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DI MAURIZIO BLONDET

L’ex ministro degli esteri britannico Robin Cook è morto d’improvviso.
A 59 anni.
Mentre, secondo la sua abitudine di  buon camminatore, camminava sulle sue dolci montagne scozzesi. 
Il suo ex segretario parlamentare Ken Purchase ha detto al Guardian che le prime notizie erano “contrastanti”, e si è parlato dapprima di un “incidente”.
Ora, la versione ufficiale stabilita è che Cook è morto per un attacco cardiaco.  Nonostante fosse, a detta di amici e conoscenti, in buona salute.
Siamo in grado di smentire; da ultimo la salute di Robin Cook era pericolosamente indebolita, per alcune cattive abitudini da lui adottate.Il 7 luglio scorso, dopo l’attentato di “Al Qaeda” a Londra, Robin Cook se n’era uscito a dire che, per quanto ne ricordava lui (un ex ministro degli Esteri con frequentazione del controspionaggio britannico), Al Qaeda era “il nome del database americano che conteneva i nomi dei mujaheddin arruolati dalla CIA per  combattere i sovietici in Afghanistan”.
Di questi tempi, asserzioni del genere possono minare anche le più forti fibre.
Peggio.
Nel marzo 2003, Cook s’era dimesso dalla carica ministeriale per protesta contro l’invasione anglo-americana in Iraq, che considerava illegale.
Il suo discorso di dimissioni fu di tale dignità e altezza morale, da mettere in pericolo la sua longevità.
Eccone alcuni passi.

“Non posso sostenere una guerra che manca di un accordo internazionale e di sostegno nazionale. […] La realtà è che alla Gran Bretagna  viene chiesto di imbarcarsi in una guerra che non ha il consenso di nessuna delle entità internazionali di cui noi siamo membri importanti: non la NATO, non l’Unione Europea né il Consiglio di Sicurezza [dell’ONU].
[…] I nostri interessi sono protetti al meglio non da azioni unilaterali, bensì da accordi multilaterali e da un ordine internazionale governato da regole certe. Ma stasera gli organismi internazionali di cui facciamo parte, e che sono così importanti per noi, sono indeboliti. L’UE è divisa; il Consiglio di Sicurezza è paralizzato. Sono perdite pesanti, per una guerra in cui non è stato ancora sparato un colpo.
[…] La difficoltà che oggi abbiamo nel riscuotere il sostegno [di questi organismi] sta nel fatto che né la comunità internazionale, né la cittadinanza britannica sono convinti che esista una ragione urgente e impellente per l’azione militare in Iraq.
Nessuno può prevedere il costo in vite di civili  dell’imminente bombardamento dell’Irak; ma l’avvertimento Usa di una campagna di bombardamento che provocherà ‘shock and awe’ rende probabile che conteremo a migliaia il numero di perdite umane.
Nei miei quattro anni da ministro degli Esteri ho contribuito alla strategia di contenimento occidentale. Nel passato decennio questa strategia ha distrutto più armi che la guerra del Golfo, ha smantellato il programma nucleare iracheno e bloccato i progetti di missili a medio e lungo raggio di Saddam. La forza militare irachena è oggi meno della metà di quella che fu al tempo della [prima] guerra del Golfo. Alcuni sostenitori dell’attacco proclamano che le forze di Saddam sono così deboli, demoralizzate e mal rifornite che la guerra sarà finita in pochi giorni. Non possiamo basare la nostra strategia militare sull’assunzione che Saddam è debole, e nello stesso tempo giustificare un’azione preventiva sull’assunto che egli è una minaccia.
L’Iraq probabilmente non ha armi di distruzione di massa, ossia un reale apparato capace di essere lanciato contro una città-bersaglio. Perché è divenuto così urgente disarmare con un attacco una capacità militare che esiste da vent’anni, che noi abbiamo contribuito a creare?
Io intendo stasera unirmi a coloro che voteranno contro l’azione militare. E’ per questo motivo, e questo soltanto che, col cuore pesante, mi dimetto dal governo”.

La salute di Robin Cook cominciò da quel giorno a declinare, anche se lui poteva sentirsi sano e forte.
Tanto più apparve in pericolo, in quanto diventava ogni giorno di più un possibile candidato laborista alternativo a Tony Blair, nell’eventualità – facilmente prevedibile –  che l’appoggio popolare alla guerra in Iraq, da debole, diventasse evanescente.

Di questi tempi, la forza del carattere di personalità politiche è un inquinante letale.
Anche Mo Mowlam (nella foto a sinistra), già segretaria dell’Irlanda del Nord, anch’essa laborista e anch’essa esplicita oppositrice della guerra all’Iraq, è stata ricoverata in fin di vita per un “tumore al cervello”, proprio mentre Cook crollava per un “attacco cardiaco”. Come si può meglio dimostrare che certe posizioni rovinano la salute?

 Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
10.08.05

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