DI MASSIMO FINI
Il gazzettino
L’onorevole Paolo Romani, che non è un personaggio qualsiasi, ma un autorevole esponente di Forza Italia, sottosegretario nel governo Berlusconi, ha dichiarato che il giornalista Marco Travaglio «è inammissibile come figura inquadrata in un servizio pubblico».
Io penso che questa storia dei veti e delle intimidazioni politiche, a giornalisti, a comici, a satirici, debba finire al più presto. Durante i tanti anni della deprecatissima (a torto) e democristiana gestione della Rai di Ettore Bernabei, ritenuta ferocemente censoria, ci fu solo il «caso Fo». Oggi gli «inammissibili» stanno diventando legione. Inammissibile è Beppe Grillo, anche «de relato», cioè se si riferisce, com’è diritto se non dovere di cronaca, quanto ha detto in una manifestazione pubblica cui hanno partecipato migliaia di persone. Inammissibili non sono solo le critiche al Capo dello Stato ma persino al professor Umberto Veronesi. Inammissibile è Luttazzi. Inammissibile è Sabina Guzzanti. Inammissibile è Travaglio. Inammissibile sono anch’io.L’unica volta che in 35 anni di carriera e non per mia iniziativa ma di un produttore indipendente, Eduardo Fiorillo, fu proposta e accettata contrattualmente dalla Rai la mia presenza, nemmeno come conduttore ma come commentatore (nove minuti in tutto su un’ora) in una trasmissione che si occupava di costume (narcisismo, vecchiaia e altre consimili tematiche politicamente innocue) e che sarebbe dovuta andare in onda all’una di notte, «Cyrano, se vi pare…» si chiamava, il programma prima di essere visto da alcun dirigente o funzionario di viale Mazzini, venne bloccato perché come mi disse, papale papale, Antonio Marano (Lega), il direttore di Rai Due, «su di lei c’è un veto politico e aziendale». Un veto quindi che prescindeva dai contenuti. Un veto alla persona in quanto tale. Come ha riconosciuto la sentenza (17/7/07) della Prima sezione civile del Tribunale di Milano nella causa da me intentata, e vinta, alla Rai.
Ciò che è veramente inammissibile è che questi veti vengano da chi, come i partiti , occupa, da decenni, arbitrariamente e illegalmente la Rai-Tv che è un Ente di Stato che appartiene a tutti i cittadini e non a dei soggetti privati quali i partiti sono.
Finché i partiti non sgombereranno il campo da un settore così delicato e decisivo per una democrazia, qual è l’informazione, non ci potrà mai essere in Italia una vera libertà di espressione. Oltretutto in tal modo – e a prescindere dagli esempi succitati – si nega voce a opinioni e a correnti di pensiero non ortodosso, non politically correct (cioè non gradite al sistema dei partiti nel suo complesso), soffocando e rendendo asfittico, com’è evidente, il dibattito culturale nel nostro Paese, a differenza di quanto avviene, per esempio, in Francia o negli Stati Uniti dove intellettuali come Virilio Baudrillaro, Latouche, Gore Vidal, Susan Sontag, Noam Chomsky, radicalmente avversi al sistema, hanno sempre avuto pieno diritto di cittadinanza e libertà di parola, in tv e altrove (inoltre da noi anche i giornali, tranne rare eccezioni, seguono gli input televisivi invece di smarcarsene almeno un poco).
In quanto al problema della diffamazione attraverso il servizio pubblico non è diverso da quello posto dagli altri organi di informazione. Chi si ritiene diffamato può chiedere la smentita o proporre querela penale con ampia facoltà di prova come facevano un tempo, in un’altra Italia, coloro che volevano difendere il proprio onore (e non gli uomini d’onore), e non, come invece usa adesso, subdole azioni civili di danno davanti alle quali il giornalista, o chi per lui, è inerme perché non gli basta provare di aver affermato la verità ma anche di non aver provocato un danno. E anche un ladro può essere danneggiato dall’essere chiamato ladro «in termini non continenti» che sono quanto di più sfuggente e arbitrario si possa immaginare.
Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 23/05/2008