DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
Ora che il rapporto di 2500 scienziati dell’Onu ha documentato che sono in corso vasti cambiamenti climatici, dovuti a un aumento generale della temperatura provocato dalle attività dell’uomo, dalla iperproduzione, dalle colossali emissioni di gas che vengono dalle industrie e dai loro prodotti, e che se non si cambierà registro si va incontro oltre ai danni già in atto, a varie catastrofi a piacere, dalla riduzione dei ghiacciai, all’innalzamento dei mari, alla sommersione delle terre, alla desertificazione di altre, nessuno, credo, può più negare che il problema esiste e che l’«effetto serra» è un’invenzione dei soliti apocalittici.
E infatti, di fronte all’evidenza, nessuno più lo nega. Ma i rimedi proposti sono i soliti: «fonti di energia pulite, «rinnovabili», tecnologie ancor più sofisticate per poter avere uno «sviluppo sostenibile».Non esiste nessun «Sviluppo sostenibile». Lo sviluppo è già insostenibile. E ogni suo ulteriore incremento comunque ottenuto, al posto della decrescita, porta ancor più velocemente alla catastrofe ecologica. È illusorio pensare di salvare capra e cavoli, lo Sviluppo e l’ambiente, con il ricorso a fonti di energia «alternative». Qualsiasi fonte di energia usata in modo massivo è inquinante. Se al posto del petrolio e dei combustibili fossili si userà l’idrogeno, tanto caro al tecnologica Sonn Rifkin, si alleggerirà l’ecosistema in un punto ma lo si appesantirà in qualche altro. Senza contare che la conversione di un fonte di energia in un’altra vuole tutta una serie di adattamenti sistemici che non possono esser ottenuti che usando altra energia. Cosicché se nel particolare si ottiene, poniamo, la riduzione dell’inquinamento da due a uno, a livello sistemico lo si quadruplica. E invece di risolvere il problema lo si aggrava.
«La tecnologia» mi ha detto una volta il filosofo della Scienza Paolo Rossi «per ogni problema che risolve ne apre altri dieci ancor più complessi con un effetto moltiplicatore».Questi si sono semplicemente dimenticati dell’entropia, della seconda legge della termodinamica che Carnot enuncia nel 1824 a proposito dei flussi di calore delle macchine a vapore e che nel 1860 il fisico tedesco Clausius estese alla produzione di tutte le forme di energia.Tutto ciò perché in Occidente non ci si vuole, o non si può, rassegnare a una società in cui lo sviluppo, la produzione di beni, il consumo, l’economia, il Pil non siano in costante crescita. E invece l’unica soluzione, se non vogliamo uccidere l’ecosistema che ci ha dato e ci dà la vita, è la decrescita: della produzione, dei consumi, dell’economia. Noi dobbiamo ridurre drasticamente i nostri livelli di vita, anche perché il cosiddetto benessere – andando qui oltre la questione dell’inquinamento che è la più evidente, la più immediatamente percepibile da chiunque, ma non è nemmeno la più importante – si è rivelato uno straordinario malessere esistenziale. Ovunque. In Cina da quando è iniziato il «boom» economico il suicidio è diventato la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. In Europa i suicidi sono decuplicati dall’era preindustriale a oggi. Vorrà pur dir qualcosa. O no?
Il presidente della Banca Mondiale Paul Wolfowitz (davvero un bel soggettino, uno dei teocon più scatenati che ha fortissimamente voluto la guerra all’Iraq), commentando il rapporto degli scienziati Onu lamenta: «È triste constatare che oltre un milione di persone in varie parti del mondo sopravvivono a fatica, con un reddito inferiore a un dollaro al giorno. Ancor più numerosi sono gli esseri umani che non hanno accesso all’elettricità nelle zone rurali dei Paesi «in via di sviluppo». A parte il fatto che nelle economie di sussistenza, cioè di autoproduzione e di autoconsumo, si può fare a mano anche di un dollaro, al giorno o all’anno, Wolfowitz non sembra rendersi conto della contraddizione: se in quei luoghi arrivasse l’elettricità, se arrivassero i dollari, se i «Paesi in via di Sviluppo» si sviluppassero come noi il pianeta crollerebbe sotto il suo proprio peso. Se ottocento milioni di cretini industrializzati hanno mezzo a rischio l’ecosistema, sei miliardi lo distruggerebbero all’istante.Bisogna che gli abitanti dei Paesi industrializzati riducano i loro livelli di vita, abbassino la cresta e le loro folli pretese di crescita infinita su cui è basato il modello economico e sociale occidentale (le crescite esponenziali esistono in matematica, non in natura), solo allora, forse, potranno convincere i Paesi che chiamiamo del Terzo Mondo a fermarsi al punto in cui sono o, meglio, ancora, a ritornare ai loro modi di esistenza tradizionali in cui vivevano più serenamente e umanamente, prima che noi li trasformassimo in «Paesi in via di Sviluppo» (espressione che assume oggi connotati più sinistri che mai) perché, per alimentare la nostra crescita, abbiamo un assoluto e assassino bisogno, oltre che delle loro fonti di energia, dei loro mercati.Non so chi abbia messo in testa all’uomo occidentale (dimentico di tutto, della sua cultura di base, quella greca, di Eraclito e persino della fisica moderna) che la crescita sia un bene in sè. Anche il tumore è una crescita. Di cellule impazzite. Qui a far la parte delle «cellule impazzite» è l’uomo che è diventato il tumore della Terra e di se stesso.
Massimo Fini
Fonte: http://gazzettino.quinordest.it
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10.04.2007