C’era una volta in Italia

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Buona lettura e buona domenica.

C’era una volta in Italia

Di Francesco Vincenti

Non la pensiamo tutti alla stessa maniera.

Molte persone credono che la vita sia un dono divino mentre altre, al contrario, affermano che sia solo un caso fortuito. È anche difficile discuterne con calma, perché spesso sono convinzioni che superano il tifo calcistico più sfegatato e alcuni, a contraddirli, è peggio che dargli del cornuto. Io, umilmente, non mi sento in grado di giudicare chi abbia ragione, posso comunque esporre la mia situazione che sembrerebbe negare entrambe le posizioni: la mia vita non è né un caso né un dono, si tratterebbe di un prestito agevolato.

Probabilmente anche in conseguenza di un pellegrinaggio di mio padre in Umbria, al Santuario di Santa Rita da Cascia, ho ricevuto questo prestito una domenica mattina di giugno del 1950. Il fatto di essere nato di domenica spiegherebbe anche la mia pigrizia e la mia scarsa attitudine al lavoro, soprattutto sottopadrone. Ricordo le parole di zia Santina, presente all’accaduto: “A Pi’, è n’artro maschio!“. Una volta si partoriva soprattutto in casa, con l’assistenza di una levatrice.Sono nato in un buon periodo, con la guerra finita da un bel pezzo e un orizzonte luminoso di speranze. Non si pensava ai problemi ambientali (salvo nobili eccezioni, per esempio Rachel Carson*), la popolazione mondiale non arrivava a tre miliardi e il mondo ci stava largo.

Ora, che le stime della popolazione mondiale si aggirano intorno agli otto miliardi, a volte ho la sensazione che l’umanità si sia svalutata, come avviene con i soldi se ne stampi troppi.Le società umane sono cambiate enormemente negli ultimi settanta anni, così come il pianeta, forse autoregolandosi, come hanno   James Lovelock e Lynn Margulis (ipotesi Gaia)**.

È cambiato tutto, il tenore di vita, il modo di apparire e comunicare, l’arte, l’alimentazione, il senso dell’umorismo, la morale comune, i giochi…

A proposito di come sia cambiato l’umorismo, giorni fa ho inciampato e sono caduto mentre uscivo da casa di mio fratello, rialzandomi subito, senza subire danni. Due ragazzi che erano nei pressi mi hanno chiesto premurosamente: “Tutto a posto?”. Io ho risposto con una vecchia battuta: “Sii, a momenti cascavo. ”. Non hanno afferrato la battuta, mi avranno preso per matto. Una volta noi bambini avevamo giochi più semplici e forse anche più divertenti: si giocava con le biglie, con i soldatini di carta o a “tappetti”, spingendo con un dito i tappetti a corona delle bibite su una pista disegnata a terra con il gesso.

Alle scuole elementari si usava ancora il pennino, il calamaio e la carta assorbente. Forse per questo ho ancora una bella scrittura.

Alle medie si studiava ancora il latino, di cui io ho capito l’importanza solo molti decenni dopo. La nostra playstation era il gioco della dama. C’era un compagno di classe, alle medie, che praticava ginnastica artistica e per noi era una specie di marziano, perché per noi l’unica cosa normale era giocare a calcio, per strada o in parrocchia.

L’estate si andava in campagna, dai nonni, oppure al mare con il dopolavoro. Tornando dal mare ti rimaneva sulla pelle il suo profumo. Oggi sei fortunato se non ti compare qualche eruzione cutanea.

Diciamo che ho vissuto una buona infanzia, anche grazie a un motore trifase, un vecchio modello, alimentato da curiosità, amore e comprensione, oltre a qualche lieve tendenza criminale.

Non a caso tutti i bambini sono molto curiosi.

La curiosità andrebbe incoraggiata ma accade spesso il contrario.

Non ho la minima idea della scadenza della mia vita in prestito, ho comunque già chiesto un rinnovo o una dilazione.

Sono in attesa di una risposta.

Ormai, comunque, mi sento come una moneta fuori corso, non capisco la moda dei tatuaggi, non amo la musica rap e penso: “Ma devi cantare o devi recitare?”. Non critico nessuno, immagino che sia solo un mio limite, una mia incapacità di aggiornarmi.

Con il computer cerco di imparare il più possibile, mi rendo conto della sua importanza, ma sono abbastanza imbranato, credo sia una forma di “rigetto generazionale”.

Il tenore di vita poi, il tenore di vita..

Negli anni ’50 la mia famiglia (mamma, papà, nonna e tre marmocchi) viveva in un appartamento di due camere e cucina, nel quartiere Appio-Latino di Roma. Si viveva serenamente senza TV, frigorifero o lavatrice, senza telefono né riscaldamenti, a parte la stufetta della cucina alimentata a carbone o a legna.

Forse, migliorando il tenore di vita, la gente è diventata più sola, più egoista, anche perché la regola è semplice: più sei povero e più tendi ad essere generoso, anche perché non hai un gran che da perdere o rischiare. Più sei ricco e più tendi a tenere la guardia alta, attento a non essere derubato e a mantenere le distanze e, soprattutto, i tuoi privilegi.

Un’ultima formuletta, infine, una regola ambientale, legata alle attività umane, semplice e inconfutabile, che ridimensiona i concetti di scienza e innovazione:

Di Francesco Vincenti

Francesco Vincenti  “Sono un bambino romano di 73 anni, che ancora ama imparare, leggere e scrivere. Mi interesso di cose abbastanza improduttive, come linguistica, fiabe, panpsichismo, poesia e ambientalismo. Passo il tempo passeggiando, chiacchierando, giocando a dama e concentrandomi sulle persone che amo. Scherzando dico spesso, ad amici e conoscenti: “Ahò, se te serve uno che nun sa fa gnente, telefoname” “.

NOTE

* Rachel Carson (1907-1964) Biologa e ambientalista americana. Ci ha lasciato stupendi libri, il più famoso dei quali è “Silent spring”, del 1962.

** L’ipotesi Gaia è stata formulata negli anni ’70. Secondo tale ipotesi tutti gli organismi viventi interagiscono con le componenti inorganiche per mantenere e rinnovare l’equilibrio vitale della terra.

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