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La Redazione

 

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CINA: IL PERCHE' DEL RITORNO DEL CAPITALISMO

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A cura di Davide
Il 8 Dicembre 2005
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DI FRANCESCO LOPEZ

Ormai sono passati oltre 25 anni da quando Deng Xiao Ping diede inizio alle prime controriforme capitalistiche in Cina. Il processo che ha permesso alla Cina di trasformarsi in un paese capitalista, dove, insomma, la legge fondamentale è quella del massimo beneficio a favore delle imprese, ha avuto una notevole accelerazione negli ultimi anni, proprio sotto la direzione del partito comunista cinese. Di fatto, il processo ebbe inizio con lo smantellamento delle comuni contadine (1980-1985) preparando così il terreno ad una nuova suddivisione della proprietà fondiaria,con la privatizzazione e la conseguente rovina dei contadini poveri, proprio quelli che furono, in passato, lo zoccolo duro del Maoismo. Al giorno d’oggi, le centinaia di milioni di disperati che vagano da una città all’altra alla ricerca di lavoro sono operai licenziati dalle industrie statali ma soprattutto contadini vittime di espropri terrieri (proprio di quelle terre che poi sono state vendute alle imprese agricole). Il capitalismo cinese significa dunque ricchezza per una minoranza e problemi e umiliazioni per centinaia di milioni. Potete leggervi gli
scritti di Heiko Khoo per saperne di più.Quello che ci interessa adesso è capire il perché della trasformazione capitalista del paese, come entra nel gioco il partito comunista cinese e come la burocrazia stalinista cinese sia potuta diventare “borghesia”.

Come e perche’ il capitalismo

La rivoluzione cinese del 1947-49 fu uno degli avvenimenti più importanti della storia, quando 500 milioni di rivoluzionari si liberarono del giogo imperialista. A differenza di ciò che avvenne nell’ottobre 1917 in Russia, non fu la classe operaia a prendere il potere ed il controllo delle città. Poiché gli stessi dirigenti “comunisti”cinesi avevano reso vana la possibilità di una genuina democrazia operaia (mancando la partecipazione attiva alla programmazione basata sul potere del popolo) una volta raggiunto il potere essi stessi si trasformarono in una casta burocratica di tipo bonapartista seppur basata su un esercito di contadini. Mao Zedong e tutti i dirigenti della Rivoluzione cinese erano già diventati nazionalisti negli anni trenta, condizionati nelle loro
scelte dalla prima rivoluzione del 1925-27 e dall’influenza dello stalinismo russo.

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Questa casta dominante, che si rifletteva in un partito comunista di tipo stalinista, si elevò a guida dei milioni di lavoratori e contadini. Fu proprio per questo che i giganteschi passi in avanti fatti dalla società cinese si realizzarono mediante una pianificazione burocratica che però non coinvolse in alcun modo la classe operaia: anzi,questa si trovò ad essere succube del sistema che causò milioni di vittime. Come se ciò non bastasse, la autosufficienza alimentare venne meno alla fine degli anni sessanta. Per capire dunque il cambiamento e le ragioni del passaggio dal comunismo al capitalismo bisogna tenere presente lo spirito controrivoluzionario che ha fatto la sua parte, storicamente, contro la burocrazia stalinista, in Cina come in Russia.

Essendo completamente incapace di pianificare in maniera armonica la propria economia, il problema venne subito a galla quando la Cina si trovò ad essere pressata dalla Russia, da una parte, e dall’America dall’altra, nonché dal mercato globale. Come pensare di sviluppare un’economia così arretrata e così isolata dal resto del mondo, senza creare scompensi soprattutto nelle relazioni con i Russi? Il problema dello sviluppo industriale era una condizione vitale perché la burocrazia potesse mantenersi al potere senza cadere nell’orbita sovietica ma nemmeno sotto l’imperialismo americano. Comunque, con gli anni settanta, lo sviluppo messo in atto aveva fatto sì che la Cina si staccasse dal “terzo mondo” ma, allo stesso tempo, restava un paese fortemente arretrato dal punto di vista tecnologico e profondamente isolato. Inoltre, il legame con la burocrazia russa, impediva la collaborazione industriale anche con la stessa Europa dell’est!

In questo contesto, si può comprendere meglio perchè dopo la morte di Mao (aprile 1976) il nuovo leader Deng Xiao Ping, insieme con la maggior parte della vecchia struttura burocratica, si incamminasse nell’unica via che consentisse a lui ed ai suoi di mantenersi al potere: la via del mercato! Tra l’altro va ricordato che nel momento in cui Deng saliva al potere (inizio 1979) il sistema stalinista dei suoi vicini russi cominciava a mostrare i primi segni di crisi, che si evidenziava sia all’interno della burocrazia che nel corpo sociale. Sarà forse per quello che il presidente disse “non importa se il gatto è bianco o nero, quello che conta è che prenda il topo. Come dire, l’importante è garantire lo sviluppo delle forze produttive sotto il controllo della burocrazia, non importa nè il modo nè il prezzo

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Sta di fatto che con gli anni ottanta, una borghesia nascente si fece strada come nuova classe sociale, nata dalle riforme di Deng Xiao Ping. In questi ultimi venticinque anni, la burocrazia stalinista è riuscita a pianificare la svolta verso la anarchia capitalista, giustificando proprio il rafforzamento della nuova classe capitalista; giustificazione ideologica tanto più necessaria in quanto la stessa “cupola” stalinista in parte si trasformò ed in parte si integrò nella nuova classe borghese dominante.

Dopo dieci anni dalle prime riforme del mercato e solo cinque anni dopo lo smantellamento delle “comuni” agricole, Deng Xiao Ping doveva assistere,nel 1989, al collasso del sistema stalinista in Russia ed in tutta l’Europa dell’Est. Pertanto arrivò alla conclusione (correttamente, secondo il suo punto di vista “borghese”) che aveva ancora poco tempo per passare al capitalismo prima che anche il sistema cinese si disgregasse e collassasse. Ma gli restava ancora un buon margine di manovra per fare sì che il nuovo sistema restasse comunque sotto il controllo della burocrazia, dello stato e del partito. Già nel 1986 un movimento studentesco di massa aveva scosso la capitale, protestando contro le riforme del mercato che creavano crescenti differenze sociali e ingiustizia. Anche perché le prime auto di lusso (anche alcune Ferrari) avevano iniziato circolare per le vie delle grandi città. In quegli anni, anche se qualche azione, che definiremmo “di facciata”, era stata intrapresa contro i burocrati più corrotti, lo scontento aumentava in seno alla classe operaia e tra la gioventù delle città. Si stava preparando il terreno per una rivoluzione politica simile a quelle dell’Ungheria (1956) della Cecoslovacchia (1968), che furono domate solo con l’intervento dei carri armati sovietici (per rivoluzione politica si intende quella che vuole trasformare sia il sistema politico che lo stato, senza mettere in discussione
le basi economiche del sistema).

Gli squilibri sociali, accanto alla ascesa sfacciata e provocatoria di una nuova borghesia, i comportamenti politici antidemocratici della burocrazia, colmarono la misura della pazienza delle masse operaie e studentesche delle città. I peggiori incubi della burocrazia si materializzarono nella primavera dell’89,con epicentro in Pechino e diffusione nelle principali città del paese. Fiumi di giovani e lavoratori si riversarono nelle strade con le loro domande di democrazia e riforme sociali, spesso cantando l’internazionale . Erano ben distanti dall’essere controrivoluzionari e la popolazione li appoggiava. Mesi di manifestazioni terminarono con il massacro di Piazza Tien An Men e con la successiva repressione poliziesca in lungo e in largo nel paese. Il vertice del PCC capì una volta per tutte che solo un regime dittatoriale avrebbe consentito la trasformazione capitalista della Cina, senza che una rivoluzione operaia e studentesca potesse impedirlo. Dal 1990 , il ritmo della restaurazione capitalistica aumentò, unitamente alla necessaria repressione di tutte le ribellioni operaie e popolari. Negli anni ’90, in quel contesto di reazione ideologica e regresso sociale, il cammino capitalista della Cina non poteva che accelerare. Gatto nero o gatto bianco , l’importante era che il gatto prendesse il topo.

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Malgrado si fosse lanciato nel vortice del capitalismo più selvaggio, il PCC si è sempre rifiutato di disfarsi dei nomi e dei simboli comunisti, sia in seno al partito che allo stato. Questo si spiega almeno in parte con la necessità di mantenere il monopolio della bandiera rossa e della stella, ancora per un po’ di tempo, come antidoto contro il coagularsi di organizzazioni di sinistra(politiche e sindacali) che sventolino legittimamente la bandiera rivoluzionaria; si tratta della necessità della borghesia di mantenere il potere centrale in mano al PCC, poichè il dispiegarsi della potenza capitalista cinese è possibile solo sotto un regime bonapartista che soffochi le lotte delle masse sfruttate, continuando a negare il il diritto democratico a organizzarsi politicamente al di fuori delle strutture della borghesia stalinista. D’altra parte il potere politico assoluto del PCC si spiega con il timore di una frammentazione della burocrazia in differenti partiti(la democrazia borghese),cosa che a sua volta mette in pericolo il controllo sulle masse.

Per le alte sfere della burocrazia, trasformarsi completamente in borghesia senza perdere il potere politico e senza rivoluzioni dal basso è il compito centrale. Le bugie e le ridicole definizioni quali socialismo con peculiarità cinesi, socialismo di mercato, teoria delle quattro rappresentazioni, non sono tanto dirette ad occultare la realtà capitalista della Cina , cosa del resto impossibile,ma servono piuttosto a seminare confusione tra le componenti maggiormente legate alla classe oppressa che ancora persistono dentro il PCC. Cercano di far credere a milioni di persone incluso alla nascente piccola borghesia affiliata al partito,che il socialismo di mercato è una scorciatoia, uno strumento per ottenere il benessere del paese e che l’arricchimento personale è un glorioso contributo al progresso della nazione. Far credere che se c’è disequilibrio( milioni di disoccupati, di licenziati, di espropriati della propria terra, fame e povertà , vendita di organi e di essere umani, operai che si suicidano come normale atto di protesta lavorativa…) ciò si deve all’incapacità delle amministrazioni locali e non alla linea del partito nel complesso.

Non è un caso che dalla provincia siano arrivate una serie infinita di lamentele , di petizioni, denuncie da parte di operai, contadini e militanti di base. Denunce che il partito gira al governatore locale, senza che sortiscano il più piccolo effetto sulla direzione di marcia del socialismo di mercato . L’unica paura della grande burocrazia borghese del PCC è l’essere sottoposta al giudizio nelle strade da quella massa sterminata composta da centinaia di milioni di poveri e lavoratori cinesi. Al fine di evitarlo , o rimandarlo il più possibile, tutte le bugie sono ammesse, tutta la confusione possibile è la benvenuta.

Il “partito comunista” dei capitalisti.

La Cina è attualmente in gara per diventare l’officina industriale del mondo. Un capitalismo basato sulla mano d’opera più a buon mercato del pianeta ha permesso al paese di mantenere un ritmo di crescita non inferiore al 9% nel corso degli anni. E questa è l’unica possibilità per la burocrazia capitalista di mantenersi la potere. I nuovi dirigenti( Hu Jintao e compagnia) si mantengono fermi al timone nell’intento perseguito con successo di consolidare l’integrazione della Cina nel mercato mondiale e continuare ad essere quello che sono: la rappresentazione politica della borghesia dominante. Allo stesso tempo, la cupola del PCC ha finito per diventare materialmente borghesia ed anche la sua rappresentazione politica diretta. Questa situazione è stata legalizzata nel 2001, quando il congresso del partito decise di aprire le sue file agli industriali e quanto più ricchi erano tanto meglio.

In ragione di questo processo , la nuova classe borghese e la piccola borghesia è cresciuta enormemente in dimensioni assolute. Le cifre lo dimostrano: una classe burocratica ed imprenditoriale arricchitasi di circa 50 milioni di unità , un’elite fra le 15 e le 20000 persone che hanno in banca non meno di 8 milioni di Euro. 21 milioni di cinesi vanno in vacanza fori dal paese e possono pagare in dollari o in euro. Il 10% della popolazione(130 milioni di persone) si accaparra il 45% del reddito nazionale, mentre il 10 % più povero riceve solo l’1,5%. I familiari dei membri del livello medio alto del PCC si arricchiscono dirigendo o partecipando ad imprese private, con o senza la partecipazione del capitale straniero, e saccheggiando impunemente l’impresa pubblica. Il dogma vincente in Cina è che ciò che è statale non può essere redditizio. Con questo dogma come paravento , e la complicità della burocrazia a tutti i livelli, ogni saccheggio è ammesso.

Il 40% dell’industria pesante ed estrattiva continua ad essere in mano allo stato, specialmente il settore energetico, che è la leva della modernizzazione ufficiale del paese. Sebbene la Cina possegga tre delle cinque imprese con il maggior numero di impiegati su scala mondiale (Sinopec,Energia di Stato, Petrolio Nazionale di Cina), questo non significa che lo stato continui ad avere qualcosa di “socialista”. La quinta impresa che impiega più lavoratori in tutto il mondo è US Portal Service, di proprietà statale…. ciò non fa degli USA un paese parzialmente socialista. La dimensione delle imprese statali non contraddice il il carattere capitalista della Cina, ma conferma piuttosto l’intenzione del PCC di provvedere all’industria privata un buon supporto energetico statale. Anche così , il settore statale ha ridotto della metà il numero dei suoi impiegati negli ultimi 15 anni. Più avanti, e non manca molto, queste grandi imprese statali della energia saranno trasformati in poderose multinazionali con base in Cina.

La trasformazione in potenza industriale , nella condizione attuale, non può realizzarsi senza la creazione di almeno qualche centinaia di multinazionali in settori chiave dell’energia, della manifattura,dell’automazione e dell’alta tecnologia. Questo si comprende meglio se ricordiamo che un’impresa informatica statale comprò durante l’anno 2004 il settore computer della IBM , che un’altra impresa statale comprò poco tempo fa l’azienda petrolifera Unocal nordamericana e che sempre più imprese statali si preparano a trasformarsi in multinazionali. In sostanza i punti chiave della strategia del PCC possono essere espressi in poche parole: assicurare rapidamente le basi per consolidare una borghesia nazionale forte, prima che una protesta popolare e rivoluzionaria metta in crisi l’intero processo.

Tuttavia la svolta capitalista – vedere l’articolo di Heiko Khoo: “ Cina: il capitalismo significa guerra contro la classe operaia” – precisa due condizioni politiche che solo il PCC può offrire: un regime bonapartista che assicuri la concentrazione del potere statale per poter dirigere il processo , e una forte repressione , che soffochi le inevitabili sollevazioni della classe operaia e dei contadini mentre li si spoglia di tutti i diritti e della dignità. In questo contesto, il PCC gioca il ruolo dell’arbitro corrotto, di strumento politico della dittatura più spietata del capitale. Quello che sembra evidente è che la burocrazia non da segno di volere sparire con questo processo, ma al contrario sembrerebbe continuare a giocare un ruolo importante e privilegiato nel futuro come potere statale borghese, impedendo una rappresentazione politica della classe operaia e dei contadini poveri…. e mantenendo il controllo dell’esercito. Potremmo definire questo nuovo fenomeno come una controrivoluzione sociale, all’interno della quale cambiano le relazioni sociali senza che si modifichi la sovrastruttura politica.

La strategia internazionale del capitalismo cinese

Lo sviluppo ineguale e complesso della Cina causato dalla sua restaurazione capitalista è indubitabile: le enormi città contro l’immensità e il ritardo della campagna, l’industria aerospaziale contro le condizioni di lavoro semi schiaviste in tutti i settori, il dinamismo delle città della costa e dell’est contro la depressione economica e sociale di decina di migliaia di villaggi del centro, dell’ovest e del sudovest. E’ vero che questo sviluppo ha spinto parti importanti del paese, in una condizione di terzo mondo comparabile con la realtà di un paese coloniale. Ciò nonostante, le aree più sviluppate della Cina costituiscono in termini assoluti(quantitativamente e qualitativamente)una potenza industriale produttiva che , a differenza del mondo ex coloniale, si pone sotto il controllo politico e statale della borghesia del PCC.

Questo è un elemento fondamentale che differenzia la Cina dai paesi capitalisti arretrati. C’è una notevole differenza infatti rispetto a questi paesi :la borghesia cinese dispone di riserve monetarie e capitali che le permettono di intervenire in una serie di paesi non asiatici , ad un livello che presto sarà comparabile a molti paesi europei. Sarebbe interessante studiare il crescente livello di penetrazione del capitale cinese in tutta una serie di paesi,, specialmente dell’America Latina e del Medio Oriente. I contratti multipli che la Cina ha concluso con il Venenzuela, Brasile, Argentina, Iran lasciano intravedere la ricerca di canali indipendenti di approvvigionamento di materie prime, che le permettano di eludere il controllo e l’influenza diretta dell’imperialismo nordamericano.D’altro canto sempre più paesi sudamericani e asiatici cominciano a vedere la Cina come partner alternativo all’imperialismo aggressivo di Europa ed USA.

Nell’epoca imperialista attuale, nesssun paese può sottrarsi alle regole del mercato mondiale. e al borghesia cinese non desidera certo essere uno spettatore passivo della suddivisione del mondo in sfere di influenza , bensì diventare un attore di prima importanza nello scenario mondiale. Unitamente allo sviluppo capitalista si ritaglierà nel tempo un ruolo di paese imperialista regionale.

Nel piano commerciale l’Europa ha appena spodestato il Giappone dal secondo posto come partner commerciale e gli USA dal primo. Europa ed Usa avranno seri problemi qualora decidessero di alzare barriere protezioniste contro la Cina nel caso di una futura recessione o ristagno prolungato dell’economia: basta dire che la multinazionale americana Dell fabbrica in Cina il 60% dei computer che poi vende nel mercato interno. Un altro esempio lampante è la nordamericna Wall Mart, la più grande impresa nordamericana del mondo in termini di impiegati e di affari: gran parte dei prodotti che si vendono nei suoi supermercati è prodotto in Cina. Lo stesso discorso vale per centinaia di multinazionali europee, giapponesi e nordamericane che producono in Cina e che sfruttano la mano d’opera e al condizione di semi schiavitù della propria classe operaia. Contrariamente a quello che alcuni pensano, gli interessi della classe dominante cinese sono così inestricabilmente legati alla partecipazione al commercio mondiale che nemmeno una crisi economica potrebbe far tornare indietro il processo di restaurazione capitalista. L’ipotesi di ricentralizzare l’economia implicherebbe un improbabile suicidio collettivo della burocrazia che in larghissima misura si è di fatto convertita al capitalismo. Inoltre qualunque ipotetico progetto di statalizzazione dell’industria privata sarebbe inteso dalla classe operaia come un’opportunità di vendicarsi di venti anni di perdita di diritti e di inganni ai quali è stata sottomessa dalla burocrazia stalinista.

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I sintomi di sovrapproduzione in Cina sono più che evidenti, ed emergeranno con maggiore evidenza non appena gli USA e secondariamente l’Unione Europea smetteranno di assorbire una quota importante dei prodotti cinesi. Gli squilibri dello sviluppo capitalista possono solo essere mitigati e solo temporaneamente , in forza di una crescita del PIL che proceda in maniera sostenuta per molti anni. Un ristagno economico prolungato degli USA avrebbe effetti drammatici in Cina e provocherebbe una selezione all’interno della borghesia ed al tempo stesso una concentrazione del capitale.

Anche per questo motivo il PCC sta tentando da un lato di diversificare le sue relazioni commerciali più rapidamente che può e dall’altro lato di limitare la propria dipendenza dall’estero in macchinari industriali. Al momento , la sola area commerciale del pianeta verso la quale la Cina ha un deficit commerciale è l’Asia Orientale (Giappone, Corea del Sud, Taiwan); ma presto tale situazione finirà, quando la Cina cesserà di importare tecnologia e potrà produrla direttamente sul posto.

Non manca molto: la Cina si trova in piena fase di accumulazione e riproduzione della tecnologia occidentale e giapponese, un processo lungo che ha avuto inizio molti anni fa e che non è ancora finito. La modernizzazione delle infrastrutture e la riconversione industriale andranno avanti, la formazione di imprese multinazionali cinesi è appena agli inizi ma appare inarrestabile,i licenziamenti massivi anche. E’ la logica del capitale.

Un futuro di lotte titaniche

La Cina è un paese profondamente diviso in classi sociali.Ci troviamo di fronte alla classica suddivisione in classi sociali tipica di un paese capitalista. Incrociando le statistiche di cattedratici cinesi e il materiale disponibile in rete, possiamo configurare una piramide approssimativa della struttura delle classi:

– Capitalisti medio-grandi 0,5%(7 milioni di persone)
– Grandi burocrati e dirigenti aziendali 3,5%(52 milioni di persone)
Totale 4.0%(52 milioni di persone)

– Piccola borghesia professionale 4,6% (60 milioni di persone)
– Piccola borghesia imprenditoriale 7,6%(99 milioni di persone)
– Piccola burocrazia e colletti bianchi 7,2%(92 milioni di persone)
– Contadini più o meno agiati 39%(507 milioni di persone)
Totale 23,0%(298 milioni di persone)

– Classe operaia dell’industria dei servizi ed altro 33,8%(439 milioni di persone)
– Contadini 39%(507 milioni di persone)
Totale 72,8 %(946 milioni di persone)

La riconversione capitalista in Cina ed il suo sviluppo selvaggio è stato possibile solo grazie al precedente periodo di pianificazione (sebbene burocratica e con costi umani enormi) dell’economia e agli avanzamenti sociali rivoluzionari dei primi anni . Questo processo di reazione sta forgiando una classe sociale la cui forza non ha precedenti nella storia dell’umanità. La sua dimensione è comparabile solo a quella della classe lavoratrice indiana, ma a differenza di quella e della classe operaia russa o americana, i suoi riferimenti ideologici si collocano in un passato abbastanza recente verso il quale è possibile fare ritorno. Stiamo parlando dell’egualitarismo, della vecchia tazza di riso garantito, però ad un livello di sviluppo delle forze produttive molto più alto e con un sano odio verso la burocrazia e la borghesia.

Il ruolo bonapartista della burocrazia cinese mascherava il cambio drammatico dei rapporti di forza tra le classi. La classe operaia e i contadini poveri hanno perso progressivamente la gran maggioranza dei diritti lavorativi e sociali conquistati attraverso la rivoluzione. La piccola borghesia è in crescita da 30 anni e conta probabilmente 200 milioni di persone. La grande borghesia, che avanza grazie agli investimenti esteri e al saccheggio delle risorse statali, si rafforza ogni giorno che passa e viene alimentata dalle alte sfere del PCC , dove incontra una rappresentazione politica più che adeguata e “prestigiosa”.

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Questo doloroso processo di restaurazione del capitalismo e di industrializzazione del paese contiene allo stesso tempo una valenza “progressista” che risiede nella eccezionale concentrazione e rafforzamento numerico di una giovane classe operaia che si concentra nelle grandi città e nelle zone industriali speciali. Sono già 166 le grandi città cinesi che superano il milione di abitanti( e fra tre anni saranno 200): 100 milioni di contadini si sono trasformati in lavoratori delle costruzioni, e altrettanti della produzione industriale. 150 milioni di disoccupati vagano da una città all’altra in cerca di lavoro. La classe operaia avrà un peso specifico e un dominio materiale delle città molto più consistente che in passato. La conseguenza di ciò è l’indebolimento della classe più eterogenea e più arretrata : la classe contadina. I contadini a differenza della classe operaia non parteciparono alle proteste dell’86 e dell’89.

Il giorno che la classe operaia si metterà in marcia, la classe più numerosa del mondo, non ci sarà forza capace di fermarla, specialmente perchè nella sua gran maggioranza non ha niente da perdere( e un paese immenso da conquistare).
La Cina sarà sempre più sensibile ai processi rivoluzionari che presto o tardi avranno luogo in Asia, a cominciare dall’India e dal Pakistan.

Il nemico della classe operaia cinese appare ogni giorno più evidente e con esso anche il carattere del compito rivoluzionario della quinta parte dell’umanità: una rivoluzione socialista in aperta opposizione al capitalismo e al suo rappresentante politico, che al momento persiste nel chiamarsi Partito Comunista Cinese.Il vertiginoso sviluppo delle forze produttive sta concentrando nelle mani della classe operaia un potenziale enorme, mai visto prima nella storia dell’umanità. La terza rivoluzione cinese non lascerà spazio alla burocrazia. Non solo perchè questa ha già buttato la maschera, ma soprattutto perchè ha distrutto le basi materiali sulle quali si è appoggiata durante mezzo secolo.
Il compito centrale del proletariato, delle masse contadine e delle goventù è prepararsi per quel momento: organizzando un proprio partito e sindacato fuori dal controllo della borghesia e della burocrazia.

Francesco Lopez
è un lavoratore marxista stabilitosi a Siviglia, collaboratore del giornale ” Il Militante”. Attualmente milita nel PCA, ha militato in Italia in Rifondazione Comunista e nel PCI dall’89.

Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=20388

22.09.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di
FRANCO CILLI E PAOLO FEDERICI

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