DI GIANLUCA FREDA
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L’Italia è quel felice paese nel quale se il dito indica la luna, solo lo stolto guarda la luna. L’uomo saggio tiene gli occhi ben puntati sul dito, per scongiurare il rischio di trovarselo infilato dove non desidera mentre è intento a contemplare il firmamento. Così, di fronte alla notizia dell’attesa rivolta dei giornalisti RAI, infuriati per l’imprevedibile rivelazione che la loro azienda non fa né servizio pubblico né informazione, ma solo vassallaggio ai ceti politici (berlusconiani e non) che emergono via via dai liquami della politica, è opportuno trattenere l’istintiva tentazione di stappare lo spumante al grido di “era ora!” e cercare invece di capire quale ennesima fregatura si stia tramando ai nostri danni.
Il fatto è che Repubblica, organo di stampa del Partito Unico dei Vassalli del Nuovo Ordine Mondiale, ha fatto una scoperta incredibile. Pensate: RAI e Mediaset non si facevano concorrenza, come noi tutti credevamo, ma intrallazzavano fra loro, attraverso uomini di fiducia del biscione prestati all’azienda di Stato, per offrire ai teleutenti un prodotto uniforme e in linea con la volontà politica del guitto di passaggio a Palazzo Chigi (Berlusconi, nel caso in esame). Roba da non crederci! Chi l’avrebbe mai detto?
In verità l’avrebbe detto – e infatti l’ha detto – un sacco di gente negli ultimi tredici anni. Per tacere dell’umillimo sottoscritto, parliamo di Gianni Minà, uno che alla RAI aveva lavorato una vita prima di essere defenestrato dal cambio di regime che sconvolse l’Italia all’inizio degli anni ’90. In questo suo vecchio articolo, risalente all’inizio del 2002, Minà fa nomi e cognomi degli uomini Mediaset insediati da Berlusconi nel servizio pubblico all’epoca del suo primo governo e poi tenuti al loro posto anche dai successivi governi dell’Ulivo; segno che fare concorrenza a Mediaset e contrastare Berlusconi non era esattamente una priorità né per la RAI né per gli esecutivi di centrosinistra succedutisi tra il 1996 e il 2001. Repubblica, naturalmente, si guarda bene dal domandarsene il perché. Cito qualche passo dall’articolo:
“Si è arrivati al punto, ad un certo momento, durante il consiglio d’amministrazione presieduto da Zaccaria, di assumere un manager della Fininvest (il dottor Brugola) alla direzione della divisione che amministra Rai 1 e Rai 2 e di mettere in mano della sua assistente, dottoressa Maria Teresa Corvini, tutto l’ufficio casting dell’azienda. Qualunque autore o conduttore di trasmissione doveva passare da lei per avere gli ospiti. La Rai, che aveva proposto fino a qualche tempo prima un modello di funzionario (magari grigio, ma spesso competente), e un modello di artisti o di comunicatori di sicura capacità, ha visto mettere a quel punto da parte i suoi uomini a vantaggio di producer e animatori da villaggio turistico provenienti nella migliore delle ipotesi dalle agenzie di pubblicità. E non solo: ha visto arrivare come protagonisti o ospiti in tutti i programmi gli autori, i presentatori, i comici, i figuranti e le starlet di Mediaset, insomma il personale “in soprannumero” alla televisione commerciale.”.
“Ed allora i fatti mi dicono che, per esempio, durante gli ultimi governi di centro sinistra il direttore di Rai 1, la rete ammiraglia del servizio pubblico radio televisivo era Agostino Saccà, eletto pochi giorni fa direttore generale della nuova Rai del Polo. E poi uno degli assistenti più importanti del direttore generale Celli era l’avvocato Comanducci (attuale direttore amministrativo della divisione che sovrintende a Rai 1 e Rai 2), che durante la presidenza di Letizia Moratti divideva proprio con Saccà l’incarico di curare la segreteria dell’attuale ministro della pubblica istruzione che io, pateticamente, cercavo di incontrare per chiedere ragione della mia esclusione. Ed ancora Clemente Mimun è stato ed è il direttore del Tg2. Per meriti indiscutibili, certo, ma così come le mie, anche le sue idee sono note a tutti. Così come quelle di Vespa, al quale il centro sinistra ha assicurato, fino all’apparizione di “Chiambretti c’è”, un programma “protetto”, cioè che non doveva avere concorrenza nelle altre reti Rai”.
In pratica, Repubblica ha scoperto l’acqua calda con tredici anni di ritardo e per scoprirla ha dovuto pure ricorrere alle immancabili intercettazioni telefoniche. Intercettazioni che rappresentano la materia prima di tutte le sue umide e tardive scoperte, senza che nessuno si domandi da dove provenga e da cosa sia giustificato questo rapporto privilegiato del noto organo di partito con il Grande Orecchio che origlia e registra ogni nostra conversazione telefonica, mettendola poi da parte per future evenienze e futuri scoop.
L’articolo di Minà sorvola su una questione che il lettore attento riuscirà comunque a leggere tra le righe. E cioè: per quale motivo i governi di centrosinistra non hanno epurato, e anzi hanno in ogni modo favorito, l’avvento di infiltrati del loro presunto “nemico politico” nelle fila della TV di Stato? La domanda ha una semplicissima risposta, a patto che si smetta di guardare la situazione dell’informazione italiana immaginando inesistenti rivalità politiche e conflitti ideologici di cui non c’è traccia. Il fatto è che nella prima metà degli anni ’90 la TV italiana ha subito un processo radicale di omologazione, imbarbarimento e collasso di libertà d’espressione che è servito ad attuare la completa decerebrazione dell’opinione pubblica. Questa decerebrazione era necessaria per preparare il terreno alla perdita di sovranità del nostro paese a vantaggio di poteri sovranazionali (e di tutti i disastri che ne sono seguiti) eliminando il rischio che opinionisti incontrollabili mettessero a repentaglio l’intera operazione. In questo processo di omologazione, l’infiltrazione di dirigenti Mediaset in una televisione pubblica lottizzata, sì, dai tanti partiti, ma proprio per questo connotata da un suo peculiare “pluralismo”, capitava a fagiolo. Personaggi come il dottor Brugola e la Maria Teresa Corvini, di cui parla Minà, sono serviti ad appiattire sugli immondi standard dei network americani – che hanno avuto nelle reti Mediaset il loro “cavallo di Troia” per la penetrazione all’interno del nostro paese – una TV di Stato che, con tutti i suoi limiti, rappresentava pur sempre una preoccupante anomalia nell’uniformità monolitica dell’informazione e della percezione della realtà di cui ogni regime ha bisogno. Gli uomini Mediaset hanno imposto alla RAI la loro insipida ricetta americana: telegiornali fatti di cronaca rosa e nera, calcio, canzonette, dichiarazioni insulse di politici insulsi su questioni insulse; devastazione della capacità di parola e di pensiero della maggioranza della popolazione ottenuta con trasmissioni di uno squallore e di una degradazione umana indescrivibili; asservimento agli investimenti degli sponsor pubblicitari, che rendono facilmente ricattabile qualunque direttore che si metta in testa di discostarsi dall’ortodossia; terrore diffuso a piene mani con trasmissioni che mettono senza tregua sotto i riflettori stragi, omicidi, sordidi eventi di cronaca nera, incerte e remote azioni di un incerto e remoto “terrorismo”. Si diffonde volutamente la paura nell’opinione pubblica, perché la paura rende immobili, giustifica la soppressione dei diritti, nasconde gli enormi problemi di una nazione e dei suoi cittadini dietro il ruggito di qualche mostriciattolo raccattato dove capita o inventato di sana pianta.
Questa “reductio ad unum” della molteplicità dell’intrattenimento e dell’informazione è stata attuata grazie al trapianto di cellule berlusconiane infette (gli uomini Mediaset, portatori non sani di omologazione culturale) in un corpo “sano” (quello della TV di Stato, che aveva svenduto ai partiti il proprio onore, ma non il proprio carattere peculiare). E grazie anche alla complicità del centrosinistra, a cui i poteri d’oltreoceano hanno garantito la titolarità vitalizia del feudo italiano a condizione che eseguissero senza fiatare i progetti di devastazione economica, territoriale e culturale imposti dall’imperatore. Se Prodi, D’Alema, Ciampi, Amato non hanno mosso un dito per fermare l’invasione berlusconiana della RAI, è solo perché l’invasione era parte del contratto che avevano firmato con chi li aveva trasformati da reietti di un comunismo in rovina in padroni assoluti di un feudo da depredare a piacimento. Berlusconi, sciocco, avido, incolto e incapace di comprendere qualunque programma che esuli dalla mera acquisizione di ricchezze e potere personali, si è prestato inconsapevolmente alla realizzazione dello schema, senza vederne i contorni né curarsene. Ogni rivolta dei giornalisti RAI che prescinda da questo scenario, limitandosi a scandalizzarsi della riprova di cose già risapute, è puro teatro e desiderio di vendetta privata.
Ora che l’opera di appiattimento culturale è compiuta, Berlusconi non serve più. Il segnale per il suo linciaggio è stato dato. I suoi ex alleati lo hanno sconfessato e maledetto. Il centrosinistra ha avuto il via libera per liberarsi di ciò che resta di lui. Repubblica ha dato la stura all’ennesima “rivelazione” di ciò che era già stato rivelato da un pezzo, montando il caso sul suo mezzo chilo di cartaccia giornaliero. I giornalisti della RAI e le loro futili e tardive proteste servono, se dotati della giusta cassa da risonanza, ad amplificare le grida che sono il segnale convenuto di ogni linciaggio di buon livello. Gli ultimi spasmi d’agonia dell’uomo di Arcore, con il suo Partito del Popolo fondato in mezz’ora con la forza della disperazione, sono imbarazzanti e orribili a vedersi. Sotto il lampione che attende di sostenere il peso dondolante della sua carcassa, Montezemolo e i suoi armigeri sono già in posizione per colmare il grande vuoto. Il circo berlusconiano, ignobile e repellente quanto si vuole, sta per essere sostituito da un grande centro senza colore che sarà il completamento della macchina normalizzante progettata quindici anni fa, alla cui realizzazione Berlusconi ha fornito un immenso contributo e sotto i cui cingoli sta per restare schiacciato. Sarà un centro senza niente intorno, senza estremità da cui distinguersi, che prenderà il posto dei frizzi e dei lazzi dell’ultimo pagliaccio che abbia trovato asilo nella politica italiana. Se pensate che niente al mondo possa essere peggio di una politica dominata da un pagliaccio, allora non siete mai stati in un cimitero.
Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
25.11.07