COME DEVO INVESTIRE I MIEI SOLDI ?

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IL MONDO NUOVO DI BLACKROCK E LA TERZA ONDATA DELLA CRISI

DI GAETANO COLONNA
clarissa.it

Sarà capitato anche a voi in questi giorni di trovare sui maggiori quotidiani italiani delle pagine intere con un annuncio pubblicitario intitolato “è un mondo nuovo”. È una gigantesca, e assai costosa, campagna di Blackrock, uno dei master of the universe della speculazione finanziaria, come sa chi ci ha letto sulle pagine di clarissa.it (1).
“Come devo investire i miei soldi?”, si domanda al posto vostro Blackrock. E parla di un mondo nuovo, appunto, in realtà ormai ben noto: quello per il quale “anche la liquidità ha dei costi”, per cui conviene dare ascolto alla propria “propensione al rischio” e investire in fonti di rendita diversi dalle obbligazioni governative oggi a basso rendimento; occorre “valutare gli investimenti non tradizionali”, come quelli “nelle materie prime e nei prodotti a rendimento assoluto” o come gli ETF, uno dei ritrovati della speculazione, che scommettono su indici azionari o obbligazionari.Infatti, “l’innalzamento della speranza di vita significa che i risparmi dovranno durare più a lungo rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto”, per cui, si noti, è bene “continuare ad essere esposti a mercati rischiosi, come ad esempio quelli azionari, anche una volta in pensione”.

Il livello della speculazione finanziaria mondiale è risalita fino a tornare ai livelli prima della “prima ondata”, quella dei mutui subprime del 2007-2008, per intendersi. Il comunicato della Blackrock è il segno che la lezione non è bastata. Siamo infatti di nuovo a circa un milione di miliardi di dollari l’anno, rispetto ad un prodotto mondiale lordo intorno ai settanta mila miliardi di dollari – il che vuol dire un’economia virtuale che vale quasi 15 volte l’economia reale e con tale peso gigantesco gli si sovrappone, dirigendola e condizionandola. Dietro questo rapporto c’è, intatta, la bolla speculativa sul cui valore effettivo gli esperti si interrogano da oramai un quinquennio e che prima o poi dovrà venire a galla.

La “seconda ondata”, quella dell’attacco speculativo ai titoli di Stato europei nel 2011, vorremmo tutti che fosse passata. In questi giorni la stampa ci vuole persuadere che il peggio è passato, la UE si è grosso modo accordata, lo spread è rientrato nei limiti, la Grecia ha forse raggiunto un accordo con i suoi creditori dell’alta finanza mondiale. Vorremmo tutti che fosse così, vorremmo credere a queste sirene ottimistiche che devono incantarci per rassicurarci.
Ma sappiamo che non è così, e dobbiamo dunque dirlo chiaramente.

La Federal Reserve americana (2) e la BCE europea non hanno fatto altro in questi anni che guadagnare tempo per evitare il crollo delle grandi banche, dei grandi investitori istituzionali, dei cosiddetti “conglomerati” della finanza – quelli, in breve, che operano controllando banche, pacchetti azionari delle grandi multinazionali, dei grandi servizi finanziari come quelli assicurativi e dei fondi pensione. Hanno iniettato nel sistema della circolazione finanziaria migliaia di miliardi di dollari e di euro, a tassi stracciati, ottenendo in cambio in garanzia titoli sulla cui affidabilità i dubbi sono molti, in quanto molti di essi stanno proprio dentro la bolla speculativa di cui abbiamo parlato. Queste iniezioni di liquidità non sono affatto destinate, come abbiamo già spiegato (3), ad aumentare la circolazione del denaro, il credito e gli investimenti nel sistema produttivo: sono in realtà destinati a rallentare per almeno un triennio il venire a galla della bolla speculativa, ossia l’affiorare di titoli che non valgono più nulla e le relative perdite annidate nei bilanci delle maggiori aziende mondiali.

Si tratta di una disperata corsa contro il tempo: in questo triennio si spera infatti che le misure di spaventoso rigore che si sono adottate contro i cittadini americani ed europei riescano a drenare ulteriori risorse per il sistema finanziario globale, passando attraverso le finanze pubbliche, in questo caso – in maniera da dare il tempo alle banche di accumulare nuove risorse con cui alimentare il circolo vizioso avviatosi da un paio di decenni. L’annuncio della Blackrock è sulla stessa linea, rivolgendosi ai risparmiatori: “credete ancora in noi, dateci ancora i vostri soldi”, altro che mondo nuovo!
Il problema di fondo è che la crisi è strutturale, per ragioni che si possono descrivere abbastanza rapidamente. Il capitalismo occidentale non ha più i livelli di investimento e di produttività che ne hanno rappresentato la forza propulsiva per circa una settantina d’anni, dagli anni Novanta del XIX secolo agli anni Sessanta del XX, grazie anche a due guerre mondiali, che hanno favorito la “distruzione creativa” di cui il sistema necessitava.

A questo calo fisiologico, legato fra l’altro al fatto che le società post-industriali sono ormai focalizzate per il 70% almeno del proprio prodotto interno lordo sui servizi, notoriamente assai meno produttivi del settore primario e di quello industriale – si aggiunge un continuo invecchiamento della popolazione, con i ben noti effetti sul costo complessivo della vita sociale. Nel frattempo, l’enorme fame di energia di un sistema che presuppone uno sviluppo infinito ha instaurato un circolo vizioso fra consumo di energia, costo delle materie prime agricole (cibo) e distruzione delle risorse primarie terrestri (aria, acqua, suolo) – con costi enormi che cominciano ad essere considerati solo da una ventina d’anni. Il modello del capitalismo occidentale ha dunque trovato con la mondializzazione i propri inevitabili limiti materiali: di capacità produttiva, di risorse materiali e di tecnologia. Per tacere del sistema di vita che impone all’essere umano, delle ineguaglianze e dello sfruttamento che genera ed alimenta.

Nemmeno l’innovazione introdotta dalle tecnologie web ha modificato di una virgola la questione: il capitalismo del web non è altro che un sistema marketing in grado di raggiungere numeri enormi di utenti in tempi istantanei, ma è solo una straordinaria manifestazione di capacità di promozione e, assai meno, di vendita. Non è certo in grado di accrescere la produttività globale o di generare nuovi prodotti o nuove capacità industriali. È l’estrema propaggine della affluent society degli anni Sessanta: iper-tecnologizzato e mondializzato quanto vogliamo, rimane un puro strumento consumistico.

I dati di fondo della crisi non sono dunque cambiati. Il funzionamento del sistema non ha subito modifiche, per cui la speculazione finanziaria resta l’ultimo motore marciante: lo dimostra il fatto che nulla è stato fatto in questo drammatico quinquennio in tema di regolamentazione dell’enorme mercato over the counter, quello per capirsi degli strumenti speculativi più pericolosi e spregiudicati; nulla si è fatto per regolamentare i sistemi di rating, che continuano ad avere un potere sovraordinato a quello degli Stati, senza alcuna fonte di legittimazione democraticamente riconosciuta; nulla si è fatto nemmeno, nonostante i ripetuti annunci, in tema di tassazione della speculazione, nelle varie forme ipotizzate di Tobin tax e simili.

Questa sconcertante inerzia su di un punto focale della crisi, ha confermato che l’intreccio, anch’esso oramai sistemico, fra potere economico e politica determina la soggezione dei sistemi di democrazia parlamentare occidentale alle grandi istituzioni finanziarie: i costi della politica, l’inefficienza degli Stati nazione contemporanei, tutto facilita la rude presa di quelle istituzioni sugli uomini degli apparati di partito e sulle burocrazie amministrative dei grandi Paesi industriali, fino ai livelli di regioni, province e comuni. La perdita del senso di comunità nazionale, di idealità patria, ha lasciato il varco a un controllo oramai diretto delle tecnocrazie espressione di quegli interessi finanziari sui governi nazionali, come dimostrato da ultimo dal caso della Grecia e dell’Italia. Ma le elezioni in corso negli Usa, da questo punto di vista, saranno non meno istruttive, se si guarda ai finanziamenti
dei candidati in corsa.

La prima ondata (2007-2008) è dunque passata, portando povertà e disoccupazione negli Usa ed allargandosi all’Europa. La seconda (2011) ha colpito qui durissimamente anche il cosiddetto “capitalismo sociale di mercato”, con effetti profondi su milioni di cittadini europei, effetti di cui cominceremo ad accorgerci nei prossimi mesi. Se, come crediamo, i provvedimenti fin qui adottati servono a guadagnare tempo e non hanno toccato i dati di fondo per come li abbiamo sintetizzati – dobbiamo allora attenderci, in un arco di tempo assai breve, l’inevitabile terza ondata. Riteniamo che questa sarà a quel punto più grave delle precedenti, perché dovremo fare i conti con l’affiorare effettivo della bolla speculativa che si continua a cercare di mascherare, per non porre il sistema dell’alta finanza internazionale con le spalle al muro: questo significherà portare allo scoperto le perdite sottostanti, il che vuol dire distruzione di ricchezza virtuale e riconduzione ai dati produttivi reali di un sistema in crisi strutturale.
In poche parole, vuol dire “vedere” le carte delle speculazione in questa gigantesca partita a poker mondiale.

A quel punto sarà in gioco l’economia reale: vale a dire gli interessi quotidiani delle persone, rapportati all’arco temporale della vita di un essere umano – non più a quello, virtualmente infinito, delle banche e degli Stati. Su questo punto, nessuna delle misure adottate in questi mesi ha nemmeno sfiorato la questione di fondo: essa è centrata sul lavoro umano, sul suo valore, diverso da quello di pura merce, nell’organizzazione sociale, nel suo rapporto con l’economia da una parte e con il diritto dall’altra. Da qui si dovrà muovere ad una considerazione diversa dell’organismo sociale nel suo complesso, e si dovrà di conseguenza por mano realisticamente alla questione della moneta, dato che il suo modo di essere concepita si presta ad essere strumento per eccellenza della speculazione.

Questa è dunque la nuova questione sociale che la terza ondata porrà poderosamente all’ordine del giorno, come già avvenne alla fine dell’Ottocento, e lo farà su dimensioni talmente estese da evidenziare in modo immediato l’insufficienza degli attuali uomini di potere, dei tecnocrati, delle classi dirigenti dei partiti, degli intellettuali prodotti dalle nostre università.
Per il manifestarsi di una simile questione sociale occorre, con umiltà ma anche con decisione e con consapevolezza, attrezzarsi, vivendo nell’economia reale, cercando di ritrarne un quadro vivo ed efficace, raccogliendo uomini ed idee nuove, suscitando soprattutto forze morali senza le quali nessuna economia così come nessuna organizzazione sociale può pensare di affrontare il proprio avvenire.
È tardi, ma potrebbe ancora non essere troppo tardi.

Gaetano Colonna
Fonte: www.clarissa.it
Link: http://www.clarissa.it/ultimora_nuovo_int.php?id=156
11.03.2012

(1) http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=301
(2) http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=302
(3) http://www.clarissa.it/editoriale_ult_int2.php?id=156&numero=85

 

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