CHE COS'E' QUESTA TERZA GUERRA MONDIALE…(PARTE SECONDA)

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DI HS

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Come è noto pure alle pietre in questi ultimi mesi la (terribile) scena iraquena è stata occupata da un nuovo, ineffabile soggetto “islamista”, il Califfato Islamico dell’Iraq e del Levante che, nell’arco di poche settimane è riuscito a occupare e conquistare le regioni a nord della Siria e dell’Iraq nordoccidentale infliggendo numerose sconfitte all’esercito ufficiale iraqeno, a quanto parrebbe male addestrato ed equipaggiato e diviso fra la tradizionali fazioni sciite e sunnite. Nato in Siria e riferibile all’universo qaedista, questo nuovo e determinato esercito guerrigliero si sarebbe reso autonomo dallo schieramento ispirato a Bin Laden e ad Al Zawahiri, per condurre una sua “guerra privata” senza scrupoli di sorta, sia contro il regime siriano di Bashar El Assad che contro gli “infedeli” e gli “apostati”.

Alla sua apparizioni il repertorio di efferatezze si sarebbe arricchito e condito di una molteplicità di stragi, esecuzioni, torture, stupri, crocifissioni, ecc… che hanno immediatamente conferito al Califfato una fama sinistra e non invidiabile, costringendo i qaedisti a “scomunicare” i loro energici e butali compagni. D’altronde i guerriglieri del Califfato avrebbero rivolto le loro armi anche contro Al Nusra, la “cellula” o brigata di Al Qaeda in Siria. Da giugno le attenzioni del Califfato si sono rivolte all’Iraq con un attacco – a sorpresa ? – a cui l’esercito iraqeno non ha risposto in maniera sufficientemente adeguata. La marcia dell’esercito del Califfo ha qualcosa di incredibile: con rapidità e spietata, chirurgica efficienza militare conquista, prima Falluja e poi Mosul, la terza città dell’Iraq per abitanti e per importanza. Allo stato attuale il Califfato si sarebbe insediato su una porzione di territorio superiore alla Gran Bretagna, con una facilità disarmante… Il termine “esercito” non è stato usato casualmente, perchè è concretamente impossibile che una banda di guerriglieri, sia pure bene armati, equipaggiati ed addestrati, possa conquistare una porzione di territorio tanto vasta. Ne consegue che, la pretesa di fermare gli uomini del Califfato con una manciata di chirurgici bombardamenti è una chiara e deliberata “idiozia” se rapportata al potenziale bellico – di uomini, mezzi e tecnologia – di cui dispongono gli americani e la NATO. Così come è una corbelleria l’opzione delle forniture d’armi ai guerriglieri kurdi (peshmerga), generalmente “residuati bellici” della guerra dei Balcani, armamento di produzione sovietica di vecchia generazione. Non ho una grande dimestichezza con la materia militare – fra l’altro sono stato riformato ed esentato dal servizio militare ! -, ma credo di poter essere confortato dagli esperti quando sostengo che una guerra con un esercito indottrinato e ben addestrato ed equipaggiato come quello del Califfato non può non essere affrontata “sul terreno” o, tramite un esercito o eserciti regolari o a gruppi paramilitari adeguatamente istruiti a cui affidare una “guerra per procura”. Tutto questo con lo scopo dichiarato di riconquistare quanto sottratto dall’esercito islamista in questione e non con l’intenzione di “limitare i danni” e le sofferenze della popolazione. Eppure dovrebbe essere in vigore un trattato di difesa fra USA e Iraq che obbligherebbe il superpotente alleato a intervenire tempestivamente ed il fatto che ciò non avvenga è dettato da precise opzioni politiche sulle cui motivazioni sarebbe necessario indagare…

Ma procediamo…

L’IS, ISIL o ISIS – secondo i vari acronimi attribuiti al potente Califfato – racchiude un presunto “mistero” che i media del sistema mainstream ci raccontano in maniera parziale, perchè qualcuno dovrà spiegare come, nell’arco di circa un anno, si possa organizzare un simile “mostro” senza che nessuno fornisca una spiegazione soddisfacente e convincente… In una parola: completa !!!

Il Califfato avrebbe potuto reclutare una incalcolabile numero di nuovi “guerriglieri” sunniti in reazione alla politica malaccorta politica discriminatoria dell’ex premier sciita Al Maliki…

Il Califfato sarebbe riuscito a impossessarsi dei più moderni ed efficaci armamenti in dotazione all’esercito iraqeno in fuga…

Il Califfato avrebbe colto impreparati gli analisti e gli esperti di strategia del Pentagono ed della NATO…

Più il tempo passa e ancor più ci si accorge dell’infilata di spiegazioni poco convinte e convincenti, riproposte dai soliti noti. Sarà pur vero che il Califfato è riuscito a fare breccia nei confronti di una parte consistente della popolazione sunnita – almeno agli inizi – ma questo agguerrito esercito jihadista viene dapprima costituito in Siria per rovesciare Assad e, ad esso, si uniscono mercenari e volontari provenienti da altri paesi arabi e musulmani e, in primis, dalla Libia, dove sono stati proprio i jihadisti a fare di Gheddafi quello che, per il momento, non è stato possibile con il baathista Assad.

Come si può osservare, il panorama si complica…

E le armi ? Anche in questo caso, è chiaro che la dotazione bellica dei guerriglieri dell’ISIS – lanciamissili, missili terra aria, lanciagranate, ecc… – evidentemente in grado di reggere il confronto con un esercito regolare e ben armato, non può provenire unicamente da un esercito così disorganizzato e sgangherato da battere sostanzialmente in ritirata al primo tuonare di cannoni ed obici. E’ altrettanto e palesemente chiaro che in Medio Oriente si organizzavano e si organizzano massicci traffici di armi sotto l’occhio benevolo di diversi servizi segreti e con la loro approvazione ed autorizzazione. Il fatto che il transito delle armi più o meno convenzionali sia massicciamente approdato all’ISIS, è sicuramente una circostanza allarmante e di grande valenza “criminale” e “criminogena”. Il silenzio precede generalmente la tempesta, ma acoltare la voce di quel silenzio spiegherebbe molte cose…

Nella metà degli anni Novanta il politologo ed esperto di geopolitica Samuel Huntington licenziò alle stampe un testo “teorico” fondamentale, al paio di quello sulla “Fine della Storia” del “collega” Francis Fukuyama. Il prof. Di Harvard non era un comune intellettuale da salotto, ma uno dei “cervelli” di think tank e lobbies “americane” e “anglofone” come il Council on Foreign Relations e la Commissione Trilaterale, come gli altrettanto noti Brzezinski e il Premio Nobel per la Pace (sic !!!) Kissinger. Questa rete di istituti privati e paragovernativi e di influenti lobbies rappresentavano insieme la forza egemonica del mondo anglosassone e i grandi interessi economici e finanziari di multinazionali, corporations, grandi istituti finanziari, ecc.. Nel suo “Scontro delle civiltà” l’illustre professore esprimeva un concetto tanto semplice quanto schematico e superficiale: il mondo avrebbe attraversato una fase di vero e proprio “Scontro di Civiltà” combattuto fra l’Occidente (quindi USA, Europa, Giappone e loro alleati) e l’Islam (quest’ultimo sostanzialmente supportato dalla Cina in via di evoluzione ed espansione). Aggiungo io: “lo Scontro di Civiltà” rimpiazzava la “Guerra Fredda” che l’Occidente ha condotto contro l’URSS e i comunisti. Tale visione poteva ben essere accolta da coloro che facevano parte del “complesso militare e industriale” statunitense e atlantico, perennemente bisognosi di nuovi investimenti e nuovi profitti nel campo della Difesa e della Sicurezza. Ma questo è un passaggio successivo…

Qui interessa stabilire se l’analisi del professor Huntington – e dei suoi epigoni – corrisponde perfettamente al nuovo panorama della globalizzazione…

Ossia Occidente – quindi il Mercato, il neoliberismo, il consumismo, ecc… – versus Islam – quindi il richiamo a valori religiosi “ancestrali” e di sapore “tradizionalista” ?

Qualcosa stride in questo edificio…

Facciamo qualche passo indietro nel tempo…

Quando tutto ebbe inizio…

Fra la fine del 1978 e l’inizio del 1979 l’amministrazione del Presidente democratico Jimmy Carter decise di ingliggere un duro colpo ai sovietici “regalando loro una sorta di Vietnam”. Prendeva avvio quella che – a quel tempo – rappresentava certamente la più grossa operazione di “guerra per procura” mai vista, destinata, se non a provocare il crollo dell’impero sovietico, quantomeno ad accellerare un processo ormai inevitabile. Architetto di quel programma era proprio quel Brzezinki che aveva ricoperto un ruolo importante nell’istituzione della Trilaterale e che era il Consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’Amministrazione Carter. D’altronde diversi membri della Trilaterale – e del Bilderberg – facevano parte della compagine democratica. Il programma sarebbe ripreso con maggior vigore con le Amministrazioni del Presidente repubblicano Ronald Reagan che potè fregiarsi del merito di aver contribuito alla sconfitta definitiva dei sovietici. Il paese scelto era l’Afghanistan ove gli americani e i loro alleati avrebbero finanziato, addestrato, armato ed equipaggiato la locale guerriglia islamica – i mujaheddin – contro il governo filosovietico. Nelle previsioni degli analisti di Washington ciò avrebbe comportato – come poi effettivamente avvenne – l’invasione da parte dell’Armata Rossa sovietica per proteggere la propria posizione geostrategica nell’Asia Centrale. Con grande esposizione di dettagli e particolari documentati l’ottimo giornalistafree lance americano John K. Cooley pubblicò il classico quanto dimenticato “Una guerra empia” (l’ed. Più recente è dell’anarchica casa editrice Eleuthera), un testo che non solo dimostrava come la guerriglia afghana fu sostanzialmente “creata” da potenze straniere in funzione antisovietica, ma anche che si era consolidato un rapporto forte e stretto fra quell’operazione e il nuovo terrorismo di marca “islamista”. Un paio di anni prima del “crollo” delle Twin Towers, si fa cita Bin Laden come un personaggio che aveva collaborato con i sauditi e con la stessa CIA per supportare i mujaheddin. Il suo nome era salito alla ribalta della cronaca nel 1998, quando vennero organizzati ed attuati diversi attentati alle sedi diplomatiche americane in Africa – Kenya e Tanzania – per i quali vennero accusati i talebani, gli “studenti coranici” dell’Afghanistan, “colpevoli” anche di dare ospitalità al “terrorista internazionale” Osama Bin Laden. Il saggio di Cooley lascia pochi margini di equivoco…

Orgoglioso e tracotante, Brzezinki rivendicò la paternità dell'”Operazione Afghanistan” in un’intervista del 1998, attribuendosi il merito di aver dato un decisivo contributo alla vittoria finale sui sovietici. In fondo, ricordava al suo interlocutore, cosa poteva essere più importante nella Storia ? La vittoria sul colosso sovietico o “quattro straccioni musulmani”… Il consueto sfoggio del cinismo pragmatico degli americani…

Lo schema era realmente semplice: i mujaheddin venivano addestrati a Peshawar – sul confine fra Afghanistan e Pakistan – dagli ufficiali dell’ISI, i servizi segreti militari pakistani al servizio del dittatore Zia Ul Haq, una sorta di “potere extralegale” del paese. Ad una completa ed efficiente istruzione all’uso delle armi e degli esplosivi – e, quindi, alle tecniche e metodologie della guerriglia e del terrorismo – si accompagnava un indottrinamento che rasentava il fanatismo: ai guerriglieri venivano distribuire copie del Corano da leggere e interpretare in maniera “guerresca” e bellica. L’ISI aveva stabilito stretti contatti con la CIA americani e l’MI6 britannico, così gli ufficiali pakistani incaricati di seguire l’addestramento dei mujaheddin, dovevano essere prima “formati” dai più esperti colleghi angloamericani. La gamma dei partecipanti all’operazione non si esauriva certo qui: i sauditi mettevano i capitali da investire fornendo anche un apporto in senso dottrinale, poichè gran parte dei mujaheddin si rifaceva al wahabbismo, la versione saudita dell’Islam, estremamente rigida e tradizionalista, mentre all’attività di addestramento partecipavano i paesi della NATO, in primis la Francia i cuoi servizi segreti, lo SDECE guidato allora da un rigido anticomunista come il barone De Merenches, operavano in grande sintonia con la CIA. Secondo alcune acquisizioni testimoniali a queste attività partecipò la rete della STAY BEHIND, l’esercito “segreto” e paramilitare della NATO. Oltre ai paesi citati fra i più impegnati si distinsero l’Egitto di Sadat – grande alleato degli americani – e la Cina comunista di Deng Xiaoping, da sempre su posizioni antisovietiche. Senza dimenticare la partecipazione – sempre negata e taciuta – degli uomini del MOSSAD, il servizio segreto di Israele, il più importante ed affidabile alleato degli USA nel settore mediorientale e dell’Asia Centrale. Considerato il quadro internazionale in cui era stata organizzata questa dispendiosa operazione, è certo che la guerriglia dei mujaheddin non aveva i tratti di un fenomeno essenzialmente locale: alla crociata contro il comunismo sovietico ateo ed apostata si unirono mercenari e volontari provenienti da diversi paesi arabi e musulmani i quali avrebbero appreso tutte le sottigliezze e le tecniche più sofisticate dell’arte di uccidere. Molti dei cosiddetti “afghani”, reduci della guerriglia antisovietica, sarebbero tornati nei loro paesi ove avrebbero fatto mostra delle loro grandi capacità terroristiche. Ma naturalmente un’operazione clandestina e non dichiarata di sostegno ad un imponente esercito guerrigliero non poteva essere alimentata da ingenti traffici di armi e di droga. In proposito Cooley citò un’operazione sotto copertura che consentiva agli agenti della CIA di acquistare armi di fabbricazione cecoslovacca o dei paesi dell’Est, quindi proveniente dagli stati aderenti al Patto di Varsavia. Per nutrire il “mito” romantico dei mujaheddin in guerra con uno dei più potenti eserciti della Terra senza l’aiuto di nessuno, fu diffusa la notizia che i guerriglieri islamici afghani combattevano con le armi sottratte ai nemici dell’Armata Rossa eliminati. E’ una voce che ricorda molto quella analoga sul Califfato, probabilmente sparsa, questa volta, non per costruire artatamente un’immagine eroica dei mujaheddin ma per fornire una spiegazione apparentemente convincente della potenza raggiunta dall’ISI. Nel 1986 lo scandalo Iran – contras investì pesantemente l’Amministrazione Reagan/Bush: in sostanza si scoprì che alcuni pezzi da novanta repubblicani e dei servizi segreti – con l’aiuto dei “colleghi” del MOSSAD – avevano venduto armi al “nemico” iraniano per finanziare la guerriglia antisandinista dei contras in Nicaragua. Una complessa operazione criminale che, forse, celava un patto inconfessabile con Khomeini e gli ayatollah, risalente alla trattativa per la liberazione degli ostaggi dell’Ambasciata americana a Teheran fra il 1979 e il 1980. Cooley sospettava che parte delle armi consegnate ai pasdaran della Rivoluzione iraniana fossero servite a equipaggiare i guerriglieri hazara, aghani sciiti. Insomma una classica operazione clandestina di intelligence consistente nella capacità di “sfruttare” un nemico e utilizzarlo contro un altro – e più pericoloso – nemico. Inoltre una parte dei finanziamenti della guerriglia dei mujaheddin era costituita dai proventi dei traffici di eroina organizzati proprio dall’ISIS, i servizi segreti pakistani. I profitti ricavati dai traffici che alimentavano anche il conflitto afghano venivano “ripuliti” e riciclati tramite la BCCI – Bank of Credit and Commerce International -, istituto di credito fondato nel 1972 dal pakistano Agha Hassan Abedi con l’intento di reperire i finanziamenti per il progetto di realizzazione della bomba nucleare pakistana o “islamica”. Il capitale di questo losco istituto era stato messo a disposizione dai reali sauditi e dalle altre monarchie del Golfo di estrazione wahabita. Tuttavia non si trattava semplicemente di un istituto finanziario al servizio delle ambizioni di talune fazioni islamiche, ma di una vera e propria “banca del crimine”. Infatti dei suoi servizi si giovavano dittatori mediorientali e sudamericani, mafie e organizzazioni criminali internazionali, terroristi super ricercati come il palestinese Abu Nidal, trafficanti di armi, narcotrafficanti come il colombiano Pablo Escobar, il boss del Cartello di Medellin e… la CIA. Quest’ultima, nel corso degli anni Ottanta, si sarebbe servita della BCCI per “ripulire” il frutto dei traffici di eroina che finanziavano i contras antisandinisti, con il concorso – secondo alcuni “pentiti della CIA – della “Famiglia” newyorkese più potente di Cosa Nostra italoamericana, i Gambino. Nei primi anni Novanta la BCCI fece scoppiare il più grande scandalo finanziario mai visto fino ad allora anche in relazione all’arresto del dittatore panamense, narcotrafficante – già collaboratore della CIA sotto la direzione del petroliere texano George Bush, futuro vicepresidente e Presidente USA e buon amico dei sauditi – Noriega. Quest’ultimo fa parte della lunga schiera di piccoli “tiranni” avidi e ambiziosi che, dopo un periodo di sintonia con gli “amici” americani, sono stati “scaricati” e “fatti fuori” dagli yankees. Nel 1989, per il solo arresto del criminale e narcotrafficante Noriega, l’esercito statunitense invase la piccola Panama causando un gran numero di vittime civili. A quel tempo il Presidente USA era proprio quel Bush – padre del futuro Presidente che dichiarò la “guerra preventiva e permanente” al terrorismo” – che era stato socio di Noriega e che ora voleva molto probabilmente sviare l’attenzione dalle proprie responsabilità nella gestione dei traffici internazionali di armi e di droga. Inoltre il piccolo dittatore panamense era stato arrestato non perchè fosse implicato nel narcotraffico fra USA e America Latina, ma perchè, per agevolare i suoi commerci, pagava un’ingente tangente a Fidel Castro. Un peccato imperdonabile… Quanto alla BCCI, un’altra piccola curiosità: il nome di questo istituto finanziario compare nelle inchieste giudiarie sul Banco Ambrosiano il cui discusso Presidente, il piduista Roberto Calvi – già socio del “fratello” bancarottiere siculo e mafioso Michele Sindona e di Monsignor Paul Marcinkus ai vertici dello IOR – venne “suicidato” e impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra nel giugno del 1982.

Al di là, quindi, delle ricostruzioni interessate e agiografiche sulla gloriosa epopea dei mujaheddin, la guerra “islamica” – foraggiata anche soprattutto dagli “occidentali” – all’Armata Rossa in Afghanistan era stata il frutto di un colossale programma di guerra non convenzionale gestito dai servizi segreti di numerosi paesi, per tacere il fatto che costituisse un grande affare dai connotati evide
ntemente criminali e criminosi. Opportunamente imbeccati, i media internazionali presentarono i mujaheddin come “combattenti per la libertà”, guerriglieri che si battevano per la liberazione di un popolo dal giogo imposto da un regime filosovietico. Tale versione è stata generalmente accettata e abbracciata acriticamente dalla quasi totalità delle espressione politiche culturali e intellettuali dell’Occidente, da destra a sinistra… Segno tangibile che, se era stata messa a punto anche una pianificazione di “guerra psicologica” da accompagnare alle operazioni paramilitari in Afghanistan, aveva certamente raggiunto il suo obiettivo. Come è stato autorevolmente esposto e spiegato da diversi esperti in materia, la “guerra psicologica” ha la funzione precipua di conquistare i cuori e le menti dell’opinione pubblica. In questo caso la simpatia suscitata dalla “guerra di liberazione” afghana eguagliò quella che, a suo tempo, era stata indirizzata verso i guerriglieri comunisti vietnamiti, i vietcong, in guerra con gli USA. Tuttavia la realtà era ben diversa da quella presentata dai media e i vari capi mujaheddin, i Massud, gli Hekmatyar, i Dostum e – perchè no ? – i Bin Laden, non erano i romantici ed esotici eroi di un romanzo d’avventure di impronta salgariana. Più che di guerriglieri “islamici”, si trattava di autentici predoni e banditi intenti a saccheggiare, depredare, arraffare, accompagnando le loro razzie con le note brutalità – esecuzioni, sevizie, stupri, ecc… -. Non è un caso che, presto, molti di loro avrebbero scoperto l’autentica vocazione di signori della guerra, arricchiti dalla colossale produzione e dalla raffinazione di stupefacenti, cresciuta peraltro a dismisura negli ultimi anni. Quanto alla qualità di uomini tolleranti e aperti, basti ricordare un personaggio come il capo pashtun Hekmatyar, la cui vrutalità si spingeva fino al classico lancio di acido sui volti delle “peccatrici”. Eppure Hekmatyar era stato ricevuto a Washington dal Presidente Reagan in qualità di degno rappresentante dei “combattenti per la libertà” afghani. Si può obiettare che questa era la materia prima su cui si doveva lavorare per sconfiggere definitivamente i sovietici, ma alcune domande non possono essere facilmente scansate… La crudeltà e brutalità dei mujaheddin – o quanto meno della parte più “fanatica” – dovevano essere ricondotte alla loro educazione e acculturazione “fondamentalista” e “tradizionalista”, oppure erano l’esito naturale di un addestramento e un’istruzione impartita dai maestri della “guerra non convenzionale e non ortodossa” ? Oppure ciascuna delle due risposte contiene una buona dose di verità ?

Per quanto la programmazione concertata da Washington , Riyadh e dai loro alleati più o meno occasionali prevedesse un massiccio impiego di risorse umane e materiali e di capitali, si potrebbe pensare che fosse limitata alle finalità di contrasto del colosso sovietico. Come d’altronde, si sarebbe portati a ritenere che la successiva esplosione del terrorismo di matrice islamista e del jihadismo rientrassero nei classici “effetti non desiderati” o “blowback” per dirla alla Chalmer Johnson. In tal caso si sarebbe dovuto assistere a una seria azione di contrasto del fenomeno da parte della superpotenza americana e degli alleati del Patto NATO, ma, invece, una buona quantità di fatti si è incaricata di contraddire questa versione…

Se anche due indizi fanno una prova…

Nel 1989 la “Guerra Fredda” ha virtualmente termine: simbolicamente viene abbattuto il Muro di Berlino e il premier sovietico e segretario del PCUS Mikhail Gorbacev ordina il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. E’ una “vittoria”, al contempo, dell’Occidente “anglofono”, “atlantico” e “sionista” e del nuovo radicalismo islamico soprattutto di stampo sunnita e wahabita. Reduci da anni di combattimento, gli “afghani” – i reduci musulmani stranieri del conflitto afghano – ritornano nei rispettivi paesi, molto spesso ansiosi di trasmettere i loro apprendimenti a nuovi allievi. E’ l’ennesima dimostrazione che la fine di ogni conflitto – più o meno “caldo” – crea i presupposti per nuove feroci contese. Nel corso degli anni Novanta l’Algeria viene dilaniata da un conflitto che causa decine di migliaia di morti, molto spesso civili, donne e bambini. Una lunga scia di sangue che non risparmia nessuno… Gli “afghani” hanno fondato il FIS – Fronte Islamico di Salvezza – che si oppone al partito che sta governando l’Algeria da trent’anni, il “laico” FLN, artefice dell’indipendenza del paese dalla Francia. Ma, paradossalmente, i venti di guerra soffiano con impeto violento e inarrestabile sulla stessa Europa. La Jugoslavia – una federazione di stampo socialista, resa coesa per circa trent’anni dalla figura carismatica del maresciallo Tito, eroe croato della Resistenza al nazifascismo – si disgrega a causa di una sequela di guerra che oppongono i gruppi etnici e gli stati federati presenti sul territorio. La Serbia di Milosevic, la Croazia di Tudjman , la Bosnia Earzegovina di Izetbegovic… I nazionalisti serbi e quelli croati – figli ideali degli ustacia di Ante Pavelic, apertamente filonazisti – e i bosniaci di confessione musulmana… Dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale non si assisteva a un conflitto tanto brutale e distruttivo, le cui responsabilità ricadono anche sulle potenze e superpotenze – USA, Russia, Germania, Francia, ecc.. – pronte a contendersi le spoglie di uno stato in via di decomposizione. In questa macelleria fratricida non è facile dividere e distinguere le gravissime responsabilità, ma la cosiddetta Comunità Internazionale individua un comodo capro espiatorio “politico”, il Presidente serbo Slobodan Milosevic, ortodosso, “socialista” e alleato della Russia. Viene accusato di aver perpetrato il genocidio dei musulmani bosniaci e, per questo, verrà processato e condannato dal Tribunale dell’Aja. Il pretesto di assumere la difesa dei musulmani, condurrà a un intervento della NATO nel 1995. Ancor più risoluta l’azione dell’Alleanza Atlantica nel 1999 con la pretesa giustificazione di fermare il genocidio degli albanesi del Kosovo da parte dei serbi. Inutile aggiungere che non sarà mai presentata una prova convincente di una politica serba di sterminio, ma, piuttosto, emergerà come il Kosovo fosse ormai diventato il teatro di una guerra civile fra serbi e albanesi kosovari con perdite da una parte e dall’altra. Anzi, in tale contesto, si farà notare il movimento di guerriglia albanese kosovaro UCK che pratica la lotta armata e violenta per rendere autonoma la regione del Kosovo dalla Serbia e unirla alla “Grande Albania”. Gli USA e la NATO finanziano e armano generosamente un gruppo guerrigliero che, solo qualche tempo prima, era inserito nella “black list” delle organizzazioni terrroristiche di Washington e l’UCK si farà notare anche per le sue spiccate tendenze criminali, legandosi alle organizzazioni della mafia albanese e ai suoi rackets – traffici di armi e stupefacenti e sfruttamento della prostituzione -. Il termine “balcanizzazione” entra nel linguaggio comune per indicare la frantumazione e la disgregazione di uno Stato o di un territorio provocata da processi di guerra civile. A questa nuova “avventura” partecipano ancora una volta le milizie musulmane provenienti dall’estero, con una buona presenza di “afghani”, per difendere i loro “fratelli” bosniaci e kosovari. E’ certa la presenza dei “qaedisti”, dei seguaci di Bin Laden e del loro operato accanto ai guerriglieri albanesi dell’UCK, tuttavia nessuno si preoccuperà di appurare quale fosse stato l’apporto dei miliziani musulmani nei conflitti della Bosnia Erzegovina e del Kosovo. Invece uno degli effetti più visibili dei conflitti balcanici degli anni Novanta – oltre alla dissol
uzione della Jugoslavia in “microstati” fondati su base etnica e confessionale – sarà la progressiva presenza militare degli americani, dei paesi UE e, in definitiva, della NATO, In Bosnia verrà installata una delle più grandi basi militari americane sul continente europeo. Se vera guerra si è combattuta – feroce e sanguinosa -, non è poi difficile scorgerne gli esiti più immediati e capire chi sono i vincitori e chi lo sconfitto…

Bosnia Erzegovina, Kosovo e… Cecenia… Una minuscola regione sul territorio dell’ex URSS che ha la sfortuna di ricoprire un ruolo cruciale nel transito degli oleodotti, così non è forse un caso che si sviluppi una guerriglia che, dagli iniziali connotati nazionalisti, finirà per indossare una veste molto prossima all'”islamismo”… E, ancora una volta, vi saranno volontari musulmani disposti a combattere gli odiati russi in un territorio diverso dall’Afghanistan. Basta, quindi, rivangare questi pochi, ma precisi fatti per comprendere come lo “schema” dello “Scontro di Civiltà” non funzioni e come faccia acqua da tutte le parti… Molto spesso gli jihadisti si ritrovano a combattere dalla stessa parte degli “infedeli” occidentali (Bosnia e Kosovo), oppure pare quasi che siano stati ingaggiati per “combattere per procura”(Cecenia). Se proprio deve essere applicata, la dicotomia di Huntington, lo si può fare nei confronti della Russia, non più sovietica, ma in questo modo Bosnia, Kosovo e Afghanistan potrebbero costituire degli ulteriori capitoli della guerra combattuta in Afghanistan contro i russi.

Basterebbe rileggere le dichiarazioni dell'”esperto” Brzezinki per capire che, per gli americani e i loro alleati, il problema da risolvere non è rappresentato dalle orde di jihadisti – feroci e determinati – ma da un colosso come la Russia che, sotto la guida di Putin, riconquisterà parzialmente le posizioni e il prestigio perduto nel contesto internazionale. Ma le ragioni per cui la nuova ondata di “fondamentalismo islamico” e guerriero – creato parzialmente in “vitro” in Afghanistan – può far comodo sono varie e molteplici. Innanzitutto gli USA e gli alleati non hanno mai “perdonato” agli ayatollah iraniani di aver sottratto alla NATO un pezzo pregiatissimo dell’alleanza, scacciando lo Scià Pahlevi al termine di un sommovimento autenticamente rivoluzionario che ha coinvolto pressochè tutte le forze politiche del paese. E’ noto come l’Iran si sia imposto come punto di riferimento morale, ideologico e anche militare dei gruppi sciiti a cui, per converso, verranno contrapposti i sunniti sostenuti dall’Arabia Saudita, Pakistan, Qatar e dalle altre monarchie del Golfo, legate agli USA da stretti rapporti cementati dai comuni interessi nel settore energetico e petrolifero. Nel corso degli anni Novanta – quando il pericolo del “terrorismo islamista” era meno avvertito e meno diffuso – il regime teocratico dell’Iran verrà accusato di fomentare e istigare i responsabili degli attentati attribuibili alla galassia “islamica”, come il primo attentato alle Twin Towers (1993). Solo qualche anno dopo si comuncerà a puntare il dito contro un certo Bin Laden…

Oltre all’orientamento antirusso e quello antii iraniano – per tacere di quello “anticinese” “affidato” al Dalai Lama per un verso e ai ribelli musulmani uiguri per l’altro – esiste un terzo ordine di motivi per cui foraggiare o assecondare le azioni dei “jihadisti”. Dopo la fine del Secondo Conflitto Mondiale nel mondo arabo si assistette a una nuova ondata di nazionalismo panarabo imperniato sulla creazione di un’unica grande nazione in Medio Oriente. Fondato sulla necessità di riformare e “modernizzare” una società che, per molti versi, aveva fermato le lancette della Storia alcuni secoli prima, il nuovo nazionalismo panarabo si rifaceva ai modelli sovietici e fascisteggianti rigettando il presunto “liberalismo” degli imperialisti (USA) e dei colonizzatori (Gran Bretagna e Francia). I più validi interpreti di questa linea ideologica e programmatica furono i nazionalisti di stampo nasseriano – le caste militari del Maghreb – e i partiti del Baath (Iraq e Siria) i quali individuarono i loro nemici nel nuovo stato di Israele, edificato occupando la Palestina, con popolazione a maggioranza araba, e nelle monarchie arabe, corrotte e decadenti, ancora legate a doppio filo alle vecchie potenze coloniali. Per un certo periodo il nazionalismo arabo – parzialmente “laico” secondo i parametri di giudizio mediorientali – ha fatto breccia fra le popolazioni: nel 1952, in Egtitto un colpo di stato deli ufficiali “liberi” dell’esercito guidati da Nasser e Neguib provocò la destituzione dell’impopolare re Faruk mentre nel 1963 in Iraq il Baath guidò un processo rivoluzionario che terminò con la caduta della monarchia hashemita e all’impiccagione di re Faisal. Per tali ragioni il nazionalismo arabo nelle sue varie forme non poteva essere gradito nè ad Israele, nè alle gradi famiglie che reggevano le monarchie arabe e i loro referenti internazionali – statunitensi per i sauditi e inglesi per gli hashemiti -. Inoltre il nazionalismo panarabo era fortemente intriso di “socialismo” e predicava riforme implicanti un forte interventismo statale in economia, senza, però, scivolare nel comunismo. Era una ragione ulteriore per non apprezzare i nuovi campioni dell’unità araba… Dopo aver potuto usufruire di un certo appoggio anche da parte della CIA, in seguito al disastroso esito della guerra di Suez (1956), il dittatore egiziano Nasser – già uno dei leader più rappresentativi dei “paesi non allineati” – avviò una proficua relazione con l’URSS e la Cecoslovacchia. Da quel momento la CIA sostenne il movimento “islamista” e “reazionario” dei Fratelli Musulmani che fu implicato in diversi tentativi di assassinare il leader egiziano a seguito dei quali furono duramente repressi. Fondati nel 1928 dal riformatore musulmano Hasan Al Banna i Fratelli Musulmani si rifacevano in gran parte all’interpretazione del Corano di Al Wahab e, fino in tempi recenti, i rapporti con l’Arabia Saudita sono stati molto stretti. L’antico appoggio americano di cui avevano goduto i Fratelli Musulmani negli anni Cinquanta e Sessanta dimostrerebbe come, fin da tempi non sospetti, si sia pensato di opporre al nazionalismo arabo socialisteggiante e, magari, anche filosovietico i “tradizionalisti” e “reazionari” che propugnavano il ritorno alla purezza dell’Islam. In questo senso gli israeliani sono stati forse anche più attivi quando, nel corso degli anni Ottanta, decisero di rifornire di armi gli stessi ayatollah iraniani contro il regime baathista dell’Iraq di Saddam Hussein e di assecondare inizialmente la fondazione e lo sviluppo del movimento “islamista” palestinese Hamas in concorrenza con l’OLP guidato dal “laico” e campione di nazionalismo arabo Yasser Arafat.
Tuttavia la complicata storia più recente del Medio Oriente e del mondo arabo lascia ampi margini alle ambiguità, alle doppiezze e agli intrecci più insospettabili. Così il dittatore libico, ammiratore di Nasser e definito da alcuni “il grande burattinaio del terrorismo internazionale”, Muhammar Gheddafi aprì canali di “diplomazia parallela” con i “nemici” di una sezione speciale della CIA capitanata dal famigerato “diavolo biondo” Theodore G. Shackley da cui acquistò un ingente quantitativo di esplosivo militare C4. Si trattava, molto probabilmente, di un’operazione clandestina finalizzata a mantenere alta la tensione nel Mediterraneo e sullo stesso continente europeo. Inoltre, secondo una pluralità di fonti, l’istrionico capo della “rivoluzione verde” faceva comodo per i suoi proclami farneticanti contro gli americani, gli inglesi e gli israeliani. Soprattutto a questi ultimi…
Ancor più nota è la vicenda di Saddam Hussein il qu
ale venne praticamente istigato ad invadere l’Iran nel 1980 e, successivamente, venne massicciamente armato anche con armi non convenzionali, sia dagli USA e dai loro alleati che dall’URSS. Terminato il terribile conflitto fra Iran e Iraq, Saddam Hussein smise di essere considerato come un “campione dell’Occidente” ed entrò nel novero dei suoi nemici dopo l’invasione del Kuwait nel 1990.
Tuttavia, guardando ai meri fatti e sondando la cruda realtà, è indubitabile che nella prospettiva di lungo periodo per gli USA, l’UE e Israele fosse necessario sbarazzarsi di quei regimi, nati sull’onda dell’entusiasmo attizzato dalle varie forme di panarabismo e nazionalismo arabo, si ostinavano a mantenere un certo grado di indipendenza statale e di conservare certi aspetti di socialismo nelle strutture istituzionali e amministrative.

Meglio dissolvere, cancellare e dividere..

Oltretutto si “alleggeriva” Israele dal peso di uno scomodo accerchiamento e da potenziali “alleati” della causa arabo palestinese come lo stesso Saddam Hussein…

In seguito ai discussi fatti dell’11 settembre – che, di fatto, hanno contrassegnato l’entrata in una nuova fase storica dell’umanità – si è dichiarato guerra al quel “terrorismo” che avrebbe dovuto identificarsi con l'”islamismo” abbracciato da personaggi come Bin Laden, ma, di fatto, sono state moltiplicate le manovre militari e paramilitari contro i regimi arabi “laici”. Nel 2003 una guerra lampo dichiarata e realizzata dalle truppe americane e inglesi provocava la fine del regime di Saddam Hussein il quale sarebbe stato processato e impiccato dai suoi avversari politici. Per l’occasione – e per bocca di Colin Powell – gli americani giustificarono il loro intervento con la necessità assurda di “esportare la democrazia” e di neutralizzare quelle armi di distruzione di massa che mai sarebbero state ritrovate. Anche questa volta il consueto pragmatismo yankee non ha potuto escludere la collaborazione “sotterranea” con il nemico, in questo caso l’odiato Iran e i gruppi sciiti che si opponevano al sunnita Saddam Hussein. Anni dopo, nel 2011, sotto la Presidenza Obama, si avviano le grandi e congiunte manovre contro la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad, ma il “giochino” – con l’intervento diretto di inglesi e francesi – riesce solo nel primo caso… Almeno fino al momento in cui sto scrivendo… In entrambi i casi a terra i combattimenti contro i regimi vengono ingaggiati dai gruppi “islamisti”, jihadisti, qaedisti e salafiti…

Naturalmente in questo panorama complicato, eppure anche semplice se si assimilano i meccanismi attuali della cosiddetta “politica internazionale, merita ancora di essere citato l’Afghanistan ove qualcosa accade…

Ormai isolato e privo della protezione russa, il governo “collaborazionista” di Nusrallah cade rovinosamente nel 1992 per instaurare una sorta di Repubblica “islamica” con la presidenza di Rabbani, il capo mujaheddin dal maggior prestigio, Finalmente i guerriglieri islamici antisovietici hanno l’opportunità di mostrare le loro capacità di governo dopo aver dimostrato la loro abilità nei combattimenti senza quartiere con le Divisioni dell’Armata Rossa. Ma saranno mai capaci di governare e di amministrare predoni, banditi, tagliagole e, nella migliore delle ipotesi, gente addestrata alla guerriglia che non può fare altro nella vita ? E infatti la guerra prosegue con le sanguinose schermaglie e lotte di fazione che, inizialmente, oppongono il “governo legittimo” del duo tagiko Rabbani – Massud (“il leone del Panshir”) al terribile Hekmatyar, pashtun, e a Dostum, un uzbeko che ha, già peraltro cambiato molte bandiere e dall’iniziale servizio nell’Armata Rossa è passato a combattere per sè stesso. Ma quell’instabilità non è gradita, non va bene… Una delle maggiori compagnie energetiche e petrolifere statunitensi, l’UNOCAL, progetta la costruzione di un oleodotto per la fornitura di energia nell’Estremo Oriente, tagliando fuori sia la Russia che l’Iran. Tutto ciò non è fattibile se non viene ripristinata – si fa per dire – la stabilità del territorio e non viene messa la parola fine alle guerre di fazione che dilaniano il paese. Così come l’ISI – il servizio segreto dell’Esercito pakistano e potere ombra del Pakistan – aveva addestrato, finanziato e armato i mujaheddin e le “brigate internazionali”, ora fa altrettanto con i cosiddetti “talebani”, gli studenti coranici, più orientati all’integralismo e a far rispettare i più rigidi precetti del Corano. E’ l’ideale per riportare l’ordine in Afghanistan… Ancora una volta dietro ai militari dell’ISI, vegliano la CIA americana e i sauditi. A metà degli anni Novanta i talebani – in gran parte giovani pakistani di etnia pashtun – vengono inviati in quantità industriali in Afghanistan e la loro ondata non può essere arrestata dalle bande dei mujaheddin che si uniscono nella raccogliticcia Alleanza del Nord, non a caso foraggiata da russi, iraniani e cinesi, tutti avversari dell’espansionismo di marca USA. Forse pochi lo ricordano, ma in quegli anni – e non a caso – i talebani non venivano dipinti dai media occidentali come i mostri e i terroristi che opprimevano le donne e punivano brutalmente gli “infedeli”, ma, al contrario, era stata seminata una forte simpatia nei loro confronti, ravvisabile, soprattutto, nella descrizione dei giovani studenti che, con le armi e il sostegno popolare, riportavano l’ordine e la pace nel paese, liberandolo da quei mujaheddin che, da “combattenti per la libertà” si erano trasformati in banditi. Alla fine del 1998 i talebani sono riusciti a conquistare il 90 per cento del territorio afghano e si apprestano ad infliggere una dura lezione a Massud e a Dostum, ma, evidentemente, nelle trattative per la costruzione dell’oleodotto UNOCAL, gli “studenti coranici” hanno voluto far levitare troppo il loro prezzo. Ormai i talebani non sono più tanto graditi a quell’Amministrazione Clinton che, pure, li aveva segretamente sostenuti e per chi dà prova di “inaffidabilità” si adottano le consuete contromisure. E i relativi pretesti… Così è possibile accusare i talebani di aver dato rifugio a un terrorista di fama internazionale come Osama Bin Laden a cui sono stati attribuiti gli attentati alle Ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania.

Il resto della storia è più noto: le Twin Towers, l’intervento dell’esercito statunitense e dei suoi alleati della NATO, la controffensiva talebana, nuovi scontri “confessionali”, etnici e tribali, l’esponenziale aumento della coltivazione dei papaveri da oppio destinati ad essere raffinati in eroina, il controllo territoriale dei “signori della guerra”. Quello che emerge con assoluta chiarezza è l’importanza imprescindibili della politica e degli interessi pubblici e privati nel capo petrolifero ed energetico. Il “collaborazionista” Presidente dell’Afghanistan Karzai è un ex consulente dell’UNOCAL come il sempreverde Henry Kissinger, maestro di “diplomazia” e di cinismo all’ennesima potenza. Nella compagine dell’Amministrazione di Bush jr. (2001 – 2008) gli interessi delle compagnie energetiche e petrolifere sono rappresentate alla pari di quelli del complesso militare industriale e di quelli finanziari di Wall Street. Una bella miscela… esplosiva !!! La famiglia Bush è una ricchissima dinastia di petrolieri texani con evidente amicizie saudite. Un certo, tardivo scalpore ha fatto la notizia sulla società dei Bush e dei Bin Laden, una delle più facoltose famiglie saudite, nel settore dell’energia (Arbusto e Harken Energy). Senza contare i legami del vicepresidente Dick Cheney – vecchia volpe repubblicana fin dai tempi di Nixon – con la Hulliburton Oil e quelli di Condoleeza Rice, Consigliere per la Sicurezza Nazionale, con la Chevron Texaco. Insomma siamo in pieno
gotha delle potenze petrolifere statunitensi !!!
Infatti, dopo l’Afghanistan – e con pessimi risultati -, sarà proprio l’Amministrazione Bush jr a muovere guerra al “tiranno” iraqeno Saddam Hussein, reo di essere troppo indipendente e autonomo. Peccato imperdonabile in una delle regioni del pianeta più ricche di “oro nero”. In un certo senso lo schema si ripete anche nella Libia di Gheddafi – peraltro il maggior fornitore di petrolio dell’Italia – ove, stavolta, l’Amministrazione del democratico Barack Obama lascerà mano libera ai bombardamenti inglesi e francesi.

Come ho cercato di illustrare, non occorrono molte “prove” per liquidare il comodo schema imposto da Huntington: dietro le grandi “aree culturali” in conflitto si celano interessi spesso privati e privatissimi, ma così clamorosi da mobilitare risorse nazionali e transnazionali. Allora si comprende la battuta dell’indomito Brzezinki sugli estremisti musulmani. Davvero, non sono certamente loro il problema per gli yankees… E tuttavia, forse, il punto cruciale e nodale non è stato ancora toccato in penetrazione. In Afghanistan – così come in altri teatri di guerra – i jihadisti – spesso sunniti o salafiti – hanno dimostrato di saper organizzare una sorta di “internazionale islamica” capace di mobilitare e arruolare i “credenti” di diversi stati e, perfino, diversi continenti. Sorge spontanea una innocentissima domanda: è vero che a Gaza è stato imposto un pesante blocco militare e, tuttavia, come mai queste orde di fantomatici eroi della Jihad “contro i crociati e gli ebrei” non si mobilitano per combattere a fianco dei “fratelli” arabi della Palestina contro Israele ? Eppure questo dovrebbe essere l’obiettivo più immediato dei combattenti islamici che, invece, si “attardano” ad attizzare il fuoco della destabilizzazione in certe regioni – peraltro ampiamente illustrate – e a “ripulirle” in nome di una malintesa purezza del Corano. Eppure, nell’orizzonte dei jihadisti, appare l’edificazione di un grande impero – il Califfato – che dovrebbe avere un’estensione pari a quella dell’antico Impero Ottomano. Ambizioni smodate ? Quantomeno appare azzardato sostenere che gli jihadisti stanno conducendo un conflitto senza quartiere contro gli USA, Israele, l’UE e i loro alleati dentro e fuori i confini dell’Occidente.

Ma se bastano due per fare una prova, quante prove abbiamo raccolto ?

E qui conviene che si torni a tempi molto più recenti, fra la Siria e l’Iraq…

HS

Fonte: www.comedonchisciotte.org

25.08.2014

LEGGI ANCHE: CHE COS’E’ QUESTA TERZA GUERRA MONDIALE (PRIMA PARTE)

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