CIECA VELOCIT, L’INAUGURAZIONE DELLA GRANDE OPERA MARCHE UMBRIA

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superstrada

DI LUCA PAKAROV

Comedonchisciotte

Chi si trova a vivere dall’altra parte, sul versante adriatico, da sempre ha guardato con interesse e un certo senso di inferiorità quanto accade a Roma.

Una smania di vicinanza che si è trasformata in cecità, come quella nel romanzo di Saramago, e che si è scelto di curare tanti anni fa, con la superstrada Civitanova – Foligno, la grande opera rientrata nella Legge Obiettivo grazie ai progettisti e al loro spregiudicato abuso di squadra e righello. A breve, squilli di tromba, si inaugurerà il tratto fino a Colfiorito.

Una promessa, quella della superstrada, iniziata a fine anni ’70, quando il modello marchigiano dell’impresa famigliare diventava una realtà da esportare e che, si dice, veniva studiato perfino dai giapponesi. Un modello economico fatto a pezzi dalla globalizzazione e che nell’Anno Domini 2014 resta un polveroso ricordo, ma tuttora ostentato quando si deve combattere la diffidenza verso il cosiddetto progresso. Un modello che aveva nel Dna la velocità, con le relative megainfrastrutture e che si contrappone a quello che il resto del mondo sta rilanciando per evitare il suicidio collettivo: la lentezza, la sostenibilità ambientale, la bellezza dei luoghi.

Quindi, si era in ritardo negli anni ’80 nei confronti della velocità, ora che i bulldozer della società Quadrilatero hanno quasi finito di devastare le montagne, si è in ritardo nei confronti della lentezza. Per chi passa di lì non resta che riconoscersi nella società creata dai ciechi raccontati dal premio Nobel, quella che stiamo vivendo, in cui la degradazione umana è operata dall’individualismo e da un sordido spirito di sopravvivenza. La realtà che ci ritroveremo, o si ritroveranno a giudicare le generazioni a venire, è quella che scruteranno quando finirà l’epidemia di cecità, in cui è il territorio ad essere stato saccheggiato e distrutto.

cantiere

Intanto all’attivo ci sono tre operai morti già dimenticati e buona parte di chi ha scavato le ventuno gallerie con contratti a tempo determinato. Tutto ciò in favore di quello che l’antropologo Stefano Boni, nel suo ultimo saggio, chiama homo comfort (elèuthera), nella sua continua ansia di comodità: “Gli apparenti benefici sensoriali della tecnologia per la comodità hanno contributo all’inerzia di fronte a gravi intossicazioni ecologiche e alla progressiva destrutturazione e devastazione degli equilibri storici del rapporto tra umanità e ambiente vitale. […] Il consenso passivo della stragrande maggioranza della popolazione va spiegato non solo in termini ideologici ma anche esperienziali”.

Anche i nomi dei cantieri della Strabag, l’opaca società austriaca appaltatrice del progetto della Quadrilatero come della Tav e del Ponte sullo Stretto, non lasciano spazio all’immaginazione, evocando la colonizzazione: Whisky, Yankee, Zulu, India.

Anni fa non era difficile ascoltare lo spaccone del bar di Macerata raccontare di come aveva fatto colpo su una ragazza portandola a Roma, per un caffè. Lo spaccone del bar guidava veloce, non conosceva la leggenda della Sibilla Appenninica e, a Civitanova Marche, si godeva il suo ombrellone nell’affollato stabilimento balneare più in voga. Mezzora in meno per quel caffè a Roma e per le merci dei camion e le tante promesse di lavoro, sembrano aver convinto gran parte degli abitanti della Valle del Chienti dell’utilità della grande opera. A rassicurarli del glorioso futuro ci sono stati anche i Pav, i piani di area vasta, sofisticata macchina che nelle intenzioni dovrebbe catturare valore delle terre circostanti all’opera e permettere alla società Quadrilatero spa di ripagarsi le spese. Cioè con gli affitti delle aree industriali, aree su cui gli enti locali non potranno proferire parola. Come a dire, la facciamo gratis, non vi costa nulla, solo un po’ di cemento qua e là e la cosa pubblica che passa in gestione ai privati, ma si sa, a caval donato non si guarda in bocca. Però. Fra le opzioni del financing project, se la Quadrilatero non recupererà i costi, come probabile giacché alle otto gare di appalto che dovrebbero far sorgere le agognate aree leader, non si è presentato nessun imprenditore, allora saranno i cittadini e le imprese a pagare. E allora via, con un aumento nel 2008 del 20% dell’iscrizione per le piccole imprese alla Camera di Commercio di Macerata per trent’anni, e l’Ici dei Comuni per venti. A suo tempo, una nota imprenditrice locale, commentò la nuova strada affermando che, da quelle parti, sarebbe stata più necessaria una linea adsl funzionante. Per capirci. Così come servirebbe una ferrovia migliore e un allargamento della vecchia statale 77, prossima alla pensione, così da favorire tutte le attività che la costeggiano, destinate ora a vendere panini, mozzarelle, ciauscolo, solo agli abitanti locali. Fino a che ne resterà qualcuno e non chiuderanno e l’unica domanda che farà eco nella valle sarà: chi ci ha guadagnato? A chi è convenuto?

La festa per l’inaugurazione del tratto Serravalle-Colfiorito doveva cadere fra Natale e Capodanno, come un vero regalo confezionato da presidente di Regione, Provincia, società, segretari, eccetera, tanti benefattori che con le elezioni in vista non vedevano l’ora di tagliare nastri e sorridere nelle foto. Un regalo da due miliardi di euro di cui si occupò anche Report nel 2005 perché per niente chiaro era il modo di ripagarsi la strada.

Festa rinviata a venerdì 16 gennaio anche per il ritrovamento di resti archeologici, ma chissenefrega, già che arriverà addirittura il ministro Lupi, vuoi mettere? Di certo ci sarà anche la popolazione dei tanti paesini che però, più pragmaticamente, oltre alla buona porchetta e al vino rosso, brama uno svincolo che non li tagli completamente fuori dall’agognata velocità. Uno svincolo bello segnalato che convinca tanti autisti ad abbandonare i noiosi 110 km/h, uscire, fermarsi, trovare un ristorantino, parlare, visitare, conoscere. Come no, contateci. Nella stampa locale si parla di questo e poco più, rare riflessioni, poche critiche.

A turbare la festa del progresso c’è stato l’ultimo libro di Loredana Lipperini, Questo trenino a molla che si chiama il cuore (Laterza contromano), in cui i ricordi dell’autrice, le leggende e i miti della valle, si fondono con il mondo odierno, in cui a contrapporsi sono la Rustichella dell’autogrill a la mozzarella di Colfiorito. E poi le proteste di tutti i centri sociali marchigiani, che già dal 2004 richiedevano di fermare il progetto e per questo trattati come luddisti fuori stagione.

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Ma in generale sembra quasi che quei piloni di cemento che, come denti cariati, sorgono fra le montagne, siano già assimilati nel panorama mentale della gente. Difficile capire è come l’homo comfort si abitui prima al brutto che al bello.

Luca Pakarov

Fonte: www.Comedonchisciotte.org

15.01.2015

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