DI RICCARDO ACHILLI
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Come noto, la Ue ha erogato 10 miliardi di aiuti per risanare l’economia cipriota, affetta da squilibri
finanziari in pericolosa crescita (il rapporto fra deficit e PIL è del 6,3% nel 2011, ed accelera notevolmente un rapporto debito pubblico/PIL ancora solido,
pari all’84% a settembre 2012, che però con i 10 miliardi di aiuti balzerà a
più del 100% in un colpo solo) ma soprattutto da un sistema bancario indebolito
dalla forte esposizione con Paesi in crisi come la Grecia, che ha risentito dei
vari haircut che il governo greco ha dovuto imporre ai propri creditori esteri,
e dal fortissimo, e sempre meno solvibile, debito privato dei residenti.
La situazione del sistema bancario cipriota è in effetti in bilico, seppur ancora equilibrata: a fronte di 58,8 miliardi di capitale e riserve, e di 107,2 miliardi di depositi, le banche dell’isola hanno in essere 104,1 miliardi di prestiti, 1,7 miliardi di debiti obbligazionari e 37,4 miliardi di altri debiti. Le banche cipriote detengono in pancia 12,5 miliardi di titoli, dei quali 1,4 sono pericolosissimi titoli del debito pubblico greco, praticamente spazzatura, cui vanno aggiunti 2,2 miliardi di prestiti a soggetti non finanziari greci (essenzialmente imprese) di difficilissima recuperabilità, che vanno ad aggiungersi alle perdite già subite sulla Grecia da parte delle banche di Cipro. Di conseguenza, il rapporto fra capitale, riserve e depositi, da un lato, ed impieghi, debiti di vario genere e titoli-spazzatura detenuti, dall’altro, è quasi di 1 a 1 (1,15), un valore ancora equilibrato ma che segnala comunque alcune tensioni.
Circa 3,6 miliardi di attività nei confronti della Grecia possono già considerarsi sofferenze [1].
I 5 più importanti affidati del sistema bancario cipriota, nel 2011, detengono
il 61,5% del totale del credito erogato, a fronte, ad esempio, del 39,5% in
Italia o del 48,3% in Francia, o ancora del 44,1% in Gran Bretagna. Ciò significa
che se anche solo uno di questi 5 grandi affidati fallisce, il sistema
creditizio cipriota fa la fine dell’omerica Troia.
Di fronte a tale situazione, vi è un debito privato elevatissimo: il debito delle famiglie cipriote è pari al 170,9% del reddito disponibile lordo, a fronte di una media del 99,8% per l’area-euro
nel suo insieme; il debito delle imprese non finanziarie è pari al 156% del
PIL, a fronte del 103,8% della media dell’area-euro. Questa condizione di
elevatissimo debito privato, in una fase in cui l’economia decelera, per cui il
PIL nazionale è in costante diminuzione da giugno 2011 ad oggi, e nel 2012 ha
accusato un calo, in termini reali, del 3,3%, è una vera e propria bomba ad
orologeria per il sistema bancario dell’isola, perché, non generandosi risorse
aggiuntive per ripagare il debito, l’elevatissima esposizione di famiglie ed imprese rischia di tradursi in una catena di insolvenze tale da mettere in ginocchio l’intero sistema.
Di fronte a questa situazione delicatissima, cosa fa la Ue? Chiede di attuare un prelievo forzoso sui depositi bancari! Una medicina che finirà di uccidere il malato, anziché risanarlo. E qui la questione di essere favorevoli o meno ad una imposizione patrimoniale non ha niente a che vedere. Qui il punto fondamentale è vedere se, nella specifica situazione, il rimedio imposto può guarire il male, o se viceversa lo peggiora.
Il prelievo sui depositi, infatti, peggiora il già delicato rapporto fra disponibilità ed erogazioni, ed aumenta il rischio di insolvenza di numerosi piccoli affidati nazionali, che utilizzano i loro
risparmi bancari per coprire mutui e prestiti ottenuti. Nel medio periodo,
poiché furbate come l’attuazione del prelievo forzoso in una giornata di
festività nazionale ed a banche chiuse non possono durare a lungo, ed i
controlli amministrativi sulle uscite di capitale non possono bloccare del
tutto le fughe, ma soprattutto poiché peggiorerà l’affidabilità delle banche
cipriote nei confronti di quei grandi investitori (soprattutto russi) che
depositano grandi somme sfruttando una fiscalità particolarmente vantaggiosa e
condizioni bancarie favorevoli, ci potrà essere una erosione dei depositi, ed
una fuga di capitali, tale da distruggere il sistema bancario cipriota, e più
in generale il modello economico che Cipro ha costruito in questi anni, fatto
di imposte molto basse e numerosi incentivi per favorire l’afflusso di
capitali, non di rado derivanti dal riciclaggio di denaro sporco da parte di
magnati dell’Europa dell’Est.
Per un Paese che deve il suo benessere economico agli ingenti flussi di denaro che entrano nel suo circuito bancario (si stima che i magnati e la criminalità russa abbiano depositato nel Paese 20 miliardi di euro, una cifra superiore al PIL nazionale, pari a soli 17,9 miliardi) ed agli investimenti esteri di vario tipo allettati da condizioni fiscali interessanti (non a caso, infatti, un’altra parte degli obblighi che il Paese dovrà accettare riguarda l’aumento dell’imposizione sugli utili societari dal 10% al 12,5%) una misura come quella del prelievo forzoso sui depositi bancari è semplicemente la fine.
Senza contare che gli aiuti dell’ESM contribuiranno a far salire fino al 107% del PIL un debito pubblico che finora era dell’84,4%, creando le basi per un successivo attacco speculativo sui titoli del debito pubblico nazionale, il cui conseguente calo nelle quotazioni danneggerà ulteriormente l’attivo patrimoniale delle banche cipriote che li detengono.
La stessa concessione di azioni delle banche ai risparmiatori ciprioti tosati dal prelievo forzoso, promessa da un Governo immediatamente in difficoltà di fronte alle proteste popolari, appare quindi come un atto beffardo: con i soldi estratti dai loro conti, i cittadini ciprioti diventano forzosamente soci di istituti bancari destinati al tracollo.
Poiché il vero problema di Cipro è che gli enormi afflussi di capitale estero non hanno alcuna significativa ricaduta produttiva sul suo tessuto economico, per cui il tenore di vita delle famiglie è sostenuto dall’ingente debito privato alimentato dai capitali esteri che affluiscono nelle sue banche, una reale soluzione di “salvataggio” di un Paese con finanze pubbliche ancora relativamente sotto controllo non passa attraverso un maxi prestito che fa immediatamente balzare verso l’alto il rapporto debito/PIL, né ovviamente su un prelievo forzoso generalizzato, mirato solo a destrutturarne ulteriormente il sistema bancario.
La soluzione avrebbe dovuto essere quella di disincentivare i flussi di capitale in entrata
puramente finanziari, incentivandone un utilizzo produttivo, applicando, da un
lato, forti aumenti fiscali sui depositi di grande entità, di titolarità di non
residenti o di residenti da poco tempo (i famosi magnati russi che hanno preso
la nazionalità cipriota per gestire meglio i loro conti nelle banche
dell’isola) e/o che fossero caratterizzati da elevati livelli di movimentazione
in entrata/uscita, e dall’altro applicando forti agevolazioni fiscali per i
capitali bancari reinvestiti in attività produttive reali, anche facendo
svolgere alle stesse banche nazionali il ruolo di facilitatori della nascita di
nuove iniziative imprenditoriali endogene, banche che avrebbero in questo modo
potuto guadagnare sui prestiti concessi alle nuove iniziative. Infine, un serio
controllo internazionale sull’effettiva applicazione delle normative di
trasparenza bancaria e di antiriciclaggio solo formalmente condivise da Cipro,
e severe sanzioni, ad esempio nei trasferimenti finanziari di varia natura che
la Ue eroga per tale Paese, servirebbe per contribuire ad eliminare l’anomalia
cipriota, senza distruggerne l’economia.
Il sospetto è che dietro a tale manovra non vi siano interessi economici, ma eminentemente politici e strategici. L’impatto di un eventuale fallimento cipriota sui mercati finanziari dell’area Ue sarebbe limitatissimo: tutti i soggetti residenti nella Ue detengono appena 19,2 miliardi di depositi presso le banche cipriote (la Germania in particolare detiene 4,7 miliardi), mentre i prestiti erogati a banche cipriote da parte di soggetti residenti nell’area-Ue sono quasi inesistenti. Il debito pubblico totale è pari a soli 15 miliardi di euro, ed ovviamente solo una parte è detenuta da creditori residenti in altri Paesi della Ue, quindi l’eventuale perdita su crediti allo Stato cipriota, in caso di tracollo definitivo della sua economia, sono trascurabili. In ciò si spiega la rassicurante dichiarazione del nostro presidente
della Consob, che intanto ci dice che il prelievo forzoso non sarà replicato in
altri Paesi: serve infatti per aggredire una situazione specifica, ovvero la
presenza di una sorta di paradiso fiscale in mezzo al Mediterraneo, che attira
capitali, spesso di dubbia provenienza, dall’Europa dell’Est. E poi ci dice che
la reazione dei mercati finanziari, che alla notizia del piano cipriota hanno
fatto di nuovo correre gli spread e calare gli indici di borsa, è tutto sommato
trascurabile, e si calmerà in breve tempo, non appena i mercati stessi si
renderanno conto dell’inezia delle conseguenze di un tracollo definitivo della micro-economia cipriota [2].
I vantaggi di distruggere quella sorta di mini-paradiso fiscale che è Cipro sono, a fronte dei trascurabili
costi a carico del sistema creditizio e finanziario europeo, molto interessanti.
Si distrugge infatti un concorrente temibile nell’attrazione di ingenti
capitali, pur se di dubbia origine, provenienti dalla Russia, di cui gli
istituti di credito tedeschi, francesi, spagnoli, britannici, italiani, ecc.
hanno disperato bisogno, in questa fase di grande difficoltà nel
ricapitalizzarsi.