CASO ORLANDI – NON SOLO EMANUELA

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DI FERDINANDO IMPOSIMATO
Lavocedellevoci

A un quarto di secolo e’ sempre attuale il caso delle giovani rapite poco dopo l’attentato al Papa, su cui indago’ proprio Ferdinando Imposimato che in queste pagine (e’ anche avvocato della famiglia Orlandi) mette insieme i tasselli di un mosaico ancora misterioso. Fra lupi grigi e servizi d’oltrecortina, ecco la storia dei primi due obiettivi “mancati”.

Il rapimento di Emanuela Orlandi non avvenne all’improvviso: fu l’epilogo di un vasto complotto, definito dagli agenti segreti della Stasi “Operation Papst”, elaborato prima del 13 maggio 1981, ma attuato dopo l’attentato a Giovanni Paolo II. Fallito l’attentato, i congiurati ripiegarono sugli attacchi trasversali al Papa: l’arma scelta era costituita dai sequestri di cittadini vaticani in eta’ adolescenziale. Il Papa sarebbe stato colpito molto piu’ di un attacco diretto contro di lui o contro un principe della chiesa. I terroristi, con il rapimento dei cittadini vaticani, tendevano ad un duplice obiettivo: colpire il Papa e conquistare la fiducia di Ali’ Agca per indurlo a distruggere il processo contro i bulgari ed i lupi grigi, che sarebbe iniziato nel 1985 davanti alle tivvu’ di tutto il mondo. E rischiava di diventare un atto di accusa contro l’Unione Sovietica e la Bulgaria con enorme impatto mediatico.

Nello stesso tempo i congiurati avrebbero fatto capire ad Agca che volevano aiutarlo richiedendo la sua liberta’ in cambio di quella di cittadini rapiti in Vaticano, che, con il papa polacco, aveva “dichiarato guerra” all’Unione Sovietica ed ai paesi socialisti. In questa operazione i servizi dell’Est infiltrati nella Citta’ del Vaticano erano all’opera da tempo, pedinando possibili ostaggi con minuziose “inchieste”. La rete di spie creata da Yuri Andropov, capo del Kgb, fin dal 1970 nelle mura leonine si era messa in moto con efficacia e riserbo.
Che un piano del genere esistesse era evidente: Agca aveva rivelato, subito dopo la cattura e prima del sequestro di Emanuela, la strategia del ricatto dei suoi associati: «I miei complici mi hanno promesso che, se fossi stato arrestato, avrebbero tentato di farmi evadere, e se cio’ fosse stato impossibile, avrebbero sequestrato qualche persona per chiedere lo scambio». Era una tecnica che i terroristi di tutto il mondo avevano sperimentato con successo.
Ma e’ possibile che il Kgb e i servizi segreti bulgari si fossero ridotti a rapire degli innocenti per condurre la loro guerra disperata e ormai persa per salvare l’impero? Si’, se si guarda al loro passato. I sequestri di persona erano strumenti abituali di lotta politica per il Kgb ed i bulgari. La loro esecuzione veniva affidata a gruppi terroristici spesso di destra impegnati contro i nemici “imperialisti”: essi utilizzavano i lupi grigi. A queste operazioni spesso prendeva parte, nella fase esecutiva, il servizio segreto bulgaro, che si distingueva per efficienza e ferocia.

MISTERI BULGARI

Nel 1974 il “disertore” bulgaro Boris Arsov aveva osato attaccare Teodor Zhivkov, presidente della Bulgaria. La vendetta fu immediata: dopo alcuni giorni spari’ dal suo appartamento in Danimarca. Due mesi dopo ricomparve arrestato a Sofia dove fu condannato a 15 anni di carcere. Non avevano problemi sia nella cattura che nel passaggio alle frontiere. Il governo di Sofia durante il processo contro Arsov ammise che l’uomo era stato rapito dai servizi bulgari. Nel 1975 Arsov fu trovato morto nella sua cella: assassinato. I bulgari fecero palesemente il sequestro, il processo e l’assassinio in carcere per dare un avvertimento ai molti transfughi del regime.
Ma ci fu un altro episodio analogo. Il ministro dell’Interno bulgaro Dimitar Stojanov, nel 1978, con l’aiuto del Kgb riusci’ a liquidare il disertore Sergey Markov che viveva a Londra, facendolo uccidere da un agente segreto con un ombrello dalla punta avvelenata (archivio Mitrokhin di C. Andrew e V. Mitrokhin). Kgb e bulgari erano soliti lavorare insieme nelle operazioni speciali, colpendo gli obiettivi anche all’estero, sequestrandoli e trasportando gli ostaggi in qualunque paese con Tir diplomatici.
Identico apparato criminale fu impegnato nella cattura di alcuni cittadini vaticani, dopo un’inchiesta accurata su molti obiettivi possibili dentro e fuori del Vaticano. La ricerca delle vittime fu compiuta da “agenti” infiltrati all’interno delle mura leonine: il monaco benedettino Eugen Brammertz, agente della Stasi, il capitano delle guardie svizzere Alois Estermann, altro agente della Stasi (uno dei tre morti misteriosi del 4 maggio ‘98 in Vaticano), due agenti del Kgb infiltrati nell’entourage del cardinale Agostino Casaroli (il nipote Marco Torretta e la moglie Irene Trollerova, ceca) e denunziati dai servizi cechi dopo la caduta del muro di Berlino, e due giornalisti dell’Osservatore Romano appartenenti anch’essi alla Stasi. Che Brammertz e Estermann fossero al servizio di Berlino Est lo disse anche Markus Wolf, capo della Stasi, anche se poi cerco’ di ritrattare. «Se quegli agenti lavoravano con noi e’ impossibile che non abbiano partecipato al sequestro Orlandi», mi rivelo’ a Berlino Gunter Bohnsack, ex colonnello della Stasi e braccio destro di Wolf.
Il compito degli infiltrati era preciso: individuare giovani rampolli di famiglie vaticane piu’ legate al Santo Padre. La cui sorte avrebbe sicuramente prodotto un risultato: scuotere la volonta’ di lotta del Papa contro Mosca e dissuaderlo dall’ostinata decisione di ritornare nel giugno del 1983 in Polonia a sostenere Solidarnosc contro l’Unione Sovietica. La risposta da Roma fu tempestiva. Vennero esclusi i sacerdoti anche di rango elevato. Il loro sequestro non avrebbe scosso Giovanni Paolo II. Al contrario, sarebbe servito ad esaltare il martirio della Chiesa senza piegare il Papa. Che anzi si sarebbe scatenato per condannare i colpevoli e indicarli alla pubblica esecrazione.

Non c’era alternativa. Bisognava puntare su famiglie legate al Papa. Nel cui ambito bisognava mirare a prendere giovani vittime, ragazze vaticane la cui scomparsa poteva scuotere l’orgoglio e la resistenza ferrea del Papa ad ogni attacco. Nell’annuario pontificio della Santa sede vi erano tre collaboratori laici del Pontefice indicati come “familiari del Papa”; due di essi abitavano in una palazzina che dava su piazzetta Sant’Egidio ed era esposta alla vista di una finestra dell’Osservatore romano: in quella stanza lavorava il monaco benedettino, Brammertz, venuto in Vaticano nel 1977 dopo una lunga permanenza in Unione Sovietica. Le fonti vaticane furono concordi su tre nomi molto cari al Santo Padre. Nel seguente ordine: Angelo Gugel, aiutante di camera, Camillo Cibin, capo della vigilanza vaticana, e Ercole Orlandi, commesso capo del Vaticano. Tre nomi quasi sconosciuti agli italiani, ma non a coloro che vivevano nelle mura leonine.

I VERI OBIETTIVI

Ma i capi delle famiglie prescelte non dovevano essere gli obiettivi diretti delle operazioni. La loro vita era gia’ consacrata al Santo Padre, pronta anche al sacrificio estremo. Per la loro morte o la loro scomparsa il Papa avrebbe sofferto ma non avrebbe ceduto di un millimetro ad alcun ricatto. Occorreva puntare sulle loro figlie piu’ giovani, adolescenti, creature innocenti ed ignare, la cui scomparsa avrebbe sconvolto i genitori, la pubblica opinione dentro e fuori la citta’ di San Pietro e soprattutto Giovanni Paolo II. Che avrebbe provato un forte senso di colpa per la scomparsa di una o piu’ cittadine vaticane avvenuta in odio a lui. Per quelle giovani vite, senz’altra colpa che di avere la cittadinanza vaticana e di essere membri di famiglie legate al Papa, il forte, irriducibile polacco si sarebbe dovuto piegare al ricatto. Avrebbe compreso che quegli ostaggi erano vittime innocenti della sua “politica” temeraria verso i paesi socialisti. E non poteva essere insensibile alla loro sorte, che sarebbe stata tragica. La sola scelta sarebbe stata non la linea della “fermezza” ma quella del dialogo con i sequestratori. E del cedimento al ricatto. Come poi avvenne.
Sulla scelta dei bersagli Mosca diede il suo benestare. Il Kgb lesse le relazioni degli agenti segreti dal Vaticano ed approvo’. Le figlie di Gugel e la figlia di Cibin apparvero prede preziose per il ricatto al Pontefice. Gli agenti interni al Vaticano lavorarono con precisione. E raccolsero informazioni dettagliate sulle giovani figlie di Angelo a nome Raffaella e Flaviana. Abitavano con il padre in palazzo Sant’Egidio, al terzo piano. Nello stesso edificio, a pochi metri dall’Osservatore, abitava Emanuela Orlandi.

Il progetto prevedeva la cattura contemporanea di piu’ cittadini vaticani, che sarebbero diventati “prigionieri politici” da scambiare con Agca. Ma la Lubjanka di Mosca (il “Centro”, cuore del Kgb) si rese conto che il sequestro contemporaneo di piu’ cittadine vaticane sarebbe stato difficile. La scomparsa di una avrebbe messo in allarme il microcosmo vaticano. Gli altri bersagli avrebbero reagito subito; e si sarebbero attrezzati contro la loro aggressione. Occorreva, dunque, puntare tutto su un bersaglio privilegiato: Raffaella Gugel, una ragazza di 15 anni, alta, bruna, sorridente, simpatica, molto amata dal padre. Che era un familiare di Giovanni Paolo II. Per anni la famiglia Gugel aveva abitato al quartiere San Paolo, ma da quando Angelo Gugel divenne aiutante del Papa, la famiglia si era trasferita in Vaticano, al terzo piano del palazzotto sulla piazzetta Sant’Egidio.

Raffaella Gugel frequentava l’istituto commerciale Vincenzo Gioberti in corso Vittorio Emanuele. Vi si recava tutte le mattine con il bus 64 e con un altro mezzo. Brammertz, dalla finestra sulla piazzetta Sant’Egidio, aveva notato da tempo Raffaella. Che sembrava attenta e diffidente: usciva a passo svelto dal palazzo, saltava i tre gradini all’ingresso, percorreva pochi metri, attraversava l’archetto del “rammendo degli arazzi”, imboccava via del Pellegrino e proseguiva a sinistra per via del Belvedere, che conduceva a porta di Sant’Anna. Varcata la quale si dirigeva in piazza della citta’ leonina al capolinea del 64. Raffaella era un bersaglio ideale per gli amici di Agca. Colpire lei significava colpire Gugel, colpire Gugel significava colpire il Papa, che considerava il suo aiutante di camera l’uomo piu’ devoto e fedele tra quelli che lo circondavano. Gugel era l’uomo ombra di Giovanni Paolo II, il servitore umile e silenzioso, l’assistente personale di Sua Santita’, il simbolo della dedizione assoluta al monarca della Chiesa.
Gugel e’ il vero padrone dell’appartamento privato di Giovanni Paolo II, quello da cui e’ solito affacciarsi il Papa ogni domenica per impartire l’apostolica benedizione urbi et orbi. Brammertz sapeva che Gugel conosceva le debolezze umane del Pontefice, le sue simpatie ed antipatie per coloro che lo circondavano, le sue piu’ recondite ambizioni, i suoi gusti, la sua tendenza a diffidare di tutti, tranne dei polacchi. Gugel accompagnava il Papa dappertutto, in Italia ed all’estero e lo difendeva dagli assalti dei fedeli piu’ invadenti senza mai travalicare il limite della correttezza e del rispetto.

Angelo Gugel era colui che aveva sfidato i proiettili dei sicari il pomeriggio del 13 maggio ‘81, il primo a soccorrerlo in Piazza San Pietro, ad organizzare il suo trasporto al Gemelli, mentre il Papa perdeva sangue, ad assisterlo e a rincuorarlo: in breve a salvargli la vita. I medici del pronto soccorso dissero al cardinale Casaroli: «Pochi minuti di ritardo ed era morto». Gugel andava colpito nel suo affetto piu’ grande, Raffaella. Poi, sarebbe stato lui stesso fattore di pressione sul Pontefice di Roma. Egli provava un affetto enorme per Raffaella: la balbuzie appena accennata della bambina la rendeva infelice. La scomparsa di Raffaella avrebbe sconvolto il padre e il Papa. Brammertz conosceva bene i rapporti tra Raffaella e Angelo Gugel, e tra questi ed il Papa: le sue indicazioni erano precise e preziose per Markus Wolf ed il Kgb. La cattura di Raffaella Gugel interessava anche per un’altra ragione: la ragazza probabilmente sapeva cose riservate sulla vita del Pontefice polacco. Il giudice Rosario Priore era convinto che di una parte di quei segreti era probabilmente a conoscenza anche Raffaella Gugel, intelligente e curiosa.

IL PEDINAMENTO

Il pedinamento di Raffaella avvenne probabilmente da parte di un lupo grigio: inizio’ a bordo del 64, la ragazza si accorse che una persona la seguiva. Ogni giorno un giovane dall’aspetto levantino saliva alla fermata successiva a quella in cui lei prendeva il bus. E a bordo la osservava. L’uomo aveva un certo fascino esotico. La sua attenzione venne subito percepita da Raffaella con sospetto. La ragazza intui’: non si trattava di un corteggiatore o un maniaco. L’uomo era troppo grande per la sua eta’ e non le si avvicinava, sembrava interessato a seguirla senza essere notato. Quando Raffaella scendeva in corso Vittorio – a pochi metri dal luogo della scomparsa di Emanuela – anche lui scendeva. E quando lei si fermava, anche lui si fermava, restando a distanza. L’uomo era affascinante, alto 1,80, snello, elegante, capelli neri, ricci, occhi neri. «Sembrava un turco», raccontera’ la ragazza al padre. Il sospetto di Raffaella sulle intenzioni dello sconosciuto era alimentato da un fatto preciso: il padre l’aveva messa in guardia contro il pericolo di un sequestro.

«Dopo alcuni giorni dall’attentato del terrorista turco – raccontera’ Raffaella ai carabinieri – mio padre mi disse di stare attenta per la strada, perche’ nella Citta’ del Vaticano erano circolate voci di un possibile rapimento di una cittadina vaticana da barattare con Ali’ Agca». Cosa era successo? Come per l’attentato, anche questa volta un uomo dei servizi francesi, inviato dal capo dello Sdece, il marchese Alexander De Marenches, aveva informato la segreteria di Stato del Vaticano del progetto del Kgb di rapire un cittadino vaticano. Lo scopo era quello di liberare il terrorista turco mediante lo scambio con un ostaggio “politico”. L’informazione giunse a Angelo Gugel e a Camillo Cibin. Essi presero le precauzioni necessarie a difesa delle loro figlie. Gugel avverti’ Raffaella e le disse: « Raffaella, sta attenta quando vai a Roma; qualcuno potrebbe rapirti per chiedere la liberazione di Agca». Ma Raffaella fu incredula: «Nessuno mi conosce a Roma, tranne i compagni di scuola», osservo’. Ma Gugel sapeva che il pericolo era reale. «Diffida di tutti, fammi sapere se noti qualcosa di strano, ma non parlare con nessuno di quello che ti ho detto». Gugel allerto’ la Guardia Svizzera. Alois Estermann capi’ che il piano contro Raffaella stava per svanire.

SILENZI VATICANI

Le precauzioni adottate da Raffaella costrinsero coloro che speravano di prendere la ragazza prima della partenza del Papa per la Polonia a rinunciare al progetto e a puntare su un altro obiettivo: Emanuela Orlandi. Gugel non rivelo’ a nessuno dei cittadini vaticani il progetto di rapimento; ne’ parlo’ del pedinamento della figlia, neppure a Ercole Orlandi che incontrava tutti i giorni, vivendo egli nello stesso edificio al piano superiore. Non disse che aveva preso misure drastiche per proteggere Raffaella. Per qualche giorno la fece seguire da un agente della vigilanza vaticana, che pero’ non si accorse di nulla. Poi le fece cambiare scuola, le vieto’ di andare in palestra e di frequentare gli amici a Roma. Gugel mise in guardia anche l’altra figlia, Flaviana, che si fece tingere i capelli e cambio’ scuola e abitudini di vita. Ma tutto avvenne sempre in silenzio e senza dire nulla a nessuno. La regola del riserbo ha qualcosa di patologico per il Vaticano.

I Gugel, pur abitando nello stesso palazzo, si guardarono bene dal parlare agli Orlandi del progetto di sequestro di cittadini vaticani ad opera di terroristi. Il silenzio di Angelo fu criticato da Giampaolo Gusso, impiegato del Vaticano, anche lui abitante nella palazzina Sant’Egidio. Dira’ Gusso a Gugel: «Sei stato fortunato. I rapitori, se avessero preso Raffaella, avrebbero centrato l’obiettivo, trattandosi della figlia dell’aiutante di camera del Papa». E lo rimprovero’: «Era tuo dovere darne avviso alla famiglie che vivono in Vaticano».

Il vigile vaticano Antoniazzi rivelo’ un episodio sospetto accaduto ancor prima del pedinamento di Raffaella. Era la primavera del 1982. Antoniazzi racconto’ ai Carabinieri del Reparto Operativo di Roma: «Ricordo che prima che accadessero gli episodi relativi al pedinamento di Raffaella Gugel, anche il signor Camillo Cibin, mio capoufficio come responsabile della Vigilanza Vaticana, espresse in privato analoga preoccupazione nei riguardi sia della moglie e sia della figlia. Tale preoccupazione era motivata dal fatto che moglie e figlia erano state probabilmente pedinate. Cio’ scaturiva da una serie di circostanze in cui Cibin aveva ritenuto che i familiari “fossero oggetto di particolare attenzione” da parte di sconosciuti».
E dunque le famiglie Gugel e Cibin, le piu’ vicine al Papa riuscirono ad evitare i sequestri: esse erano state avvertite da agenti francesi del pericolo di un sequestro. La stessa cosa non accadde per Emanuela Orlandi e per la sua amica Mirella Gregori, rapite (Mirella il 7 maggio ‘83, Emanuela il 22 giugno ‘83) e mai ritrovate. Racconteremo la loro storia nel prossimo numero della Voce. Intanto la magistratura romana (pm Simona Maisto e Italo Ormanni), indaga.

Ferdinando Imposimato
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/
Link: http://www.lavocedellevoci.it/inchieste.php?id=115
Gennaio 2008

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