ZHANG WEI WEI
nytimes.com
Giovedì (ottobre, 2009 ndr) si celebrerà a Pechino il 60º anniversario della Repubblica Popolare. Sicuramente tale celebrazione infastidirà coloro, che per inclinazione ideologica, non tollerano che un “paese Comunista” possa ostentare tanta presunzione.
Vale la pena, però, guardare alla Cina con obiettività, per scoprire ciò che ha reso possibile nel tempo di una generazione la trasformazione di un paese povero ed indigente a una delle più grandi economie mondiali.
I critici amano sostenere che nonostante il successo economico, la Cina non abbia “grandi idee” da proporre. Sono, invece, proprio le grandi idee, secondo l’autore, che hanno permesso l’incredibile ascesa della Cina. Ecco qui otto di queste grandi idee:
1. La ricerca della verità attraverso i fatti. Questo è un antico concetto cinese e allo stesso tempo il credo dell’ultimo Deng Xiaoping, segretario della seconda generazione del Partito Comunista Cinese e ex-leader della Repubblica Popolare Cinese.
Nell’identificazione e definizione della verità, Deng Xiaoping considerava come criterio fondamentale il riconoscimento dei fatti, piuttosto che l’affidamento ai dogmi ideologici, orientali o occidentali che fossero. Pechino giunse alla conclusione, dall’analisi dei fatti, che nè il modello Comunista Sovietico, nè quello della democrazia Occidentale realmente si adattavano a un paese in via di sviluppo nei suoi processi di modernizzazione e che la democratizzazione normalmente segue la modernizzazione piuttosto che precederla. Per questo, nel 1978, Pechino decise di esplorare il proprio percorso verso lo sviluppo, adottando un’approccio pragmatico e di trial-and-error (metodo di risoluzione dei problemi che implica ipotizzare risposte fino a individuare quella che realmente risulta adeguata al raggiungimento di una soluzione) per il suo immenso programma di modernizzazione.
2. Il benessere della popolazione prima di tutto. Pechino ha definito la lotta alla povertà come il principale tra i diritti umani, attualizzando così questo antico concetto cinese di governance. Tale idea rappresenta la base dell’incredibile successo raggiunto dalla Cina nel risollevare quasi 400 milioni di individui dalle condizioni più terribili di povertà nell’arco di una generazione. Un successo senza precedenti per la storia dell’umanità.
Nell’orizzonte dei diritti umani, tale attitudine potrebbe risolvere una negligenza storica tipica dell’Occidente, che sin dai tempi dell’Illuminismo si è unicamente concentrato sui diritti civili e politici. Questa idea potrebbe avere effetti durevoli nell’affrontare la povertà a livello mondiale.
3. L’importanza del pensiero olistico. Dagli inizi degli anni 80 a oggi, la Cina ha sviluppato una strategia olistica in termini di modernizzazione, evidentemente influenzata dalla propria tradizione filosofica. Ciò ha permesso a Pechino di definire uno schema di priorità e sequenze sui vari gradi di trasformazione, con semplici riforme normalmente seguite da altre più determinate e complesse. Tale strategia contrasta le più diffuse e populiste politiche di breve termine che caratterizzano gran parte del mondo d’oggi.
4. L’arte di governare: una virtù necessaria. La lunga storia cinese racconta di tempi floridi sempre associati con uno Stato solido e progressista. In contrasto con la visione statunitense dello Stato come male necessario, la trasformazione della Cina è stata portata avanti da uno Stato progressista che punta allo sviluppo. A differenza di Mikhail Gorbachev, che abbandonò il suo vecchio Stato per fondare un impero a pezzi, Deng Xiaoping diede un nuovo orientamento al vecchio Stato passando dalla ricerca dell’utopia Maoista alla promozione della modernizzazione.
Lo Stato cinese, pur con i suoi difetti, riesce a creare consenso nazionale sul tema della modernizzazione e del perseguimento di obiettivi fortemente strategici, quali la realizzazione di riforme nel settore bancario, lo sviluppo delle energie rinnovabili e il sostegno all’economia cinese come risposta alla crisi globale.
5. Un buon governo vale di più della democratizzazione. La Cina rifiuta la dicotomia stereotipica che contrappone la democrazia all’autocrazia e afferma che la natura di uno Stato, inclusa la sua legittimità, debba essere definita dalla sua sostanza, per es. un buon governo, dimostrato dai risultati che riesce a conseguire.
Nonostante le lacune in termini di trasparenza e di istituzioni legali, lo Stato cinese dirige l’economia con il ritmo di crescita più alto al mondo e ha migliorato su larga scala gli standard di vita della sua popolazione. In un sondaggio del 2008, il settantasei per cento dei Cinesi si sono dichiarati ottimisti riguardo al loro futuro, superando di gran lunga i dati raccolti nei 17 paesi più grandi da Pew, un centro di ricerca con base a Washington.
6. Il rendimento come forma di legittimazione. Inspirandosi alla tradizione confuciana della meritocrazia, Pechino valuta i rendimenti come forma di legittimazione a tutti i livelli politici, anche se non sempre con successo. Criteri come l’efficacia nella lotta contro la povertà e nell’impegno per un ambiente sempre più sano rappresentano i fattori chiave per la promozione dei funzionari. I leader cinesi sono competenti, sofisticati e testati su vari livelli di responsabilità.
7. L’apprendimento selettivo e l’adattamento. La Cina rappresenta una cultura secolare dove l’apprendere dall’altro è un’attitudine estremamente apprezzata. I Cinesi hanno sviluppato una gran capacità nell’apprendimento selettivo e di adattamento di fronte alle nuove sfide, come dimostrato dalla rapidità con cui la Cina si è aperta alla rivoluzione informatica per poi eccellere nella stessa.
8. L’armonia nella diversità. Pechino ha dato vita nuova a questo vecchio ideale confuciano applicandolo a una società grande e complessa. Pechino ha rifiutato lo stile occidentale di politica di contrasto tra avversari per enfatizzare invece la comunione di differenti interessi collettivi al fine di calmare la tensione sociale conseguente alle rapide trasformazioni e tessere una rete sociale che offra sicurezza.
La Cina sta facendo tuttora fronte a sfide importanti come la lotta alla corruzione e la riduzione del divario tra le varie regioni. L’evoluzione della Cina continuerà sulle solide basi di queste idee, piuttosto che virare verso la democrazia liberale occidentale, visto che pare che tali idee abbiano funzionato e si siano fuse bene con il senso comune e con l’unicità della cultura politica cinese, risultato di svariati millenni – tra cui 20 e più dinastie, 7 delle quali durarono più a lungo dell’intera storia degli Stati Uniti.
La Cina continuerà ad imparare dall’Occidente a proprio beneficio. Tocca forse ora all’Occidente, per usare una massima di Deng Xiaoping, “emancipare le menti” per scoprire un poco di più sulla Cina, o addirittura imparare a proprio beneficio da queste grandi idee, per quanto banali possano sembrare.
Tale attitudine potrebbe evitare ulteriori letture erronee, dettate dall’ideologia, rispetto a questa nazione nonchè civiltà estremamente importante ed in più arricchire la coscenza collettiva mondiale di fronte alle sfide poste dalla lotta alla povertà, dai cambiamenti climatici e dallo scontro di civiltà.
Zhang Wei-Wei è professore alla Geneva School of Diplomacy and International Relations (Università di Scienze Internazionali e Diplomatiche di Ginevra) e docente presso le Università Tsinghua e Fudan in Cina. Fu anche interprete di Deng Xiaoping e di altri leader cinesi degli anni 80.
Fonte: www.nytimes.com
Link: http://www.nytimes.com/2009/10/01/opinion/01iht-edzhang.html
30.09.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GT