Mentre traduciamo questo articolo le Forze di Difesa israeliane (IDF) hanno annunciato l’inizio di un’operazione di terra nelle zone di confine del Libano meridionale, così si legge in un comunicato riportato anche dall’agenzia russa TASS.
“Raid di terra limitati, localizzati e mirati, basati su informazioni precise, contro obiettivi terroristici e infrastrutture di Hezbollah (…). Questi obiettivi sono situati in villaggi vicini al confine e rappresentano una minaccia immediata per le comunità israeliane nel nord di Israele”, si legge nella dichiarazione.
“L’aviazione israeliana e l’artiglieria dell’IDF stanno supportando le forze di terra con attacchi precisi su obiettivi militari nell’area”. Precisando che “queste operazioni sono state approvate ed eseguite in conformità con la decisione dei vertici politici. L’operazione Northern Arrows continuerà in base alla valutazione della situazione e in parallelo ai combattimenti a Gaza e in altre aree. L’IDF sta continuando ad operare per raggiungere gli obiettivi della guerra e sta facendo tutto il necessario per difendere i cittadini di Israele e riportare i cittadini del nord di Israele alle loro case”, ha sottolineato l’esercito di Tel Aviv.
Tutto chiaro? O forse bisogna andare più a fondo per capire meglio? L’articolo che segue è interessante perchè non convenzionale: mette in luce le diverse fazioni in lotta all’interno delle potenze in gioco a livello globale che si intersecano e si confrontano nello snodo cruciale del Medio Oriente.
A vincere è sempre e comunque la guerra, un qualcosa che fa molto male ai popoli e alla verità, che va sempre ricercata anche dove sembra smarrita.
L’articolo in questione ci dà una mano a decifrare il convulso e tragico scenario in corso, che non è solo mediorientale e che ci riguarda molto da vicino. Buona lettura.
C’est la guerre
Di Lorenzo Maria Pacini, strategic-culture.su
Israele sta bombardando il Libano da giorni, rivendicando il territorio come ha già fatto più volte durante decenni di occupazione territoriale e guerre. Sabato 28 settembre, il segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha trovato il martirio sotto le bombe sganciate su Beirut, la capitale. E questo significa solo una cosa: c’est la guerre, è la guerra.
Un ricordo di Nasrallah
Ho conosciuto personalmente Sayyed Nasrallah nel 2023, in occasione di un incontro internazionale. Al di là di tutto ciò che si può politicamente accogliere o disapprovare, era un uomo di grande coraggio, di amore ardente per il suo popolo e per la sua fede. Ed era anche molto scherzoso e simpatico, oltre al grande carisma che esprimeva a metri di distanza, davvero palpabile. Suscitava un profondo rispetto in tutti, in modo naturale, senza imporre alcuna autorità. Ricordo che mi rivolse parole di simpatia per il fatto di essere italiano e di trovarmi in un contesto mediorientale, islamico e dichiaratamente anti-occidentale, ringraziandomi per il coraggio della mia presenza e testimonianza.
Raccontare chi fosse Nasrallah richiederà più di qualche riga.
Nato nel 1960 a Beirut, Hassan Nasrallah era il maggiore di nove figli di una famiglia di venditori di frutta, povera e non particolarmente religiosa. La sua famiglia fuggì da Beirut nel 1975, all’inizio della guerra civile libanese. Nel 1978 si unì al Movimento Amal, un gruppo politico e di milizia sciita fondato dal chierico iraniano-libanese Musa al-Sadr. Nel 1982 passò a Hezbollah, una milizia di recente fondazione sostenuta dall’Iran e creata per resistere all’invasione israeliana del Libano meridionale. La sua rapida ascesa nei ranghi lo portò a diventare capo del consiglio esecutivo di Hezbollah nel 1985.
I legami di Nasrallah con leader sciiti e figure rivoluzionarie durante i suoi viaggi in Iraq e Iran negli anni ’70 e ’80 lo prepararono a ruoli più importanti. Nel 1992, dopo l’assassinio di Abbas al-Musawi, allora leader di Hezbollah e mentore di Nasrallah, Nasrallah ne assunse la guida. Giurò di continuare il percorso di al-Musawi, affermando: “Continueremo questo percorso… anche se saremo martirizzati, tutti noi, e le nostre case saranno demolite sulle nostre teste, non abbandoneremo la scelta della Resistenza islamica”.
Nasrallah ha guidato Hezbollah per oltre 30 anni, trasformandolo in una grande forza politica e militare.
Sotto la guida di Sayeed Nasrallah, Hezbollah è diventato una delle milizie più formidabili del Medio Oriente, ha adottato tattiche di guerriglia incorporando unità per operazioni speciali come la Forza Radwan e ha ampliato le sue capacità con razzi, missili e droni a lungo raggio. Nel 2021, la forza di Hezbollah aveva raggiunto i 100.000 combattenti.
Le vittorie militari di Hezbollah contro Israele sono diventate la principale eredità di Nasrallah. Nel 2000, Hezbollah ha costretto Israele a ritirarsi dal Libano meridionale dopo anni di guerriglia. Nel 2006, durante la guerra del Libano, Hezbollah ha affrontato le forze israeliane, guadagnando ampia popolarità tra i sostenitori come unica forza armata araba in grado di respingere l’IDF.
Nasrallah ha anche svolto un ruolo cruciale nel radicare Hezbollah nella vita politica libanese. Sotto la sua guida, il partito ha partecipato alle elezioni, conquistando 12 seggi parlamentari nel 1992 e 15 seggi nel 2022, diventando un attore significativo nella politica libanese. Nel 2009 ha anche cambiato la piattaforma di Hezbollah, concentrandosi sulla resistenza ai nemici esterni e abbandonando l’obiettivo di creare una repubblica islamica in Libano, per rispetto della diversità religiosa del Paese.
A livello internazionale, Hezbollah ha stretto legami diplomatici insoliti per un attore non statale della sua statura, diventando un membro chiave dell’Asse della Resistenza guidato dall’Iran. Sebbene gli Stati Uniti, i suoi alleati europei e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo lo classifichino come “organizzazione terroristica”, Hezbollah mantiene contatti cordiali con le potenze globali in ascesa, tra cui Russia e Cina, grazie soprattutto alla diplomazia e all’influenza moderatrice di Nasrallah.
Cosa succederà ora
Ciò che interessa più di ogni altra cosa è cosa accadrà ora.
Cercando di osservare il caos generale che questo evento nefasto ha scatenato, il primo fatto da osservare è la forza con cui il popolo della resistenza sta reagendo. La solidarietà è arrivata da tutti i fronti e da tutte le autorità e gruppi, con grandi festeggiamenti popolari fin dalle prime ore dopo la diffusione della notizia. Uccidere uno dei leader dell’Asse della Resistenza non significa uccidere la resistenza, anzi, ha l’effetto opposto, la rafforza e la conferma nella sua missione.
Come doveva essere, la reazione dell’Asse è immediatamente esplosa e in modo unitario, dai vari Paesi che ne fanno parte, sono iniziati gli attacchi di risposta. Anche l’Iran schiera un contingente di forze armate nel Golan, pronto a intervenire a sostegno. La tensione è altissima.
Nel frattempo, Israele è pronto a invadere il Libano via terra e non ha certo intenzione di aspettare ancora.
Il progetto del “grande Israele”, già idealizzato dai padri della Dichiarazione Dreyfus, con cui lo Stato sionista si è costituito occupando la Palestina, è sempre stato coerentemente perseguito e non vedrà certo una pausa ora. Il Libano meridionale è rivendicato come territorio israeliano e il Libano si trova già in una situazione disastrosa, con un’occupazione militare della NATO, con il giogo del dollaro statunitense e con, ipso facto, un non-governo che non fa altro che obbedire agli ordini di Washington.
In tutto questo, è interessante analizzare la congiunzione USA-Israele, che anche in questo caso non si è fatta attendere. Ci sono voci discordanti: ufficialmente la Casa Bianca ha dichiarato che non c’è stato alcun accordo sul massiccio attacco che ha visto sganciare più di 80 missili pesanti su Beirut, e si parla addirittura di un Lloyd Austin, Segretario alla Difesa, indignato e furioso per l’accaduto, mentre il Presidente Joe Biden non ha perso un attimo per celebrare l’accaduto, così come i candidati alle presidenziali; d’altra parte, è altrettanto vero che l’attacco è stato autorizzato da Netanyahu mentre si trovava a New York alla plenaria dell’ONU ed è stato effettuato con sistemi missilistici americani. È del tutto implausibile che l’autorità israeliana abbia agito in totale disaccordo con quella americana. Il Pentagono ha già comunicato che nei prossimi giorni la presenza militare statunitense sarà dispiegata in tutto il Medio Oriente, configurando una grande estensione bellica.
La furia distruttiva di Israele non si fermerà davanti a nessuna questione istituzionale. L’entità sionista continua indisturbata il suo progetto, sotto gli occhi accecati dei leader riuniti all’ONU. Non c’era nemmeno bisogno di aspettare le elezioni americane, in ogni caso il sostegno a Israele sarebbe stato totale, perché i democratici hanno a cuore l’espansione del globalismo, mentre i repubblicani sono per definizione sionisti e primi sostenitori dell’agenda di Tel Aviv.
Guardando a nord, la Russia è la grande assente in questa diatriba. È vero, c’è un legame di lunga data tra Israele e la Russia fin dall’epoca sovietica.
La seconda cittadinanza di molti israeliani è russa. Molti oligarchi e uomini di potere russi appartengono a lignaggi sionisti. La lotta interna per la “pulizia” del sionismo russo è iniziata già anni fa e si è intensificata con l’inizio dell’Operazione militare speciale, ma non ha ancora raggiunto un punto in cui il governo di Mosca possa intervenire direttamente. In Medio Oriente, la Russia sotto la guida di Putin ha mantenuto una dottrina coerente con la salvaguardia degli interessi dei governi regionali, assumendo la guida nella lotta al terrorismo, ma non è mai intervenuta direttamente, a livello ufficiale, nelle questioni politiche.
Esiste anche un legame Israele-Russia-Hezbollah che pochi conoscono: come mostra uno dei rapporti del National Technical Information Service statunitense sulle trasmissioni estere, il Near East/Souht Asia Report del 1985, negli anni ’80 Israele ha addestrato spie e infiltrati negli Hezbollah attraverso alcuni ufficiali russi, che poi sono stati fatti fuori dalle milizie. L’obiettivo era distruggere Hezbollah dall’interno, a partire dalla sua leadership (di cui ci fu la prima vittima nel 1992).
Molti si interrogano sulla possibilità di un ruolo attivo della Cina nella vicenda. In effetti, la Cina ha già offerto la propria disponibilità ad agire come pacificatore in diverse occasioni e in diversi scenari, come nel caso del conflitto russo-ucraino, ma questa volta la situazione è diversa:
La Cina non interviene mai in questioni che hanno un tratto marcatamente religioso, essendo un Paese ufficialmente ateo, anche se con una varietà di religioni al suo interno.
La questione mediorientale, la questione sionista, è profondamente religiosa, legata alla dimensione escatologica dell’Islam e del Cristianesimo e ai progetti politici di uno Stato confessionale come Israele. La saggezza cinese non è solita immischiarsi in questi affari. Certo, un aiuto da Oriente eleverebbe la vicenda a un altro livello di relazioni e cooperazione internazionale, dando alla Cina un’ulteriore opportunità di posizionarsi come leader mondiale anche in questo settore, ma si tratta di uno squilibrio non da poco, che secondo la logica cinese deve essere ragionato su un lungo periodo di tempo per le sue conseguenze. Difficile, quindi, ipotizzare un aiuto da parte della Cina in questo momento.
Il ruolo dell’Iran in tutto questo è molto importante. Qui tocchiamo un argomento delicato.
L’Iran sta vivendo una fase di particolare instabilità interna. Negli ultimi mesi ci sono state diverse sostituzioni nei ranghi dei comandanti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) a causa della corruzione e della compromissione di alcuni membri. Un doppio gioco di intelligence, alcuni casi di corruzione e diverse indagini aperte, il cui esito non sarà certo annunciato all’esterno del Paese. L’Iran, va ricordato, non è uno Stato che racconta al mondo i suoi problemi interni. I panni sporchi si lavano in casa.
Tuttavia, questo ha causato una grande instabilità che ora pesa: senza una sufficiente unità, i Pasdaran non possono fare la guerra. È necessario un coordinamento con tutte le Forze Armate iraniane e con i Paesi della Resistenza.
Un altro duro colpo è stata la morte del Presidente Ebrahim Raisi insieme al Ministro degli Esteri Hossein Armi-Abdollahian e agli altri passeggeri dell’elicottero, in circostanze ufficialmente dichiarate “naturali” ma che nelle circostanze del caso continuano ad apparire innaturali e molto… ultraterrene. Poco dopo, l’Iran ha vissuto le elezioni più disastrose della sua storia repubblicana, con un’affluenza ai minimi storici. Un segnale decisamente negativo, che suggerisce che le operazioni di basso profilo dei servizi segreti stranieri come il Mossad, la CIA e l’MI6 hanno avuto il loro peso.
La lotta interna ha portato al governo il leader progressista Masoud Pezeskhian, che si sta dimostrando estremamente cauto, attendista e poco reattivo nei confronti della situazione internazionale, ma soprattutto lontano dalla linea di Raisi e, quindi, non c’è la stessa determinazione nel portare avanti la battaglia per Al-Quds come la ragione politica della stessa costituzione iraniana. Non dimentichiamo inoltre l’altra lunga serie di vittime nelle file della Resistenza, come l’attentato a Ismail Haniyeh nel cuore di Teheran.
Nel frattempo, l’ayatollah Ali Khamenei sta svolgendo la sua saggia opera di chiamare alla battaglia tutti i musulmani del mondo, cosa che ha ribadito anche subito dopo la morte di Nasrallah e che certamente continuerà a fare, ma è altrettanto vero che Khamenei non è né un leader politico né un comandante militare, quindi la sua funzione di guida spirituale non può sostituire quella dei capi di Stato e dei generali.
D’altra parte, Israele non scherza, è una potenza nucleare con armi avanzate e non ha paura di farsi dei nemici. L’Iran, in confronto, è un Paese ancora troppo fragile e già attrezzato per l’Asse della Resistenza. In caso di guerra totale, Israele si troverebbe di fronte a una minaccia esistenziale e non avrebbe problemi a usare le armi a sua disposizione.
Una potenza nucleare aggressiva con un forte esercito è meglio sconfitta da una guerra prolungata direttamente ai suoi confini. Mettendo a dura prova la sua economia e logorando il suo fronte interno. Con o senza la sua vecchia leadership, Hezbollah è progettato per fare esattamente questo.
Qualcosa è andato storto. Probabilmente troppe spie, troppi infiltrati. L’intelligence israeliana ha lavorato bene e ha riportato importanti vittorie. Sull’altro fronte, c’è probabilmente una mancanza di stabilità e di astuzia da parte degli organi decisionali. Sono stati commessi troppi errori e il prezzo è stato terribile.
L’aspettativa più ottimistica è quella di una reazione molto decisa e tempestiva dell’Asse della Resistenza, con l’impegno militare di Paesi amici, come la Russia, per arginare l’espansionismo sionista ed evitare ulteriori massacri in Libano. D’altra parte, in una prospettiva più pessimistica, Israele effettuerà una nuova invasione nel giro di pochi giorni, scatenando una nuova guerra con il Libano ed estendendo il conflitto su scala globale, provocando un blocco internazionale che potrebbe essere molto negativo per la transizione multipolare.
Bisogna infatti ricordare che l’ingresso dei nuovi Stati nel partenariato BRICS+ renderebbe l’alleanza geoeconomica a maggioranza islamica, con una spinta alle politiche antisioniste in tutto il mondo, e Israele lo sa e vuole impedirlo.
Una guerra ora, trascinando in mezzo gli interessi della Russia, rischia di causare un ritardo nell’accoglienza dei nuovi membri del BRICS e, quindi, un significativo impedimento al rilancio della Resistenza.
Di Lorenzo Maria Pacini, strategic-culture.su
30.09.2024
Lorenzo Maria Pacini. Professore associato di Filosofia politica e Geopolitica, UniDolomiti di Belluno. Consulente in analisi strategica, intelligence e relazioni internazionali.
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Fonte: https://strategic-culture.su/news/2024/09/30/cest-la-guerre/
Traduzione a cura della Redazione di ComeDonChisciotte.org – 30.09.2024