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La Redazione

 

CHIUSI DENTRO: UNGHERIA, IMMIGRAZIONE E ASILO POLITICO

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A cura di Davide
Il 15 Luglio 2015
45 Views

DI BINOY KAMPMARK

counterpunch.org

“Se venite in Ungheria, portereste un primo ministro sano di mente?” – Gergő Kovács, slogan luglio 2015

La mania di costruire barriere sta prendendo piede. Mentre l’Unione Europea si sforza di difendere le proprie idee influenzando i suoi membri con forze destabilizzanti, l’Ungheria è occupata a sigillare le sue frontiere dai cosiddetti migranti irregolari.

Questo sembra piuttosto strano per il più grande dei paesi di transito, bersagliato da tendenze migratorie. “Le particolari caratteristiche dell’Ungheria”, osserva Judit Juhász, “sono radicate in questa storia di confini mutevoli, oltre alle forti tendenze migratorie degli antenati ungheresi” (Migration Policy Institute, Nov 1, 2003) (1).

Per secoli, come unità amministrativa di rilievo all’interno dell’Impero asburgico, l’idea stessa di frontiere era considerata assurda. Lo Stato multietnico era caratterizzato da movimenti interni verso le varie parti dell’impero. La migrazione, in breve, fu l’ultimo strumento di distribuzione della popolazione della monarchia austro-ungarica. Le due guerre mondiali misero fine alla tradizione: vennero istituiti confini lungo le linee nazionali, furono attuate espulsioni di massa e le etnie mescolate.

L’attuale interesse verso l’integrità territoriale in Ungheria è fondamentalmente economico. Tutto sta nei numeri – e nella percezione che la sovranità stia prendendo una bastonata da un flusso umano proveniente dall’Africa e dal Medio Oriente. Circa 72.000 migranti sono entrati nel Paese – almeno secondo le valutazioni del governo. Ciò a fronte dei 43.000 dell’anno scorso. Con un certo grado di allarmismo, il ministro dell’Interno Sándor Pintér ha affermato che, “L’Ungheria sta affrontando la più grande ondata di migranti della sua storia, le sue capacità sono sovraccariche del 130 per cento”.

All’inizio di questo mese, il Parlamento ungherese è stato impegnato ad approvare leggi che consentono la creazione di più strutture per gestire i migranti, accelerando i tempi per valutare le richieste di asilo e limitando le possibilità di ricorso. Lunedì, il partito di governo Fidesz, con il sostegno del partito di destra Jobbik, ha ottenuto 151 voti favorevoli e 41 contrari. Una fonte governativa ha detto alla BBC che soltanto “alcune decine, o al massimo qualche centinaio” di migranti verrà accettato in futuro.

Queste mosse sono spaventosamente vicine alla violazione della Convenzione sui Rifugiati delle Nazioni Unite del 1951, anche se il portavoce del governo Zoltán Kovács è convinto che l’Ungheria stia operando all’interno della legge. Con gli occhi di un vero manager per l’evasione, egli sostiene che le procedure di richiesta d’asilo e dei migranti continueranno, anche se più rapidamente. In questo, egli può fare riferimento a precedenti in tutta Europa e più lontano.

Questo diventa ancora più problematico data la denominazione populista di tutti i rifugiati come ingordi migranti economici. Questa categorizzazione risulta utile a chi tende ad alzare il ponte levatoio – questi “migranti”, secondo la retorica, provengono da zone di conflitto per guadagnarsi da vivere, piuttosto che fuggire dall’oppressione. (Leggi: scarsi posti di lavoro ed esaurimento dei servizi locali).

Aree di conflitto come la Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Siria, Afghanistan, sono considerate mandanti di un particolare tipo di migranti. Come spiega il portavoce per l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per Rifugiati (UNHCR) Babar Beloch: “Questa è una crisi di rifugiati, ma qui è stata ingiustamente descritta dai politici come una crisi di migranti”(BBC, 7 luglio).

L’Ungheria ha mostrato le sue vere intenzioni dopo la fine della Guerra Fredda con una legislazione specifica in materia di attraversamenti illegali delle frontiere. Questi tentativi di gestire i flussi migratori hanno avuto degli alti e dei bassi. La legge sui confini e le guardie di frontiera del 1997, come suggerisce il suo nome, ha concesso alle guardie maggiori poteri e mezzi.

Poi è arrivata la legge sull’asilo del 1998, che ha rimosso la limitazione geografica per le richieste dalla sola Europa mentre stabiliva un modo di gestire i richiedenti asilo, attraverso il trattamento, rifugio e assistenza sociale. Ciò inevitabilmente ha portato ad un aumento delle richieste non-europee, in particolare da Afghanistan, Iraq e Bangladesh. Il regolamento con l’UE è entrato in gioco nel 2002, per le leggi nazionali sono state portate in linea con l’Unione.

Da allora, i governi ungheresi hanno supervisionato l’espansione del sistema di detenzione per immigrati, introdotta nel 2010. Modifiche sono state apportate alla legge sull’asilo nel luglio 2013 limitando i fondamenti per la detenzione, ma il Comitato Helsinki Ungherese ha scoperto che nel mese di aprile dello scorso anno circa il 40 per cento o più di uomini richiedenti asilo per la prima volta sono stati trattenuti in centri di detenzione.

Un rapporto pubblicato questo mese da Amnesty International suggerisce che la detenzione può avvenire “in condizioni di sovraffollamento talvolta degradanti”(2). Anche la polizia ha fatto la sua parte, maltrattando gli immigrati. Il rapporto ammette che la maggior parte dei richiedenti asilo vengono rilasciati in “centri di accoglienza aperti”, ma la possibilità di fuga è considerata un rischio che le autorità prendono sul serio.

Una strategia globale di classificazione è stata adottata nei confronti dei paesi vicini all’Ungheria. I Balcani e la Grecia sono malvisti, considerati paesi “sicuri”, in cui autorità sempre più povere fanno fatica a gestire il flusso di migranti. Meglio la Serbia, la Macedonia e la Bulgaria che le autorità di Budapest. L’Europa, sostiene il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szíjjártó, perde tempo sul tema della migrazione, mentre i confini dell’Ungheria cedono.

La Serbia ha espresso pubblica costernazione riguardo l’atto di sigillare il confine di 175 km tra i due paesi, promettendo che non farà altrettanto tagliando fuori la Macedonia e la Bulgaria. “La Serbia non ha intenzione di chiudersi dentro”, ha dichiarato l’indignato Primo Ministro Aleksandar Vučić. “La Serbia non ha intenzione di vivere ad Auschwitz”(3).

Il primo ministro Viktor Orbán ha dato scarse rassicurazioni sul fatto che la recinzione non sia diretta a sud. Un paese che è stato uno dei primi a smantellare la cortina di ferro tagliando il filo spinato nel 1988 è diventato uno dei più importanti critici dei confini europei aperti.

Le parole di Orbán, dopo una riunione con i colleghi serbi, hanno una sorprendente somiglianza con quelle dei paesi sviluppati, desiderosi di evitare la questione di esaminare gli impoveriti e gli oppressi. “È un’illusione per chiunque pensare che le persone provenienti dalle aree di crisi africane continueranno ad arrivare in Europa solo fino a quando le crisi stesse non siano risolte” (4).

Non si è fermato lì. Sono state fatte previsioni fantasiose riguardo un’inondazione, un annegamento dell’Ungheria. “Se lo permettiamo, potrebbe avvenire una migrazione di massa di milioni, addirittura decine di milioni e anche centinaia di milioni di persone”.

C’è anche un pizzico di ironia in tutto questo, dato che i giovani ungheresi in realtà stanno lasciando il loro paese per trovare lavoro altrove. I magiari [etnia ungherese], come sempre, migrano. Dati attuali mostrano che circa 350.000 lavorano all’estero. L’Ufficio Centrale di Statistica Ungherese ha dati piuttosto sorprendenti: 31.500 hanno lasciato il paese nel 2014, costituendo un aumento del 46 per cento a partire dal 2013.

C’è più di una debole speculazione che questa migrazione di giovani ungheresi sia stata incoraggiata dalla posizione reazionaria presa da Orbán. Detto questo, non ha particolarmente voglia e fretta di trovare eventuali sostituti non europei.

BINOY KAMPMARK

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2015/07/09/71862/

9.10.215

Traduzione per www.comedonchisciotte.org cura di KOKO

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