DI PEPE ESCOBAR
sputniknews.com
È roba da romanzo di spionaggio: nessuno parla. Ma ci sono indizi che la Russia non annuncerà il ritiro parziale dalla Siria prima dei negoziati di Ginevra a meno che non sia siglato un grande accordo con Washington.
C’è in ballo un qualche tipo di accordo, del quale non sappiamo ancora i dettagli: ecco cosa sta facendo trapelare la CIA tramite i propri burattini. Ecco il vero significa di un’intervista rilasciata al momento opportuno da Obama che, nonostante inviti a spegnere la coscienza critica, suona come un importante documento circa un cambiamento di rotta.
Obama prova a dare un’imbiancata a quanto fatto in precedenza, ammettendo che l’intel USA non aveva identificato in maniera specifica il governo di Assad come responsabile degli attacchi chimici di Ghouta, a cui aggiunge chicche come sostenere che l’Ucraina non è di vitale importanza per gli USA – un’affermazione che cozza terribilmente con la dottrina Brzezinski – o che L’Arabia Saudita si approfitta della politica estera USA – parole che hanno scatenato una dura reazione dell’ex compare di Osama Bin Laden, nonchè potente uomo Saudita, il Principe Turki.
Un compromesso sembra imminente e ciò implica che c’è stato un cambio di potere sopra Obama – che di fatto è un portavoce. Ovviamente non è detto che le bellicose strategie del Pentagono e della CIA saranno ridimensionate.
L’intel russa non si può fidare di un’amministrazione USA infestata di neocon, per di più la dottrina Brzezinski ha fallito – ma non è morta. Parte del piano del Dottor Zbig era di inondare i mercati con il petrolio in esubero dell’OPEC per distruggere la Russia.
Quella mossa ha fatto danni, ma la seconda parte, che sarebbe consistita nell’indurre la Russia alla guerra in Ucraina, nella quale gli Ucraini sarebbero stati carne da macello da offrire sull’altare della “democrazia”, è miseramente fallita. C’era anche la speranza che la situazione in Siria avrebbe portato la Russia in un pantano simile a quello di Dubya [George W. Bush, NdT] in Iraq – ma anch’essa è miseramente fallita nel momento in cui la Russia ha proposto il cessate il fuoco.
Il fattore curdo
Sono facilmente reperibili spiegazioni convincenti per il (parziale) ritiro della Russia dalla Siria. Ciò che conta è che la base aerea di Khmeimim e quella navale di Tartus resteranno al loro posto. I principali ufficiali resteranno. Rimarrà intatta la possibilità di incursioni aeree e di lancio di missili balistici dal Caspio e dal Mediterraneo – tutto operativo. La forza Aerea russa continuerà a coprire le spalle alle truppe di Damasco e Teheran.
Per quanto la Russia si possa ridimensionare, non lo faranno l’Iran ed Hezbollah. Teheran ha addestrato e armato importanti forze paramilitari – migliaia di soldati dall’Iraq e dall’Afghanistan che combattono a fianco di Hezbollah e dell’Esercito Arabo Siriano (SAA). L’SAA continuerà la sua avanzata e a rafforzare le proprie posizioni sul campo.
Con l’inizio del summit di Ginevra tutte queste operazioni vengono in pratica congelate. Ciò ci porta al vero punto focale, che deve essere incluso nel possibile grande accordo.
Il punto focale è incentrato sul mantenimento dell’attuale cessate il fuoco (o “cessazione delle ostilità”), che è tutt’altro che scontato. Ammesso che tutto stia in piedi, potrebbe emergere una Siria federale, suddivisa come la luce viene suddivisa da un prisma.
Di base ci saranno tre grandi province: un Sunnitistan, un Curdistan e un Cosmopolitistan.
Il Sunnitistan includerebbe Deir ez-Zor e Raqqa, sempre che l’intera provincia possa essere liberata dall’ISIS.
Il Curdistan sarebbe situato lungo il confine turco – cosa che manderebbe al manicomio il Sultano Erdogan.
Il Cosmopolitistan sarebbe il cuore multietnico della Siria, da Damasco alla Latachia ad Aleppo, popolato da Alawiti, Sunniti, Cristiani e Druzi. La Zona industriale della Siria.
I Curdi siriani sono già indaffarati a dichiarare che una Siria federale sarebbe basata su uno spirito di unità, non sui confini geografici.
La risposta di Ankara, prevedibilmente, è stata dura: ogni tipo di aggregazione curda nel nord della Siria rappresenta non solo un problema, ma una “minaccia all’esistenza” della Turchia. Ankara potrebbe cedere alla tentazione di credere che Mosca, con la parziale smobilitazione, volterebbe lo sguardo in caso di invasione militare della Siria del nord, fino a che non venga toccata la provincia della Latachia.
Nell’ombra, si annida la possibilità che l’intel russa abbia siglato un accordo con l’esercito turco – con il corollario che una possibile eliminazione dalla scena del Sultano Erdogan potrebbe creare i presupposti per un ritorno ad un’amicizia russo-turca, fondamentale per conseguire l’integrazione eurasiatica.
Ciò che hanno in mente i Curdi siriani non ha nulla a che vedere con il separatismo. Essi sono 2.2 milioni, facenti parte di una popolazione siriana ridotta a circa 18 milioni di abitanti. I loro cantoni presso il confine turco-siriano – Jazeera, Kobane e Afrin – sono stati identificati nel 2013. L’YPG ha già unito Jazeera a Kobane ed è in procinto di unire anche Afrin. Questi, semplificando, formano la provincia di Rojava.
I Curdi di Rojava – influenzati dai concetti sviluppati dal leader imprigionato del PKK Abdullah Ocalan – si stanno confrontando con Arabi e Cristiani su come mettere in atto il federalismo, privilegiando un modello orizzontale autogestito, una specie di confederazione in stile anarchico. È una visione politica affascinante, della quale farebbero parte anche le comunità curde di Damasco ed Aleppo.
Mosca – questo è fondamentale – supporta i Curdi. Per cui essi dovrebbero essere inclusi nelle negoziazioni di Ginevra. Il gioco di lungo respiro messo in atto dalla Russia è complesso: non essere strettamente allineati con Damasco o con la screditata “opposizione” supportata ed armata da Turchia e GCC. Il team Obama, come al solito, non sa da che parte stare: c’è la questione “alleati della NATO” – ma persino Washington sta perdendo la pazienza nei confronti di Erdogan.
Vincitori e sconfitti in geopolitica
Solo i proverbialmente ignari media occidentali sono stati colti alla sprovvista da questa mossa diplomatica russa in Siria. La coerenza [russa, NdT] è ormai la norma.
La Russia ha costantemente migliorato la partnership strategica con la Cina. Ciò in parallelo con la situazione di guerra ibrida in Ucraina (operazioni asimmetriche mixate con supporto economico, politico, militare e tecnologico alle Repubbliche di Donetsk e Lugansk); persino gli ufficiali NATO con QI decente si sono visti costretti ad ammettere che senza la diplomazia russa è impossibile trovare una soluzione alla guerra nel Donbass.
In Siria, Mosca ha raggiunto il grande risultato di far vedere al team Obama la luce in fondo al tunnel della guerra sostenuta dai neo-con, presentando una soluzione che menzioni anche l’arsenale chimico siriano, dopo che Obama si è messo da solo nell’angolo. Obama lo deve a Putin e a Lavrov, i quali lo hanno letteralmente slavato non solo da grande imbarazzo, ma anche da un ennesimo problema mediorientale.
Gli obiettivi russi in Siria, dichiarati a settembre 2015, sono stati raggiunti. I jihadisti di ogni gruppo sono in fuga – inclusi quelli nati nelle repubbliche a sud del Caucaso. Damasco è stata preservata da un cambio di regime forzoso in stile Saddam o Gheddafi. La presenza russa nel Mediterraneo è sicura.
La Russia porrà grande attenzione al “cessate le ostilità” e se il Partito della Guerra dovesse decidere di intensificare il “supporto” a Daesh o ai “ribelli moderati” con qualche sotterfugio, sarà pronta a ritornare in un lampo. Per quanto riguarda il Sultano Erdogan, può chiacchierare quanto vuole riguardo il suo sogno di una no- fly zone, ma il fatto è che il confine siriano nordorientale ora è protetto dal sistema di difesa aerea S-400.
Per di più la stretta collaborazione della coalizione “4+1” – Russia, Iran, Siria, Iraq ed Hezbollah – è andata molto più in là di una mera alleanza russo-sciita. Si prefigura un grosso cambio geopolitico, in cui la NATO non sarà più la sola a dettare legge, con il suo imperialismo umanitario; questa “altra” coalizione si potrebbe configurare come parte di un futuro e fondamentale blocco dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.
Ad oggi è stupido parlare di vincitori e vinti riguardo la tragedia siriana, che dura ormai da cinque anni – specialmente con la Siria fatta a pezzi da una vergognosa ed imposta guerra per procura. Gli eventi però puntano, geopoliticamente parlando, ad una grande vittoria della Russia, della Siria e dei Curdi siriani e di una grande sconfitta per Turchia e la gang dei petroldollari del GCC, soprattutto se guardiamo gli interessi energetici che ci sono in ballo.
È sempre fondamentale puntualizzare che la guerra in Siria ruota attorno all’energia – il “premio” consta nel conseguire una posizione migliore in qualità di fornitore di gas per l’Europa. La sfida è tra il gasdotto Iran-Iraq-Siria o il rivale che va dal Qatar alla Turchia, che implicherebbe una Damasco vulnerabile.
Ulteriori grandi sconfitti a livello geopolitico sono l’autoproclamata leadership umanitaria di ONU e UE. E più di tutti il Pentagono e la CIA, insieme alle loro cricche di “ribelli moderati”. Non sarà finita fino a che l’ultimo jihadista non canterà la sua “canzone del paradiso”, nel frattempo una Russia “in pausa” resta vigile.
Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].
Fonte: http://sputniknews.com/
Link: http://sputniknews.com/columnists/20160317/1036477086/us-russia-syria-bargain.html
17.03.2016
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO