DI GIANNI PETROSILLO
conflittiestrategie.it
La Grecia sta all’Europa più o meno come la Basilicata sta all’Italia, ma con la grande differenza che quest’ultima regione è importantissima per il nostro Paese in virtù delle sue immani risorse energetiche mentre la Repubblica Ellenica, ormai in rovina, esporta rovine ed importa turisti, flaccidi tedeschi o odiosi francesi. Insomma, senza la Lucania ce la vedremmo senza oro nero, mentre abbandonati dalla Grecia la vita non ci cambierebbe molto. Eppure, il coro unanime degli eurospacciatori ripete come una nenia che con Atene fuori dai giochi l’euro crolla trascinandosi dietro tutta l’UE. Laddove questo fosse credibile sarebbe un’ennesima attestazione della fragilità di una unione monetaria priva di basi politiche che qualcuno ritiene indispensabile, a questo punto con motivazioni altrettanto incredibili.
Ovviamente, sto esagerando per mettermi al livello delle balle sesquipedali di cui si servono gli eurotravet per spaventare il resto della popolazione continentale, alla quale non deve baluginare nella testa l’idea di ricominciare col vecchio conio nazionale, altrimenti la grande finanza e la banche non saprebbero come speculare col sangue delle collettività ed arricchirsi alle spalle della gente. Ma l’euro è soprattutto necessario per giustificare l’esautoramento dei governi degli Stati più deboli ai quali viene sottratta la governace dell’economia che è il mezzo attraverso il quale si sovvenziona la sovranità e l’indipendenza di una nazione. Difatti, non esiste idea, aspirazione, volontà di affermarsi nel contesto regionale o globale, senza le risorse finanziare indispensabili a tradurre un concetto astratto in un progetto concreto, il desiderio di potenza in atto della Potenza.
Per queste ragioni hanno caricato le elezioni elleniche di significati esasperati che nulla c’entrano con la situazione reale. A parte il fatto che anche in caso di abbandono della moneta unica la Grecia non sarebbe schizzata fuori dal campo gravitazionale di Bruxelles, la vera preoccupazione dei prepotenti del circolo delle stellette è l’indisciplina di questi piccoli associati i quali prima accettano di sedere al tavolo dove si perde sempre e poi pretendono di lasciare il banco con ancora le mutande indosso.
Di Paesi furbetti che hanno contribuito a svuotare le casse comuni, pur non avendo aderito all’euro, l’ Europa è piena, aggiungiamo pure Atene a questo club esclusivo di renitenti senza stare a lagnarci più di tanto. Ci può essere pure il greco se sono iscritti danesi, svedesi e inglesi. Sembra una barzelletta ma è soltanto l’Europa dei banchieri e dei filibustieri politici sottomessi alla Casa Bianca.
I sudditi di sua Maestà la Regina poi non hanno sacrificato nulla per essere parte integrante dell’UE tanto che non sappiamo ancora cosa ci stiano a fare, guidano contromano (lo ha detto persino Giorgio Napolitano durante una visita ufficiale a Londra), misurano in pollici e si sentono una spanna al di sopra di tutti gli altri. Altro che tracotanza tedesca, la serpe in seno dell’Europa è ancora la cinquantunesima stelletta degli Usa che si è intrufolata sulla bandiera europea per farci una guerra stellare e tenerci ancorati alla forza attrattiva ed egemonica di Washington. Forse ripristinando la dracma (ma con la vittoria della destra alle ultime consultazioni elettorai l’ipotesi dovrebbe allontanarsi) i greci avrebbero avuto come unica occupazione quella di suonare la lira.
Per noi invece tornare alla lira, modificando le nostre proiezioni geopolitiche e le alleanze internazionali, significherebbe suonarle di santa ragione a chiunque, sia sotto il profilo economico, con le nostre esportazioni nuovamente competitive anche nei confronti della Germania, che su quello politico, approfondendo relazioni non convenzionali verso Est e nel Mediterraneo.
Purtroppo questa opportunità ci è sfuggita recentemente di mano, a causa della defezione di tutta la nostra classe politica la quale, intimorita dall’aggressività internazionale dei nostri infidi partner, ha preferito affidarsi a Monti per smontare quanto di positivo era stato fatto negli anni passati. Quel poco di buono che avevamo raggiunto è stato dissipato da una classe dirigente di buoni a niente guidata da un pressapochista della Trilaterale.
Quindi c’è poco da illudersi, non stamperemo la lira e nemmeno le canteremo a chicchessia mentre il mondo continuerà a canzonarci e a stamparci in faccia sonori sganassoni geopolitici.
Gianni Petrosillo
Fonte: www.conflittiestrategie.it
Link: http://www.conflittiestrategie.it/2012/06/18/chi-suona-la-lira/
18.06.2012