DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com
Nella situazione attuale non è che ci siano molte strade, ma principalmente ve ne sono due.
La prima, quella più affollata e percorsa da quasi tutti, e che risponde a un ragionamento grossomodo come questo: non ho idea di quello che sta succedendo, o se qualche idea la ho è talmente brutta e catastrofica che non riesco neanche a immaginare cosa potrà accadere, dunque preferisco (consciamente o meno) rimuoverla dalle possibilità e sperare che tutto, o prima o poi, si sistemi. E che si possa tornare se non altro a come si stava prima della crisi.
La seconda, certamente più ardua: non ho idea di quello che accadrà ma certamente – certamente – la situazione è destinata a peggiorare, ergo è il caso che tenti di reagire, di ipotizzare almeno una strategia, e quanto meno iniziare a percorrerla.
Inutile specificare quale strada sia più opportuno scegliere, almeno per quanto ci riguarda. Per chi ancora è al bivio, e semplicemente attende, forse vale la pena riflettere – almeno – su un punto. Anzi due. Intanto, rimanere fermi e attendere non mette affatto al riparo da quanto accadrà: ci si farà semplicemente travolgere dagli eventi, e se si sarà in grado, si proverà a resistere. È una possibilità, beninteso. Ma non ci sentiamo di utilizzarla: l’uomo è agente della storia, o quanto meno ha il dovere morale di provare ad esserlo. Secondo de Benoist l’uomo è la storia in azione. Si può essere comparse. O si può tentare di incidere, di partecipare a ciò che accade. A nostro avviso non è questo il tempo della stasi. Questo è il tempo dell’azione.
In secondo luogo, imboccare la via della speranza equivale a desistere, perché dopo la speranza c’è solo la disperazione. Pensare che quello che ci raccontano i media e i vari embedded del sistema sia la cosa giusta, visto semplicemente a cosa ci hanno portato quando per decenni ci hanno comunicato che quella che stavamo percorrendo era l’unica strada possibile e soprattutto la migliore, è un po’ come dare le chiavi di casa propria a un criminale reo confesso. Ed è, in ultima analisi, un atto di fede. Si capisce subito che ipotizzare il nostro futuro su un atto di fede appare quanto meno ridicolo.
L’altra possibilità, quella di imboccare la strada differente e meno battuta, è quella che espone alla derisione e al pubblico ludibrio. Ai margini, a un percorso borderline. Buon segno: di questi tempi, essere “altro”, decidere anche solo di percorrere strade alternative significa essere quanto meno su un piano differente dalla massa. Il che non è affatto poco, anche se molto difficile da realizzare.
Eppure secondo noi è esattamente questo ciò che si deve fare. Appare ormai evidente che dal punto di vista della comunicazione, noi per primi che ne facciamo una professione, al momento il nostro fallimento è totale: i più non hanno la benché minima idea del macello al quale ci stanno conducendo. E il fatto di aver lottato sino a ora contro i colossi della manipolazione e urlato ai mulini a vento insieme a qualche sancho panza, non ci deve esimere dal fare una auto-analisi spietata della situazione: il più delle volte siamo in difficoltà anche nel far capire a chi ci è più vicino che è realmente il caso di agire – agire! – in modo differente rispetto a come fanno quasi tutti gli altri. E nel continuare a dirlo e a ripeterlo, non fosse che per la comunità che abbiamo creato intorno a questo progetto e ad altre piccole e parallele sparse qui o là nel mondo, ci sentiamo veramente molto soli.
Ma questo non è un buon motivo per deporre le armi. Abbiamo due possibilità: accettare quello che sta accadendo o reagire. Desistere ci ripugna, ma ora è veramente il caso – stavolta davvero la fretta si fa sentire anche dalle nostre parti, oltre che sui mercati – oltre che continuare a diffondere queste idee non conformi e queste analisi e chiavi di lettura altre rispetto alla vulgata generale, di scendere nella pratica quotidiana, nel pratico.
Anni addietro, su queste stesse pagine, scrivevamo, in tempi non sospetti e tra la derisione di qualcuno, che era il caso di cercare di estinguere tutti i debiti monetari che si aveva contratto, anche facendo scelte dolorose – rinunciare a una casa grande e prenderne una più piccola pur di averla libera da ipoteche – e di evitare nella maniera più assoluta di continuare a comperare a debito, ovvero di continuare a vivere secondo il modello di sviluppo nel quale siamo pur cresciuti. Cosa difficile da fare, eppure indispensabile se si era capita la situazione già allora.
A che punto siamo? A che punto siete? Avete provato a farlo oppure siete caduti ancora nel tranello delle comode rate per cambiare automobile, per un elettrodomestico nuovo oppure per una vacanza di sette giorni all inclusive?
Meglio per chi avrà avuto il coraggio e la possibilità di seguire il consiglio. Molti altri adesso potranno solo guardare la crisi meglio, in 3D, tanto per intenderci. E almeno sino a quando non verranno a pignorargli i mobili, se nel frattempo non saranno stati già mandati fuori di casa.
Ma ora c’è bisogno di fare ancora uno sforzo, intellettivo e pratico. Si deve categoricamente cercare di decolonizzare il proprio immaginario (ah, beato chi ha letto Latouche e Massimo Fini e qualche altro già da diversi anni e chi legge Maurizio Pallante ai giorni nostri) e si deve cercare di imparare a distinguere, a scegliere, a rinunciare. A fare cose che non si pensava di dover imparare nel corso della propria vita.
Iniziamo con l’indicare alcuni criteri e un ragionamento di partenza, e le prossime volte entreremo nei dettagli caso per caso, cosa per cosa.
Il ragionamento è molto semplice: andiamo incontro a un lungo – permanente? – tempo in cui vi sarà meno denaro a disposizione, meno potere d’acquisto, e meno servizi erogati dallo Stato. Per ora e per la vecchiaia: nessuno pensa, almeno tra le generazioni più giovani, che realmente arriveremo a percepire pensione, vero? La moneta è in mano di criminali. Le leggi che ci impongono anche. E lo stato sociale è in via di deterioramento rapido e drastico così come il mondo del lavoro per come lo abbiamo vissuto sino a ora, ovvero per lo più nel settore del commercio e del terziario e in quello dei servizi. Insomma potremo comperare meno cose. Meno merci. Ciò significa che saremo più poveri economicamente, ma non necessariamente che lo saremo in tutto e per tutto. A patto di cambiare le nostre abitudini e il modo di vivere.
Sintesi: meno denaro, meno merce da poter comperare; meno stato, meno servizi sui quali poter contare.
Come possiamo tentare di cavarcela in questo mondo così diverso da quello al quale siamo abituati?
I criteri sui quali ragionare, dunque, sono i seguenti. Il primo: è veramente necessario tutto quello che comperiamo sino a ora oppure possiamo farne a meno o possiamo procurarci in modo differente ciò che ci serve? Il secondo: cosa realmente ci serve? E più precisamente: quanto di quello che già abbiamo, ovvero che abbiamo accumulato in anni di consumismo, necessita di essere realmente aumentato ulteriormente?
E infine: iniziamo a pensare ai beni, non solo alle merci, e soprattutto al loro valore d’uso.
Importante: il reale valore d’uso.
Oggi, pur potendo scegliere, è più utile comperare una automobile usata oppure quattro biciclette per la famiglia?
La prossima volta faremo una lista. Utilizzando rigorosamente questi criteri. E non mancheranno sorprese, anche piacevoli, per fortuna. Potremo addirittura scoprirci non così poveri alla fine, anzi. A patto che si abbia il coraggio e la forza di scegliere i sentieri meno battuti. Del resto, o prima o poi, e ormai molto presto, è la strada sulla quale dovranno andare quasi tutti.
Vale la pena sceglierla, magari in anticipo, invece di subirla.
Valerio Lo Monaco
www.ilribelle.com
15.12.2011
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