DI PAUL CRAIG ROBERTS
Counterpunch
In una conferenza stampa a Washington DC, nel novembre scorso, il professor Michael Porter dell’Università di Harvard ha affermato che il globalismo stava portando vantaggi agli americani (Manufacturing & Technology News, Nov. 30, 2006). Porter stava presentando l’ultimo rapporto del Consiglio sulla Competitività, “Indice di competitività: Dove l’America prevale“, di cui è uno dei principali autori.
Ho osservato che un buon numero di affermazioni di Porter si contraddicono con i dati empirici. Dopo avere esaminato il rapporto, posso dichiarare con certezza che esso fornisce ben poche prove che l’America stia traendo giovamento dal globalismo.
Ciò non vuol dire che le affermazioni nel rapporto e le informazioni nelle numerose tabelle siano false. Vuol dire che i dati non sostengono l’affermazione che l’America stia traendo vantaggio dal globalismo.
Il rapporto di competitività si vanta che gli Stati Uniti “guidano le maggiori economie per quanto riguarda il P.I.L. pro capite“; che “la ricchezza delle famiglie si è fortemente sviluppata, sostenuta dai guadagni nei beni immobili e nelle azioni“; e che “il tasso di povertà è migliorato per tutti i gruppi sociali nei due decenni scorsi.”
Tutto questo è vero nei periodi di tempo che il rapporto esamina. Ma è anche vero che tutto questo accadeva prima del globalismo. Inoltre, negli ultimi anni, mentre il globalismo si affermava sempre più, l’economia USA sta andando meno bene.
Il rapporto non fornisce informazioni che suggeriscano che i guadagni rilevati in 20 anni o più siano avvenuti a causa del globalismo o che l’economia stia meglio oggi che nei periodi passati.
Effettivamente, il rapporto riconosce sotto-prestazioni in zone critiche.
La creazione di lavoro negli USA nel ventunesimo secolo è sotto le performance del passato. I pagamenti di debiti degli americani come percentuale dei loro redditi disponibili stanno aumentando, mentre il tasso di risparmio è sprofondato nel dis-risparmio. I tassi di povertà sono tornati a risalire nel XXI secolo in cui l’effetto del globalismo sugli americani è stato più pronunciato.
Una critica totale del rapporto di competitività sarebbe lunga, o più lunga delle 100 pagine del rapporto. Poichè ciò è oltre la capacità della pazienza dei lettori della newsletter di Manufacturing & Technology News, limiterò le mie osservazioni agli argomenti più critici.
Il rapporto accenna molte volte che gli USA sono la guida dello sviluppo globale senza evidenziare che lo sviluppo USA è spinto dal debito. Sia il governo che i consumatori statunitensi stanno accumulando debito ad un ritmo rapido. Il consumo spinto dal debito sta superando il prodotto USA con una cifra al di sopra degli 800 miliardi di dollari all’anno.
I deficit commerciali e di partita corrente stanno rapidamente aumentando la difficoltà di servizio del debito pubblico degli americani e minacciano il ruolo del dollaro come valuta di riserva. Il rapporto di competitività fa suonare queste negatività come se l’America fosse a capo del mondo tramite la guida della crescita economica.
Al centro del rapporto c’è una tabella ingannevole che indica che “gli USA attraggono la maggior parte dell’investimento straniero diretto” — in termini di dollari. Il rapporto afferma che “gli Stati Uniti restano una calamita per l’investimento globale” a causa “degli elevati livelli di produttività dell’America, della forte crescita e di un mercato di consumatori senza pari.“
Questo è uno dei casi in cui il rapporto diventa totalmente propagandistico.
Il rapporto sembra suggerire, come fanno molti economisti disattenti, che l’investimento straniero diretto negli Stati Uniti consista in nuovi impianti ed attrezzature che, a loro volta, generano lavoro per gli americani. Invece, l’investimento straniero diretto negli Stati Uniti è costituito quasi interamente da acquisizioni straniere di risorse USA già esistenti. L’investimento straniero diretto è soltanto la controparte degli enormi deficit commerciale e di partita corrente americani. L’America paga il suo consumo eccessivo di dollari che gli stranieri usano per accaparrarsi risorse USA preesistenti. Un risultato è che i flussi di reddito connessi con il cambiamento della proprietà ora maturano per gli stranieri e, quindi, peggiorano il deficit di partita corrente.
I grafici qui sotto sull’investimento straniero diretto [foreign direct investment] non si trovano nel rapporto di competitività. Sono fornite da Charles McMillion della MBG Information Services di Washington D.C. Le tabelle rendono completamente chiaro che l’investimento straniero diretto negli Stati Uniti consiste in acquisizioni straniere di risorse degli Stati Uniti già esistenti. L’acquisizione da parte straniera di beni esistenti statunitensi danneggia l’America deviando i flussi di reddito all’estero.
Un altro fantastico errore nella relazione di Porter è l’affermazione fuorviante sulla crescita della produttività USA. Non c’è una tabella nel rapporto, come quella fornita da McMillion a pagina 12, che mostra la straordinaria e crescente divergenza della produttività statunitense dalla reale compensazione.
Gli economisti sostengono che il lavoro è pagato secondo la sua produttività, e questo è stato storicamente il caso degli Stati Uniti. La correlazione ha cominciato a scomporsi con l’avvento dell’offshoring [1] alle tigri asiatiche e si è ulteriormente deteriorato con l’avvento dell’offshoring dei lavori nei settori dei servizi e della produzione in Cina e India, reso possibile dal crollo del socialismo mondiale e dall’avvento dell’Internet ad alta velocità. La correlazione storica fra rendimento e stipendi è stata ulteriormente erosa dall’importazione negli USA di lavoratori professionisti stranieri a basso costo tramite i visti per motivi lavorativi. Molti americani sono stati costretti ad addestrare i loro rimpiazzi stranieri, che lavorano per una paga di meno di un terzo della loro.
Il maggior errore nel rapporto di competitività è l’assenza di una menzione dell’arbitraggio del lavoro e delle sue conseguenze quando gli USA consolidano all’estero la loro produzione per il mercato statunitense.
Questa pratica si traduce in una perdita diretta di lavoro e in una perdita della base di imposta diretta e trasforma la produzione interna in importazioni. Questi sono il capitale e la tecnologia che inseguono il vantaggio assoluto all’estero. Ciò non può essere considerato commercio basato sulle risorse che trovano il loro vantaggio relativo nell’economia interna.
È questo rimpiazzare la forza lavoro statunitense con operai stranieri che spiega l’aumento straordinario dei compensi per gli amministratori delegati (CEO) ed il flusso della maggior parte dei guadagni da reddito e patrimonio a poca gente al top. Portando all’estero la loro forza lavoro, i CEO hanno tagliato i loro costi, realizzando o superando le loro previsioni di guadagno, ricevendo così dei bonus che sono più che multipli dei loro stipendi. Anche gli azionisti si avvantaggiano. Quando si chiudono gli impianti ed il lavoro è portato all’estero, gli impiegati americani perdono i loro mezzi di sostentamento, ma i manager e gli azionisti prosperano. L’offshoring sta causando uno straordinario aumento nella diseguaglianza del reddito in America.
Il rapporto riconosce che “per la prima volta nella storia, economie emergenti, come la Cina, stanno prestando enormi somme di denaro al paese più ricco del mondo.” Storicamente, erano i paesi ricchi che prestavano ai paesi sottosviluppati. La verità della tesi è che i prestiti della Cina agli Stati Uniti sono una forma di prestito forzato. La Cina è sommersa dai dollari a causa della dipendenza dell’America dalle importazioni di prodotti cinesi e di prodotti di alta tecnologia. Non c’è niente che la Cina possa fare con i dollari tranne che comperare attività e beni esistenti statunitensi o riprestare i dollari agli Stati Uniti comperando obbligazioni del Ministero del Tesoro. Con la valuta della Cina agganciata al dollaro, la Cina non può fare uscire i dollari nei mercati dei cambi senza iniziare una corsa sul dollaro e lamentele che la Cina stia aumentando il suo vantaggio competitivo sul resto del mondo.
Quando ero Assistente Segretario del Ministero del Tesoro statunitense all’inizio degli anni ’80, le attività finanziarie all’estero degli Stati Uniti superavano i beni posseduti dagli stranieri negli Stati Uniti. Dal 2005 ciò era drammaticamente cambiato, con gli stranieri che possedevano 2,7 trilioni di dollari in più di quanto gli USA possedevano all’estero. Per la prima volta da quando gli Stati Uniti erano un paese in via di sviluppo 90 anni fa, il paese stava pagando ai creditori stranieri più di quanto stava ricevendo dai suoi investimenti all’estero.
Il rapporto minimizza gli straordinari deficit commerciali e di partita corrente sulla base che “le vendite delle filiali straniere” non contano contro il deficit commerciale e che “il commercio intra-aziendale” è una proporzione significativa del deficit commerciale ed “è dovuto al commercio fra aziende americane.”
Questa tesi indica che il rapporto è scritto dal punto di vista di cosa è buono per le aziende globali, non cosa è buono per l’America.
Aveva un suo senso l’affermazione di General Motors che ciò che è buono per General Motors è buono per l’America perché, quando fu fatta quest’affermazione, General Motors produceva in America con lavoro americano. Non ha significato fare oggi questa affermazione, quando ciò che è buono per un’azienda è realizzato a scapito della forza lavoro americana.
Per “commercio fra aziende” si intende semplicemente merci e beni dell’azienda prodotti nei suoi impianti offshore e “le vendite delle filiali straniere” sono semplicemente i guadagni esteri dell’azienda dalla sua produzione in paesi stranieri con lavoro straniero.
Forse Porter sta sostenendo che la produzione di una filiale americana in Germania, per esempio, dovrebbe essere considerata parte del P.I.L. degli Stati Uniti. Una tale contabilità provocherebbe un magico incremento del P.I.L. USA ed un calo nel P.I.L. tedesco. Se la prosperità è definita in termini del paese in cui risiede la proprietà dei profitti delle ditte globali, allora un paese può essere prospero con la sua forza lavoro disoccupata.
Il rapporto di competitività deve gran parte del suo errore ad un’astrazione — “la fornitura di lavoro globale“. Non c’è un mercato globale del lavoro che equilibri gli stipendi nei diversi paesi. Ci sono soltanto mercati del lavoro nazionali in cui gli stipendi riflettono il costo della vita e l’offerta di lavoro.
Ad esempio, in Cina il costo della vita è basso e l’offerta di lavoro in eccesso sopprime gli stipendi della produzione al di sotto del rendimento del lavoro. Negli Stati Uniti, il costo della vita ed i livelli di debito sono alti ed il mercato di lavoro (tranne per quelle parti più duramente colpite dall’offshoring) non si confronta con grandi eccedenze di offerta di lavoro. Per un’azienda con base negli USA è possibile assumere qualcuno che vive in Cina o in India per portare i servizi attraverso Internet ad una frazione di quanto costerebbe assumere un impiegato americano. In alternativa, gli stranieri possono essere importati tramite i visti per motivi lavorativi per sostituire gli impiegati americani. Gli impianti di produzione possono essere spostati all’estero dove l’eccesso di offerta di forza lavorativa tiene gli stipendi ben al di sotto della produttività. Questi sono tutti esempi del capitale che cerca il massimo vantaggio al più basso fattore di costo.
Il rapporto fa false affermazioni sul fatto che il futuro della competitività USA dipenda dall’istruzione. Anche se gli USA hanno 17 delle migliori 20 università di ricerca al mondo, Porter vede la formazione come la debolezza numero uno del sistema economico statunitense. Il rapporto prevede un’economia di servizi con stipendi elevati basata sull’immaginazione e l’ingegnosità. Qui il rapporto di competitività fa l’errore più grande, perché non riesce a comprendere che tutti i servizi commercializzabili possono essere portati all’estero.
Nel ventunesimo secolo, l’economia statunitense ha saputo creare nuovi posti di lavoro soltanto in servizi interni non-commercializzabili – vedete http://vdare.com/roberts/061009_newface.htm. La vasta maggioranza dei lavori nelle proiezioni a dieci anni di BLS non richiedono una formazione universitaria. Il problema nell’America del XXI secolo non sarà la mancanza di gente istruita, ma la mancanza di lavori per la gente istruita.
Molti ingegneri software e professionisti dell’Information Technology americani sono stati costretti ad abbandonare le loro professioni a causa dei lavori dati in offshoring. L’edizione del 6 novembre 2006 del Chemical & Engineering News riferisce che “la percentuale dei chimici membri dell’American Chemical Society nella forza lavoro in patria che non ha avuto lavori a tempo pieno a partire dal marzo di quest’anno era dell’8,7 per cento.” Non c’è motivo che gli Americani proseguano gli studi in scienze e tecnologia quando le prospettive di carriera in quei campi sono in declino a causa dell’offshoring.
Porter dice che il futuro per l’America non si troverà nei prodotti industriali o commerciali, ma soltanto in ciò che definisce come le capacità in servizi di “parere specialistico” a stipendio elevato e nella “comunicazione complessa.” Il rapporto non identifica questi lavori e nei dati sul lavoro della BLS si trova solo una loro scarsa presenza.
L’economista dell’università di Princeton Alan Blinder, ex vice-presidente della Federal Reserve, scrive che “finora abbiamo visto a mala pena la punta dell’iceberg dell’offshoring, le cui dimensioni finali possono essere sbalorditive” (Dallas Morning News, 7 gennaio 2007). Inoltre, Blinder ha valutato che addirittura 50 milioni di posti di lavoro nei servizi commerciali sono a rischio di essere dati in offshore a stranieri meno pagati.
Come Porter, Blinder dice che il futuro dell’America si trova nei lavori nel settore dei servizi. I buoni lavori nei servizi saranno quelli che apportano “creatività e immaginazione“. Blinder capisce che la soluzione della formazione potrebbe essere una pia illusione poichè tali abilità “sono notoriamente difficili da insegnare a scuola“. Blinder inoltre capisce che “è duro immaginare che le posizioni veramente creative potranno mai costituire qualcosa che si avvicini alla maggioranza dei posti lavoro“. Blinder si chiede: “Che cosa faranno tutti altrimenti?”
Blinder riconosce che considerando i differenziali di stipendio fra Stati Uniti ed India, gli americani troveranno occupazione soltanto in servizi che non sono fornibili elettronicamente, come bidelli e gruisti. Questi servizi pratici “non corrispondono alle distinzioni tradizionali fra lavori che richiedono elevati livelli di formazione e lavori che non li richiedono“.
La previsione di Blinder sul futuro dell’occupazione americana è conforme con la mia e quella dell’Ufficio delle Statistiche sul Lavoro (BLS). Dove Blinder sbaglia è nel non vedere l’implicazione di queste tendenze sul deficit commerciale degli Stati Uniti. Un paese la cui manodopera è impiegata in servizi interni non-commerciali è un paese da Terzo Mondo con nulla da esportare. Come pagheranno gli USA la loro pesante dipendenza dalle importazioni di merci industriali e di energia?
Finché il dollaro mantiene il suo ruolo di valuta di riserva, gli americani possono continuare a consegnare carta per beni reali e servizi. Ma per quanto tempo potranno gli Stati Uniti mantenere il ruolo di valuta di riserva quando la loro economia non fa cose da esportare; quando la sua forza lavoro è impiegata in servizi interni; e quando i suoi creditori stranieri possiedono i suoi beni?
Blinder, come Porter e quasi ogni altro economista, mette in guardia contro il provare ad impedire la discesa dell’America in un’esistenza da Terzo Mondo. Blinder dice che il protezionismo bloccherebbe il commercio e “probabilmente farebbe moltissimo danno“. Ma sia Blinder che il rapporto di competitività mostrano che si fa già moltissimo danno agli americani portando all’estero la produzione di merci e servizi per i mercati americani. Dato che sempre più posti di lavoro ad alto valore aggiunto statunitensi nei servizi commerciali sono tagliati a causa dell’offshoring, le scale della mobilità ascendente che hanno reso l’America una terra delle occasioni sono state smontate. Poichè la massa dei lavori nei servizi interni non richiede una formazione universitaria, gli USA si troveranno ad aver investito in modo eccessivo negli istituti scolastici ed il declino avrà inizio.
Per le economie sviluppate, l’offshoring è un’inversione del processo di sviluppo. Man mano che l’offshoring progredisce, l’economia interna sarà sempre meno sviluppata ed avrà meno domanda di formazione universitaria.
Gli economisti non possono parlare dell’evidente verità, perché confondono la funzione di vantaggio assoluto con quella di vantaggio relativo. La tesi del libero scambio si basa sull’assunto del vantaggio relativo che i paesi che si specializzano in ciò che fanno meglio e scambiano beni che altri paesi fanno meglio, partecipano ai guadagni derivati dal commercio e sperimentano standard di vita più elevati.
Nel 2000, la tesi del libero scambio finì sotto un potente attacco quando MIT Press pubblicò “Commercio globale ed interessi nazionali in conflitto” di Ralph Gomory e William Baumol. Questo lavoro indica che la tesi del libero scambio è stata errata sin dal giorno che David Ricardo l’ha creata. Gli economisti non sono scesi a patti con questo importante lavoro e resisteranno dal farlo finchè possono, poiché demolisce il loro capitale umano.
Oltre al provocatorio lavoro di Gomory e Baumol, ho indicato, come ha fatto Herman Daly, che le due circostanze da cui dipende il vantaggio relativo non esistono più nel mondo attuale. Una condizione è che il capitale debba essere internazionalmente immobile e cerchi il suo vantaggio relativo nell’economia interna, non si muova oltre i confini internazionali alla ricerca di un fattore costo più basso. L’altra condizione è che i paesi abbiano differenti relativi rapporti di costo della produzione di merci commercializzabili.
Oggi, il capitale è internazionalmente mobile come i beni scambiabili e le funzioni di produzione basate sulla conoscenza operano allo stesso modo senza riguardo al luogo. Nel mondo attuale non esiste alcuna delle condizioni su cui la tesi del libero scambio si basa.
Poiché le condizioni necessarie per la tesi del libero scambio non esistono più e se la tesi del libero scambio è stata errata sin dall’inizio come mostrano Gomory e Baumol, allora la politica di libero scambio dell’America si basa su un fantastico errore.
Gli economisti hanno cessato da tempo di pensare obiettivamente sul libero scambio. Il libero scambio è diventato un articolo di fede non verificabile. Per quanto posso notare, gli economisti non sono nemmeno più consapevoli delle condizioni necessarie specificate da Ricardo che sono alla base della tesi del libero scambio.
Gli economisti hanno fatto una serie di svarioni nelle loro argomentazioni alla ricerca di proteggere l’offshoring dalle critiche. Per esempio, Matthew Slaughter, membro del Consiglio dei consulenti economici del Presidente Bush, ha redatto uno studio che concludeva: “Per ogni posto di lavoro che le multinazionali statunitensi hanno creato all’estero nelle loro filiali straniere, esse hanno creato circa due posti di lavoro negli USA nelle loro capogruppo“. Com’è arrivato a questa conclusione Slaughter — una conclusione che non può trovare alcun supporto nei dati sul lavoro di BLS? Slaughter ha raggiunto la sua conclusione errata mancando di prendere in considerazione le due ragioni dell’aumento dell’occupazione multinazionale. Uno è che le multinazionali hanno acquistato molte piccole aziende esistenti, aumentando così l’occupazione multinazionale ma non l’occupazione in generale. L’altro è che molte aziende USA hanno stabilito per la prima volta operazioni all’estero e quindi si sono trasformate in multinazionali, aggiungendo così la loro attuale occupazione al numero di Slaughter degli impiegati di multinazionali.
Un altro problema è che la corruzione del mondo esterno è riuscita a penetrare nelle università. Oggi, le università considerano i professori “con un nome” come maghi della pioggia che portano fondi monetari da facoltosi gruppi di interesse.
Sempre più, la ricerca e le pubblicazioni servono gli interessi che le finanziano e non la verità. I soldi comandano ed i professori che portano soldi alle università trovano sempre più difficile evitare di servire gli ordini del giorno dei loro donatori.
Quando un paese rinuncia a produrre beni commerciali, rinuncia ai posti di lavoro connessi alla produzione. L’ingegneria e la Ricerca e Sviluppo si spostano assieme alla produzione. È impossibile innovare indipendentemente dalla produzione e dalla base di Ricerca e Sviluppo. L’innovazione è basata su una conoscenza all’avanguardia di ciò che si sta facendo e se è fatto altrove, l’innovatore si troverà in una posizione sfavorevole.
L’offshoring sta causando profondi problemi per gli USA. Ho suggerito che una riforma necessaria sarà di rompere il collegamento fra le paghe dei CEO e le prestazioni dei profitti a breve termine. Finchè i CEO possono diventare mostruosamente ricchi in pochi anni facendo uscire la manodopera dagli USA, il deficit commerciale continuerà ad aumentare e sempre più laureati universitari saranno impiegati come camerieri e baristi.
L’orizzonte a breve termine dell’amministrazione statunitense mette in pericolo la vitalità di lungo termine delle aziende USA. Questo orizzonte a breve termine è il risultato di una “riforma” che ha cercato di fornire ad investitori le informazioni finanziarie più aggiornate. I riformatori non hanno considerato le conseguenze fortuite.
Gli economisti devono iniettare del realismo nei loro dogmi. L’economia degli Stati Uniti non si è sviluppata sulla base del libero scambio. Qualsiasi siano i costi del protezionismo, i costi non hanno impedito la crescita economica dell’America.
Gran parte del pensiero economico americano si basa sul fatto del successo passato dell’America. Molti economisti danno per scontato che, finché gli USA hanno mercati liberi, continueranno ad aver successo. In realtà, molto del successo dell’America è dovuto alla Prima ed alla Seconda Guerra Mondiale, che hanno mandato sul lastrico i rivali e distrutto la loro capacità industriale. Era facile per gli Stati Uniti dominare il commercio mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale dato che l’America era l’unico paese con un’economia intatta.
Molti economisti allontanano i problemi con cui l’offshoring confronta le economie sviluppate, con la tesi che è solo una questione di equilibramento degli stipendi. Come gli stipendi aumenteranno in Cina ed in India, il differenziale del costo del lavoro sparirà e gli stipendi saranno gli stessi dappertutto. Questa tesi trascura il lungo periodo richiesto per le centinaia di milioni di operai, che si sporgono dai mercati del lavoro in India ed in Cina per essere assorbiti nella manodopera. Durante questo periodo, le difficoltà nei paesi attualmente a stipendio elevato saranno severe. Inoltre, una volta che gli aggiustamenti degli stipendi saranno completati, i nuovi paesi sviluppati avranno in mano le carte più alte. Rinunceranno ai loro vantaggi competitivi e strategici?
Nel numero di CounterPunch del luglio 2006, ho scritto che i posti di lavoro in offshoring erano la nuova forma di conflitto di classe e che stavano portando instabilità politica e conflittualità sociale negli Stati Uniti. Non c’è nulla nell’ultimo rapporto del Consiglio sulla Competitività che mi induca a modificare il mio punto di vista.
Paul Craig Roberts ha retto la Cattedra di Economia Politica William E. Simon al Centro per gli studi strategici ed internazionali dell’università di Georgetown ed era Ricercatore Anziano nella Hoover Institution alla Stanford University. Ha prestato servizio come Assistente Segretario del Ministero del Tesoro degli Stati Uniti nell’amministrazione Reagan. È co-autore di “La tirannia delle buone intenzioni”. Può essere raggiunto su: [email protected]
Paul Craig Roberts
Fonte: http://www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/roberts02192007.html
19.02.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FILMARI
Nota del traduttore:
[1] Dislocazione di operazioni finanziarie da un paese all’altro sotto la logica economica di ridurre i costi.