkiavicius. Le sue teorie, del resto, sono in pieno rigoglio e vengono applicate su larga scala nel nord Africa e nel Medio Oriente. Anche a Tripoli e Bengasi si e’ sparato dai tetti contro i dimostranti, e la colpa e’ stata trasferita su Gheddafi. Che non era un sant’uomo, come sappiamo, ma non per questo aveva fatto mitragliare la folla dai suoi aerei. In Siria si fanno le stesse cose, anche se Bashar Assad e’ figlio di un dittatore e dittatore lui stesso.
Ma noi tutte queste cose non le sappiamo. Ci viene detto che i popoli si sollevano, talvolta. E, infatti, si sollevano. Ma dove s’incamminano – se non hanno una guida migliore – lo decidono i Gene Sharp e i Butkiavicius.
Giulietto Chiesa
Fonte: www.lavocedellevoci.it
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2.03.2012