DI GIACOMO GABELLINI
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Ci risiamo. Il banco di prova libico ha emesso la propria, ennesima sentenza di condanna nei confronti dell’Europa. E di condanna senza appello si tratta. E’ francamente disarmante prendere atto di come i paesi europei siano riusciti nella titanica impresa di non trarre alcun insegnamento dalla preziosissima lezione jugoslava e abbiano commesso lo stesso, sconsiderato e grottesco errore compiuto in occasione della crisi balcanica. Quando, un ventennio fa, Germania e Vaticano riconobbero con un colpo di spugna l’indipendenza di Slovenia e Croazia persuasi di estendere la propria egemonia politica ed economica da un lato – quello tedesco – e privilegiare la componente cattolica di Jugoslavia dall’altro – quello vaticano – non fecero altro che gettare benzina sull’incandescente polveriera balcanica.
A seguito, ”Così la comunità internazionale crea Stati figli e figliastri” (Massimo Fini, ilfattoquotidiano.it);Anziché presentarsi compatta per esercitare pressioni su tutte la parti coinvolte nella faida affinché abbassassero i toni dello scontro, l’Europa, lacerata da divisioni intestine tra paesi interessati solo ed esclusivamente a contendersi le carogne dell’agonizzante federazione jugoslava, si mostrò frammentata e quindi impossibilitata ad insinuarsi efficacemente nelle maglie della spinosa questione.
Privilegiando la coltivazione dei propri orticelli i paesi europei fornirono – direttamente, nel caso di Germania e Vaticano – il proprio sostegno alle fazioni croate capeggiate del nuovo Ustascia Franjo Tudjman e musulmane guidate dal sibillino e ambiguo Alija Izetbegovic, che alzarono il tiro e suscitarono la durissima reazione delle frange paramilitari di Arkan, dell’esercito federale comandato dal primo ministro Slobodan Milosevic e dei serbi di Bosnia sottoposti a Radovan Karadzic.
Di fronte all’efferatezza degli scontri l’Europa, non sapendo che pesci prendere, stette a guardare mentre gli Stati Uniti le soffiavano il “bottino” da sotto il naso. In tal contesto maturarono i versaillesiani “accordi di pace”, eloquentemente stipulati nella base militare di Dayton nell’Ohio, in cui i paesi europei subordinati al Verbo statunitense svolsero il compitino loro assegnato, e mossero attivamente affinché l’intera mole di responsabilità venisse caricata solo esclusivamente sui serbi. Piegando e umiliando oltre ogni limite di accettabilità la Serbia si contava di eliminare politicamente un pericoloso fattore ortodosso e storicamente russofilo che avrebbe potuto giocare un ruolo importante in un’eventuale tentativo futuro di penetrazione della Russia nel cuore dell’Europa. Appoggiando le ragioni delle frange separatiste, gli Stati Uniti colsero al volo l’opportunità per dare il via alla frammentazione (significativo il fatto che ciò che accadde alla Jugoslavia in quel frangente determinò la creazione del termine “balcanizzazione”) di un’area strategicamente importante, rendendola di fatto ingovernabile. In questo modo la Russia sarebbe rimasta isolata e i paesi europei, messi di fronte alle proprie gigantesche inadeguatezze, non avrebbero potuto che accettare che “qualcuno” puntellasse la propria presenza nel Vecchio Continente e impedisse loro di farsi del male da soli.
Con l’affaire Kosovo, rientrante alla perfezione nel disegno architettato a Dayton, ha trovato poi legittimazione internazionale una rete di tagliagole e spacciatori di droga meglio nota come UCK (guidati dal criminale Hashim Thaci), messa a capo di quello che è un vero e proprio narcostato nel cuore dell’Europa, crocevia di traffici internazionali che partono dall’Afghanistan e che proprio in Kosovo trovano lo snodo centrale per ramificarsi in tutto il Vecchio Continente. Qui gli USA hanno installato la gigantesca base militare di Camp Bondsteel, ciliegina sulla torta.
Ora, di fronte alla prorompente dimostrazione di forza di un Gheddafi di cui è stata venduta la pelle molto prima che diventasse cadavere (anche dall’Italia), si sta verificando qualcosa di molto simile. Sarkozy ha avuto l’ardire di proporre pubblicamente il riconoscimento di un sedicente “governo degli oppositori” per poi mettersi a capo di un’armata Brancaleone di cui fanno parte, tra gli altri, Gran Bretagna e Italia, che in sede ONU ha approvato, con l’incredibile astensione di Russia, Cina e Germania (tutti paesi con diritto di veto), l’uso della forza nei confronti delle armate regolari capeggiate da Gheddafi. Nel momento in cui gli eventi stavano precipitando, le Nazioni Unite hanno armato di una preziosissima freccia l’arco dei “rivoltosi”, i quali, sentendosi presumibilmente rinfrancati dall’appoggio esterno inaspettatamente ottenuto, tenteranno il tutto per tutto per riprendere l’iniziativa perduta. Gli scontri si faranno ben più aspri di quanto non siano stati finora e alla “coalizione umanitaria” non resterà che aspettare l’inevitabile “tragedia” da assurgere a casus belli per motivare l’attacco.
I raid raderanno al suolo le infrastrutture libiche ma senza invasione Gheddafi rimarrà in sella, se, come è probabile, l’esercito continuerà ad essergli fedele. A quel punto la guerra civile divamperà in tutta la sua crudezza, e il paese – il più florido dell’Africa, con ogni probabilità – perderà tutto ciò che era riuscito a costruire in questi anni.
L’Italia ha definitivamente compromesso gli importantissimi interessi nazionali con la Libia e perderà quello che era stato un fido alleato da quarant’anni a questa parte. Finmeccanica farà fagotto e toglierà le proprie basi mentre l’ENI vedrà chiudersi i rubinetti del gas che attraverso il Green Stream ha finora garantito preziosi approvvigionamenti energetici. Con ogni probabilità saranno italiane le basi da cui partiranno i raid contro la Libia, così come era da Aviano che decollavano i caccia incaricati di spianare Belgrado nei giorni tra il marzo e l’aprile 1999 e che un giorno fecero piovere un missile sull’ambasciata cinese. Proprio una “strana” coincidenza. Israele si trincera dietro un silenzio piuttosto imbarazzante, che rispecchia la colossale inadeguatezza della propria classe dirigente, che nell’arco di pochi mesi ha reagito del tutto passivamente alla svolta in favore dell’Iran operata dallo storico alleato turco, la detronizzazione forzata di un fido compare come Hosni Mubarak e l’attuale crisi libica che potrebbe portare alla sconfitta di un Gheddafi che in passato è risultato assai bendisposto (molti si chiedono ancora che fine abbia fatto l’uranio saccheggiato in Ciad durante l’invasione del 1977 e dove Israele abbia trovato il materiale necessario per costruirsi le testate atomiche che ancora non ha ufficialmente ammesso di possedere), malgrado qualche sparata di facciata, nei confronti di Tel Aviv. Gli Stati Uniti hanno ritrovato quel compattamento atlantista della lega araba che era andato disgregandosi negli anni. La CIA si occuperà di trovare un leader sufficientemente servile da appoggiare contro Gheddafi e ai paesi europei toccherà, come al solito, raccogliere le briciole. Vagonate di immigrati approderanno sulle coste italiane, francesi e spagnole rendendo la situazione del tutto ingestibile. Gettare benzina sul fuoco di una guerra civile alle porte dell’Europa sarebbe stata l’unica possibilità da scongiurare per i paesi del Vecchio Continente, che si trovano direttamente coinvolti in una situazione in cui hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare.
Il bigottismo umanitario sta fungendo, come al solito, da cavallo di battaglia degli “interventisti” alla Adriano Sofri, che immemore del proprio passato assai poco lusinghiero, sciorina a piene mani alte e ben remunerate lezioni moraleggianti secondo cui il mondo andrebbe diviso manicheamente tra “buoni” e “cattivi”, dove i buoni sono ovviamente gli esportatori di democrazia a bombardamento, e i cattivi quelli non seguono a menadito gli insegnamenti di Washington. Sulle colonne de “La Repubblica”, questo nuovo Catone Il Censore scrive che “La giustizia internazionale – se non l´aspirazione morale, il minimo di legalità nelle relazioni sociali – sconta l´incapacità a misurarsi con corpi separati troppo potenti, come le banche troppo grandi per fallire, gli Stati troppo grossi per essere messi agli arresti, a cominciare dal più grosso, la Cina. Ma se Cina e Russia sono troppo grosse per fischiar loro la contravvenzione, non lo siano almeno tanto da imporre il veto ad azioni di difesa del diritto e delle vite umane in ogni punto del pianeta”. Di fronte a simili esternazioni la cosa più saggia è probabilmente stendere un velo (poco) pietoso. Il problema di Russia e Cina va ricercato altrove, ovvero nella loro evidente pochezza strategica dimostrata in questo frangente. Astenendosi in sede ONU, costoro hanno di fatto lasciato in tutto e per tutto l’iniziativa agli Stati Uniti e ai loro sottoposti europei.
L’Africa rimane uno scacchiere importante in cui specialmente la Cina ha molti interessi da difendere. Sebbene la penetrazione di Pechino nel Continente Nero sia avvenuta in aree diverse da quella mediterranea, rimane un enorme rischio consentire che l’escalation di instabilità raggiunga livelli tanto imprevedibili. Una possibile caduta di Gheddafi potrebbe preludere a numerosi altri putsch in giro per l’Africa, con il rischio che i disordini raggiungano anche i paesi in cui la Cina coltiva numerosi interessi. Per la Russia non opporsi al piano di attacco predisposto e conseguentemente approvato in sede ONU, significa concedere un grosso spazio di manovra agli strateghi del Pentagono, che hanno riallineato tutti i paesi europei sulla direttrice atlantica e si preparano ora a far fuori una polpetta avvelenata e assai indigesta come Gheddafi. Colpisce il fatto che un uomo politico astuto e sospettoso come Vladimir Putin si sia lasciato sfuggire di mano la situazione così arrendevolmente.
E’ possibile che nelle alte sfere di Mosca serpeggino consistenti dissidi interni, tra lo “zar” e il suo ex pupillo Dmitrij Medvedev, e che l’ombra dei vecchi oligarchi inferociti stia lentamente tornando ad oscurare la Russia. Alcuni segnali di instabilità si erano presentati negli ultimi tempi, come l’esecrabile gestione della situazione verificatasi in estate, durante la singolare ondata di calore che ha devastato la Russia, o come il risveglio di un terrorismo, sempre combattuto ma mai del tutto sconfitto, capace di mettere a punto un attentato grave come quello dello scorso gennaio all’aeroporto Domodedovo. In ogni caso, si tratta di un clamoroso autoaffondamento politico per Cina e Russia quello di non opporsi alle losche manovre architettate dai soliti noti. Resta il fatto che l’Europa rimane l’infaticabile portatrice d’acqua al mulino statunitense di sempre, anche quando si tratta di aizzare conflitti potenzialmente catastrofici sull’uscio di casa e di sputare sul piatto in cui si è sempre mangiato, mandando a rotoli tutti i propri interessi nell’area.
L’Italia ha fatto una figura oscena, con Berlusconi e Frattini che hanno voltato di colpo le spalle a Gheddafi dopo averlo accolto con grottesca riverenza solo l’anno scorso. Tuttavia, i più ottusamente allocchi, in spregio al loro ammirevole passato, sono parsi i francesi. Il fatto stesso che l’incarico che un tempo fu affidato a Charles De Gaulle sia ora ricoperto da Nicolas Sarkozy è un indice tremendamente affidabile del grado di degenerazione galoppante che affligge le rive della Senna.
Giacomo Gabellini
Fonte: http://conflittiestrategie.splinder.com
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18.03.2011