CASSANDRA ALL’AQUILA – PREVISIONI E CULTURA DEL RISCHIO

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

DI CORRADO POLI

Un tecnico ricercatore aveva previsto il terremoto dell’Aquila. Non era stato creduto dai maggiori esperti e perciò denunciato per “procurato allarme”.

I maggiori esperti italiani – l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) – sostengono che i terremoti non si possono prevedere. Lo dicono anche ora che è successo davvero e qualcuno l’aveva previsto. Ma la previsione della scienza ufficiale non era scientifica quindi s’è preferito (1) non dare peso alla cosa, (2) perdere tempo e denaro per denunciare chi sfidava le autorità e (3) rinunciare a impiegare risorse per prepararsi nel caso, persino remoto, che l’ultimo e il più emarginato dei ricercatori avesse ragione .

Gli altri ricercatori, che forse sapevano le stesse cose, non hanno parlato per non contraddire i superiori dai quali dipende la loro carriera. Per “procurato allarme” ho subito un processo e sono stato assolto “perché il fatto non sussiste” e ho scritto (ma soprattutto letto) alcuni saggi sul rischio ambientale. Per la prima e la seconda cosa posso essere considerato persona informata, se non dei fatti, per lo meno della mentalità corrente. Vi sono due problemi. Il primo è la scadente cultura della valutazione razionale del rischio. Si sintetizza nella frase: “poiché non è scientificamente provato che si possono prevedere i terremoti, non prevediamoli!” Il secondo è che se un ricercatore non appartenente alla casta della scienza ufficiale fa una previsione, non viene preso in considerazione, anzi viene accusato di lesa maestà ed emarginato.

Nella foto: Giampaolo Giuliani, Il ricercatore Infn, inventore di un sistema per prevedere i terremoti

A seguito, “Terremoto in Abruzzo, catastrofismo e tranquillismo” (Marco Pagani, ecoalfabeta.blogosfere.it);
Se viene denunciato (anche se sarà sempre impossibile condannarlo) per procurato allarme, la prossima volta starà zitto e non disturberà i capi. Quanto al primo problema va da sé che la valutazione del rischio è un problema etico e psicologico prima che tecnico. Se lo lasciamo nelle mani dei geofisici e degli ingegneri costoro si esporranno solo nel momento in cui hanno la cosiddetta certezza della validità dei loro strumenti. Non parliamo poi della possibilità che uno strumento anziché l’altro venga scelto sulla base del potere della ditta venditrice piuttosto che della reale efficacia.

Chi produce cose diverse, non ha ancora un rapporto con gli enti che gliele commissionano. Quanto al secondo problema, la questione si pone sulla qualità dei nostri tecnici. Abbiamo letto centinaia di articoli sui metodi familistici e clientelari di assegnazione di posti nelle Università e nelle amministrazioni. Una conseguenza sulla qualità e l’onestà dei tecnici “ufficiali” ci sarà pure. E il caso del mancato ascolto di chi avrebbe potuto prevedere, sia pure con incertezza, il terremoto dimostra che la corruzione e la chiusura mentale degli accademici quotidianamente crea piccole ingiustizie e inefficienze, ma di tanto in tanto causa dei morti. Per evitare la morte di molte persone sarebbe bastato che gli scienziati ufficiali avessero avuto un po’ di apertura mentale e di umiltà per “credere” allo scalzacane che aveva messo in guardia dal rischio. Pur rischiando che fosse tutta una precauzione infondata, ci si sarebbe potuti organizzare in anticipo. Ma il vero rischio per alcuni era perdere la propria autorità e prestigio di fronte a strumenti non ufficiali. E magari vedersi costretti a investire soldi pubblici in strumenti non più forniti dai soliti noti. Le televisioni stanno dando pochissimo rilievo a questo caso, ma sicuramente presto nascerà una polemica. Se non si discuterà di questo, vorrà dire che non abbiamo più libertà di stampa.

Corrado Poli

6.04.2009

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