C’era una volta la stampa americana. E in parte esiste ancora, ma soprattutto nei film di Hollywood che continuano ad esaltare il coraggio delle grandi testate o di singoli giornalisti con toni romantici e a volte epici. Che fanno cassetta, ma non rispecchiano la realtà. Dai tempi del Watergate i media americani hanno visto erodere buona parte della propria credibilità, sotto i colpi di una serie di inefficienze e talvolta di scandali. Dai giornalisti pluripremiati che inventavano storie di sana pianta, all’incapacità cronica e talvolta compiacente di contrastare le tecniche degli spin doctor per orientare i media, l’elenco è lungo e tutt’altro che lusinghiero.
Dove invece la Attkisson squarcia davvero un velo è sulla parte invisibile della gestione dei grandi media americani, sulle connessioni invisibili con l’establishment. Secondo la Attkisson, la decisioni su cosa pubblicare e cosa no, vengono prese da una ristretta cerchia di dirigenti di New York, legati all’establishment che ragiona e decide secondo criteri imperscrutabili e prevaricatori. «Ci chiedono di creare una realtà che coincida con quello che fa comodo credere a loro », denuncia la star della Cbs. E chi non si adegua, chi si ostina a fare il proprio lavoro di inchiesta liberamente, intepretando il ruolo di cane da guardia, viene emarginato, intimidito, escluso.
E’ quel che è successo alla Attkisson non appena ha toccato temi sgraditi alla Casa Bianca. Messa subito all’indice, con corollari inaccettabili in democrazia , come il sistematico e impunito hackeraggio del suo computer da parte dei servizi segreti. Roba da Unione Sovietica, non da libera America.
Il quadro che emerge è quella di un mondo mediatico che tende ad assecondare le volontà dell’establishment anziché monitorarlo e sfidarlo. Il potere delle lobby è quasi assoluto eppure quasi mai descritto e men che meno denunciato dalla stampa. Le reti che contano a Washington non sono mai rivelate, certi temi scomodi e davvero importanti per la società Usa al più sfiorati, la ricostruzione dei grandi fatti della politica internazionale sempre monocromatca e conformista. Le penne che non si adeguano vivono sul web ma non trovano spazio in tv o sulle grandi testate. La Attkisson non è sola. Il più grande giornalista d’inchiesta, Seymour Hersch, da tempo, non a caso, è fuori dal giro dei giornaloni. Opinionisti di calibro ma fuori dagli schemi come Paul Craig Roberts, ex assistente di Reagan, vengono marginalizzati.
L’impressione è che i mali della stampa si inseriscano in un contesto più ampio, nel quale la comunicazione è usata sempre più a fini strategici, con modalità opache. Oggi sappiamo che le rivoluzioni democratiche in Egitto, Tunisia e Libia sono state in realtà generosamente ispirate da Washington, così come la rivolta di Piazza Maidan a Kiev, dove, pur di sottrarre l’Ucraina all’influenza russa, l’Occidente ha sdoganato gruppi paramilitari neonazisti. Cinismo della politica internazionale, certo; ma oggi le guerre si combattono non solo con le armi, anche, talvolta soprattutto, usando tecniche asimmetriche come l’influenza mediatica.
Singolari, ad esempio, sono gli scoop del Consorzio internazionale del giornalismo, che l’anno scorso ha attaccato le piazze offshore e la scorsa settimana ha svelato le pratiche fiscali in Lussemburgo, in entrambi i casi avendo accesso a una mole impressionante di documenti riservatissimi, di cui il Consorzio, ovviamente, non rivela la fonte. Chi può aver violato così massicciamente la riservatezza di grandi gruppi o di archivi di Stato? Non certo un manipolo di volenterosi cronisti… Qualcuno ovviamente li ha imbeccati fornendo file solitamente inaccessibili. Sottratti da chi ? A quali fini ? E perché ora ? Queste sono le domande che la stampa libera dovrebbe porsi, ma che in realtà non formula mai. Semmai fa da cassa di risonanza, con effetti pervasivi, sovente devastanti e la Svizzera lo sa bene. La pressione mediatica è stata decisiva per indurre Berna alla resa sul segreto bancario, benché le premesse giuridiche fossero infondate, come è stato dimostrato dall’assoluzione del banchiere Weil.
Ma questi sono i metodi che vengono usati per vincere le guerre invisibili. E che pochi giornalisti capiscono e ancor meno denunciano.
Marcello Foa
Fonte: http://blog.ilgiornale.it
16.11.2014
Dove non arrivano i tank,dove non vi sono rivoluzioni arancioni,dove si rispettano i diritti civili si arriva con campagne stampa discriminatorie,show di armi di distruzione di massa,non hanno neanche piu`il pudore di pensare quello che la massa metabolizzera`…..con la Svizzera hanno cominciato la saga con i patrimoni ebrei giacenti fino alla demolizione del segreto bancario e le multe a loro dire per negligenze bancarie…che mensilmente si inventano pena togliere la licenza di operare negli usa….banditismo allo stato puro e legalizzato…
E in Italia ?
Si arruola nel PWB (l’Ufficio di Guerra Psicologica anglo-americano). In seguito s’iscrive al PCI [it.wikipedia.org].
Nel 1945 [it.wikipedia.org] è tra i fondatori dell’ANSA, e dal 1947 [it.wikipedia.org] su invito di Togliatti, assume la direzione milanese de l’Unità [it.wikipedia.org]. Nel 1949 viene nominato alla direzione dell’Ufficio Propaganda del PCI. Un incarico che permette a Mieli di entrare in contatto con i leader dell’Europa dell’Est. Abbandona il PCI dopo la rivolta ungherese del 1956 [it.wikipedia.org]. "Non si fidavano più di me", spiegò Mieli, perché "durante la guerra avevo fatto parte dello staff anglo-americano del PWB. Venivo cioè dalle file degli ex alleati, diventati, ai loro occhi, nemici in tempo di guerra fredda". Uscito dal PCI, adottò le idee degli economisti ultraliberisti Friedrich von Hayek [it.wikipedia.org] e Ludwig von Mises [it.wikipedia.org], fortemente avversi a qualsiasi forma di socialismo.Dopo l’uscita dal PCI, creò a Milano, con il finanziamento garantito dalla Confindustria, il Centro ricerche economiche e sociologiche dei paesi dell’Est (Ceses), organizzando seminari e convegni assieme ai sovietologi occidentali, e fondò la rivista l’Est, dedicata al blocco sovietico. Il Ceses era la filiale italiana di Interdoc, un istituto dell’Aia creato nel 1963 dai servizi d’intelligence della NATO per coordinare l’offensiva anti-comunista, dalla propaganda alle operazioni coperte, attingendo da fonti esclusive e materiale inedito di ex quadri e dirigenti dei partiti comunisti europei.
Serve altro ?
Sto analizzando con crescente interesse la produzione di film e di documentari fino circa il ’75 e quanto prodotto dopo il 2001.
Ci sono diverse cose che cambiano, ma vi sono alcuni aspetti che mi colpiscono. Il primo riguarda la sceneggiatura: nei vecchi film le persone dialogavano a molti livelli tra di loro e con il pubblico in un linguaggio corporeo teatrale molto sofisticato che richiedeva molti campi lunghi, oggi invece è l’inquadratura frenetica e vicina e l’elaborazione fotografica "effetto psichedelico" che dialoga di più con lo spettatore, con il paradossale risultato che gli auto-prodotti risultano spesso recitati meglio.
Un altro delle pellicole contemporanee riguarda le pause. C’è una gestione soffocante del ritmo, le riprese perseguitano la mente dello spettatore come una specie di stupro mentale ossessivo. La parte però più interessante è che la massa vive una specie di "sindrome di stoccolma" riguardo questa violenza, in particolare nell’aspettativa, tanto che se esce un film con pause è istantaneamente criticato "per le pause".
Infine vi è un terzo aspetto anche più interessante degli altri. C’è una sorta di indescrivibile "de ja vu" che ti perseguita quando vedi per la prima volta i film moderni, che non riesci a vivere se riguardi una vecchia pellicola che conosci a memoria. La questione non credo riguardi la narrazione, ma proprio il format, cioè "la cornice" entro cui è narrata la storia.
Questa analisi tiene conto che la produzione video-mediatica americana era certamente pianificata a livello centrale e politico-militare oggi come a quell’epoca. Tuttavia la qualità della propaganda è radicalmente cambiata e questo oltre ad essere un segnale dei tempi potrebbe a mio avviso anche fornire un indizio su come sia cambiata la guardia dei controllori.
L’uso propagandistico a fini economici e politico-militari statunitensi dei media non è mai stato in discussione, come non può essere in discussione in qualsiasi governo, democratico o dittatura che si voglia considerare, del mondo. Tuttavia nel tempo ci si è resi conto che la posizione di predominanza statunitense avrebbe richiesto certamente più responsabilità: negli anni ’70 era l’aspettativa di quasi ogni individuo e questo veniva riflesso nella pellicola del tempo.
Ciò che invece ha predominato ben oltre ogni tollerabile confine umano, è la spregiudicatezza, l’arroganza e la prepotenza verso tutti e tutto, unita a un assoluta mancanza del senso della misura.
Cioè il comportamento che ti aspetti da un cocainomane con dipendenza cronica. Il che è un disastro se capita a un tuo parente, ma una catastrofe se capita con l’intero blocco dirigente politico ed economico di un paese.
Questo viene riflesso benissimo in tutta la produzione mediatica, videogame compresi. Tra l’altro con ripercussioni a cascata, del tipo "sindrome di stoccolma" di cui sopra.
Il solito Foa, dice le cose che dicono i tanto bistrattati complottisti, fa le sue denunce e poi c’infila dentro la solita formula assolutoria del tipo "pochi giornalisti capiscono", "non tutti sono consapevoli delle menzogne che dicono", "sbagliano", "fanno errori", per lui sono tutti angioletti, non c’è mai un operatore dell’informazione che manipola consapevolmente, per lui sono tutti inconsapevoli e quindi innocenti. Ridicolo. Lo sanno bene quello che stanno facendo.
Quella che tu chiami "Sindrome di Stoccolma" è in realtà un altro fenomeno ben conosciuto: Crisi di Astinenza.
Il normale meccanismo per porgere i contenuti sarebbe il meccanismo tensione-rilassamento (climax-plateau, arsi-tesi, ecc), ovvero la preparazione per il "momento culminante" e il suo successivo rilassamento. Con questa modalità la salita verso il "picco" è poco pregnante, il picco è chiaramente identificato come "la cosa importante" (il contenuto) e il successivo rilassamento dà tempo e modo di elaborare il messaggio che ti viene proposto.
Alla fine di una "opera" (vale anche per la musica) tu hai ricevuto una serie di messaggi abbastanza riconoscibili, li hai elaborati, e dunque esci dall’esperienza filmica (musicale, teatrale) avendo fruito, oltre che "entertainment" puro (gradevolezza), anche una serie di elementi di riflessione (piacere intellettuale: hai elaborato, quindi "imparato" qualcosa).
L’isterica dinamicità dei film moderni è nei fatti un cambio della percettività:
abituando il cervello a seguire una scena "pregnante" dopo l’altra si indebolisce l’attitudine a elaborare messaggi. I picchi non sono preparati ma affastellati uno dopo l’altro e non ti viene dato tempo di elaborare alcun messaggio perché subito dopo c’è un altro picco di significatività (o proposto come tale, anche se poi la pregnanza è abbastanza scarsa).
Il cervello "esige" significatività e non vuole perdersi quei momenti, perciò si adatta a rinunciare sia alla preparazione prima del climax, sia al tempo per elaborare dopo… in cambio della capacità di afferrare tutti i picchi che gli vengono proposti. Ma è un imbroglio, perché i picchi sono presentati come significativi, ma non lo sono davvero: dato il pressante avvicendarsi degli stimoli, il cervello non ha il tempo di elaborarli e, se fossero messaggi complessi, li rigetterebbe. Ecco perché si privilegiano messaggi "deboli", stereotipati e predigeriti (la tua sensazione di dejà vu), insomma: facili da cogliere.
Viene in pratica addestrato a una sequenza ininterrotta di picchi da subire passivamente. L’entertainment c’è ancora, la trasmissione di messaggi pure (deliberatamente semplificati, appunto), ma manca la componente di elaborazione.
Questo tipo di esperienza non per niente viene chiamato IPER-REALTA’: non ha riscontro nella normale percezione, né degli spettacoli di fantasia né della realtà*.
Ha invece somiglianza col sovradosaggio insensato di emozioni/sensazioni tipico delle esperienze allucinatorie (sogni, deliri di febbre, alcool e sostanze psicotrope).
E proprio come con le droghe, se il cervello è esposto spesso al sovradosaggio percettivo lo comincia a confondere con la realtà, a considerarlo stato normale (e non lo riconosce più come "alterazione di coscienza").
E sviluppa dipendenza, perché lo stato di alterazione è sia piacevole che "deresponsabilizzante": non hai bisogno di faticare per decodificare o assorbire, come invece ti impone la realtà non alterata.
L’iper-realtà diventa una costante della vita, e quando ti viene proposta un’esperienza del "vecchio tipo" soffri di una forma di insofferenza, sia per la scarsa densità di "picchi significativi" sia per la mancata semplicità dei contenuti che adesso devi "darti da fare" per estrarre.
Insofferenza che corrisponde al fastidio che ti dà l’astinenza da una sostanza a cui sei assuefatto.
Occhio però, che l’astinenza non si manifesta come tale: il tabagista, l’alcoolista, ecc non sentono "dolore"; sentono nervosismo, insoddisfazione, ansia… che non collegano all’astinenza (e quindi non trovano niente di strano a che i normali anti-stress come bevande calde, passeggiare, dormire, chiaccherare con amici, siano inefficaci). Quando poi assumono la sostanza dicono che "li rilassa", non si accorgono che semplicemente gli calma l’astinenza.
Idem con i film e la TV: non ti accorgi di essere in astinenza da iper-realtà, neanche quando delle pellicole che sai per certo essere capolavori ti lasciano indifferente.
*nota: realtà e fantasia sono due cose diverse, ma entrambe sono percezione di contenuti: cambia la modalità dell’elaborazione, ma l’elaborazione è in ambedue necessaria ad acquisire contenuti.
L’iper-realtà invece bypassa proprio il processo di elaborazione: l’acquisizione di contenuti è di tipo "pavloviano", non è attiva e (al limite) neanche consapevole.