E OCCULTAMENTO DI NOTIZIE VERE
DI CLAUDIO MOFFA
moffa.it
Nessun ottimismo è possibile, anzi: siamo comunque solo in rete e siamo pochi, sotto avvisaglie terroristiche che inducono spesso ciascuno a prendere le distanze dal “vicino di interpretazione”. E’ un fatto comunque che Moffa, Blondet, Atzmon, Megachip, Infopal e adesso anche Gabellini, hanno messo insieme i tasselli certi della strage di Oslo e hanno offerto ai rispettivi lettori l’interpretazione più plausibile per spiegare l’attentato del “folle solitario”: primo, comunque, Breivik è un sionista, ammiratore e sostenitore nero su bianco nel suo dossier sulla cosiddetta “indipendenza europea”, di Israele. Secondo, tante voci della Norvegia, dai giovani assassinati alle alte sfere governative, avevano espresso nei giorni precedenti il massacro di Utoya e le bombe di Oslo delle posizioni duramente ostili a Israele, annunciando – dopo iniziative radicali datate come il boicottaggio di due ditte israeliane interessate allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi: gesto inaudito per un paese europeo – due drastiche misure in sfida allo Stato ebraico: il riconoscimento dello Stato palestinese e un embargo economico contro quella che i paesi arabi chiamano talvolta, ancora, l’“entità sionista”. Dire che queste misure non rappresentano un pericolo per Israele vuol dire semplicemente ignorare la storia del conflitto israelo-palestinese, marcata sempre dall’ossessione sionista di imporre la propria legge della giungla non solo ai paesi arabi, ma a tutto il mondo.Opporre alla posizione coraggiosa e determinata della Norvegia vs. Israele che essa non è credibile perché la Norvegia è nella NATO, vuol dire fare della NATO un feticcio e azzerare la positività delle posizioni della Turchia dal 2009 in poi – fermo restando che lo stallo oggi di Ankara è analogo a quello di paesi che non fanno parte della NATO, ad es. l’Iran e la Russia – e azzerare anche la rilevanza del caso Mattei di mezzo secolo fa. La NATO non è un monolite senza possibilità di contraddizioni interne, anche se non soprattutto sulla questione sionismo.
La situazione è fluida. Vedremo come
andranno le indagini – il vertice europeo dell’altro ieri è stato
probabilmente luogo di pressioni anche per “ben” indirizzare la
polizia di Oslo, ma non è detto che l’imbavagliamento riesca. Vedremo
se a settembre ci sarà o no uno scatto di dignità-reazione non solo
della Norvegia ma di tutta l’Assemblea generale dell’ONU, che dovrebbe
votare sì o no sul riconoscimento dello Stato palestinese. Vedremo
anche se oltre a Megachip anche Giulietto Chiesa e altri commentatori
esprimeranno la loro posizione sulla vicenda norvegese, e quale, tenuto
conto del terrorismo psicologico in fieri contro chi osa ragionare e far circolare
dati di fatto indubitabili
tra i suoi lettori.
Vedremo tutte queste cose, e però
un dato è certo: i grandi mass media e i “grandi” opinionisti
non hanno solo offerto
interpretazioni diverse sull’attentato
da quelle sopra citate, rincorrendo tutte le piste immaginabili altre
che quella israeliana,
ma – attenzione, questo è il punto chiave
– hanno celato a milioni di lettori, telespettatori, ascoltatori
le stesse unità di notizia,
base per qualsiasi commento, impedendo
così ai non addetti ai lavori di farsi una propria opinione su quanto
accaduto.
Occorre considerare in effetti due
diverse tecniche di disinformazione:
I°) Quella più
nota e ovvia à la disinformazione consistente nella
diffusione di notizie false, come
nel caso delle armi di distruzione di massa di Saddam, dei 10.000 morti
ad opera di Gheddafi nei primi giorni della ribellione bengasina, dei
morti di Timisoara, o anche dell’attribuzione della strage di Oslo,
nelle prime ore, con tanto di barbuto islamico sugli schermi televisivi,
alla solita “Al Qaeda”. Questo tipo di disinformazione potrebbe
essere contestualizzata in una logica, come dire, di breve durata, perché
finalizzata alla svolta politico-militare – sempre o quasi segnata
da violenza – perseguita: la guerra del 2003 contro l’Iraq, la guerra
NATO contro la Libia, la fucilazione di Ceausescu, l’impatto mediatico
della tragedia norvegese. I falsi vengono alla fine scoperti, ma quasi
sempre a obbiettivo
politico raggiunto.
II°) Ma c’è
anche una seconda tecnica di disinformazione, collocabile in una prospettiva
di lungo periodo, più profonda, e che consiste nell’
omissione di notizie vere, di
dati di fatto indubitabili
e utili a farsi un’opinione diversa da quella/e dominante/i. Nel caso
di Israele e del sionismo questo tipo di disinformazione è molto più
diffuso di quanto si creda. Ecco alcuni esempi:
1)
Il 20 marzo 2003 (o forse il giorno dopo) Saddam Hussein in video conferenza
commenta l’attacco anglo-americano con le seguenti parole, trasmesse
in traduzione simultanea dal TG1: “gli americani, gli inglesi e dietro
di loro il maledetto sionismo …”.
Quest’ultima unità di notizia (non dell’interpretazione di Saddam
della guerra, ma del fatto che aveva pronunciato quelle parole) sfugge
alla censura perché la traduzione dell’interprete arabo è in simultanea,
ma nessun
organo di informazione il giorno dopo
– nonostante la sua utilità a fini di demonizzazione ulteriore di
Saddam, l’ “antisemita”, il “folle” etc.
– l’ha pubblicata. Giammai
che qualcuno potesse sospettare che Saddam aveva ragione, o che potesse
spiegarsi perché nel 1991, di fronte al primo intervento anglo-americano,
Saddam – fosse giusta o sbagliata la sua percezione del potere del
sionismo sulle politiche estere di Washington e Londra – avesse lanciato
dei missili contro lo Stato ebraico. Tutti zitti: ed è impensabile
che nelle ore drammatiche dell’avvio della guerra, non ci fossero
all’ascolto del discorso teletrasmesso dal TG1 almeno uno delle centinaia
di giornalisti di qualche testata grande o piccola esistente in Italia.
2) Pochi
giorni prima lo scoppio della guerra del 2003, anche il congressista
americano Jim Moran aveva espresso un’opinione simile a quella di
Saddam: “perché, presidente Bush, dai il via a una guerra che fa
gli interessi non degli Stati Uniti ma di Israele?” era stata più o meno la domanda. Ma questa unità di notizia
viene censurata dalla rete mediatica, almeno in Italia. Moran, subito accusato di “antisemitismo”
dalla lobby israeliana, avrebbe poi prontamente ritrattato le sue parole
e più tardi sarebbe finito tra i nomi dei politici, attori, etc. USA
pronti a denunciare l’inesistente “genocidio” del Darfur, campagna
mediatica poi dilagata anche in Europa e che avrebbe costituito la premessa
del mandato di cattura internazionale della CPI contro il presidente
sudanese Al Bashir del 2009, per fortuna andato a vuoto per la reazione
pronta del Sudafrica e di altri paesi africani. Si ricordi che Elie
Wiesel, intervenendo all’ONU nel 2005, aveva citato come più grave
“genocidio” della nostra epoca, proprio il Darfur. Con buona pace
degli americocentristi, era ed è Israele il principale nemico del Sudan,
secondo tradizione storica che risale alla guerriglia Anya-Nya degli
anni Sessanta, e secondo le notizie rintracciabili anche sulla stampa
israeliana, relative al sostegno aperto di Israele alla guerriglia del
Darfur, e ai sudanesi vittime della repressione governativa.
3) Ma andiamo a
leggere due intere pagine del Corriere della Sera
sul Darfur appunto (Corriere della Sera
). La firma è Bernard Henry
Levy, uno di quegli intellettuali ebrei e proisraeliani attivissimo
ogni volta che bisogna colpire e demonizzare i veri o presunti nemici
dello Stato ebraico: ebbene, Lévy non cita le notizie di cui sopra
– né cita il fatto che la campagna sul “genocidio” del Darfur
è stata attivamente lanciata e sostenuta dal sito del Museo dell’Olocausto
ancor prima il discorso citato di Elie Wiesel.
Tace semplicemente l’unità di notizia. E’
un conflitto, quello tra Khartoum e i guerriglieri, tra il cattivo arabo
e i suoi crimini, e i purissimi guerriglieri aiutati da nessuno se non
dalle campagne di solidarietà della grande stampa (ovviamente neutra
quanto a indirizzi, e molto sensibile ai “diritti umani”, almeno
in Sudan) e della rete mediatica mondiale.
4) Proseguiamo con la Libia. All’inizio
della crisi libica – quella trasformatasi poi in guerra – mentre
alcuni mass media israeliani diffondevano la notizia che Gheddafi sarebbe
di origine ebraica –
nessuno dei grandi media in Italia ha ripreso la notizia del durissimo
attacco a Israele e alla CPI di Gheddafi nel 2009,
notizia riportata all’epoca dalla stessa
Repubblica con tanto di replica
di Tel Aviv (“Gheddafi è un bulletto da circo”). In tal modo, il
segno sionista o quanto meno anche sionista della guerra di aggressione
alla Libia – ben simboleggiato dai due falchi dell’aggressione:
Cameron e soprattutto Sarkozy – è rimasto occultato.
5) Le
foto di Sarkozy “l’israeliano”
– sono in questa pagina FB, alla sezione foto
– circondato da rabbini, o da striscioni dell’AIPAC
– emblema di una carriera
politica del presidente francese fatta
tutta, dal 1983 ad oggi, col
supporto attivo della lobby prima solo francese poi anche americana
– non sono mai state pubblicate da nessun importante organo di informazione
italiano. In tal modo, non solo alcuni commentatori hanno potuto liberamente
paragonare nel 2007 l’elezione di Sarkozy a quella del pro-arabo De
Gaulle, ma, di nuovo, la guerra di Libia è stata espunta di un dato
di fatto atto a darne una interpretazione corretta, o quanto meno altamente
probabile;
6) A proposito di
foto: la foto dello striscione BR dietro il volto impaurito dell’ingegnere
dell’Alfa Romeo Michele Mincuzzi di
un sequestro lampo da parte di Mario Moretti, foto che comparve all’epoca
sulla stampa italiana e che suscitò le ire di Franceschini e Curcio
all’epoca in carcere, perché – questa l’accusa dei due leaders
storici delle BR al neo-capo – la stella raffigurata nello striscione
aveva 6 punte e non 5, non compare oggi su internet: digitate “michele
mincuzzi” su “Google immagini” e troverete centinaia di
immagini, alcune delle quali riferite alle BR, ma non appunto quella
del sequestro Mincuzzi. Diversi i rapiti, tra cui Sossi di Genova, e
molte le stelle sempre a cinque punte. Potrebbe essere un tassello minimale,
ma
il problema è che poter vedere e far circolare quella foto vuol dire
aprire una finestra di dubbio sul caso Moro: se cioè non avesse ragione
il Presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino a sostenere pubblicamente nel 1999, durante
la guerra di Jugoslavia, la possibilità-legittimità della pista Mossad
nel rapimento dello statista pro-arabo e nemico di Henry Kissinger,
Aldo Moro appunto.
7) Caso Moro bis: nel gennaio 2002,
tra l’altro in coincidenza delle prime interpretazioni cosiddette
“complottiste” sull’11 settembre, Paolo Mieli, che allora curava
la pagina delle
Lettere al Corriere della sera,
pubblica in apertura una domanda di un lettore che gli chiede lumi sul
caso Moro: chi lo ha ucciso? E’ vero che si è trattato di un complotto
internazionale? Mieli risponde citando uno storico americano collaboratore
della rivista di Perfetti, del quale riprende la teoria che la tesi
complottista era infondata, ed era stata divulgata dagli ex comunisti
pro-BR che all’epoca avevano inneggiato all’assassinio di Moro,
e che poi, pentiti e rinsavitisi dal punto di vista etico, si erano
rifugiati nell’idea di un complotto esterno che li salvasse.
Attenzione, non
è da entrare qui nel merito di questa teoria pseudopsicologica abbastanza
strampalata: il fatto da sottolineare è invece che il giornalista e
storico Mieli, elenca sì le piste complottiste più note di cui si
era parlato a proposito del Caso Moro – CIA, KGB e P2 di Licio Gelli
– ma omette di citare (dicesi semplicemente citare) il termine Mossad: la pista cioè di cui avevano riferito in decine
di articoli per diverse settimane – su input come già detto, dell’on.
Pellegrino – i giornali e i media italiani nel non lontano 1999.
Come dire: il complottismo è
comunque sbagliato, ma vada per parlare a destra di KGB e a sinistra
di CIA e P2: giammai invece parlare, anzi citare, l’ipotesi Mossad.
Proibito, come da “lezione” data all’on. Pellegrino – parlamentare
italiano eletto dal popolo – da Galli Della Loggia a “sinistra”
e da Ferrara a destra sul
Corriere e su
Il Foglio. Un attacco violentissimo
e contestuale, che indusse il Presidente della Commissione Stragi a
ritirarsi e a tacere per sempre sulla questione.
8) Caso Spatuzza:
nel dicembre 2009 il pentito Spatuzza accusa Berlusconi delle bombe
del 2003 a Roma, Firenze e Milano. Si sviluppa un dibattito politico-giornalistico
che dura mesi, assurdo non
solo per il credito che a sinistra riceve il pluriassassino “testimone”,
pur di dare addosso a Berlusconi, ma anche perché nessuna ricorda,
pare, una notiziola interessante diffusa dall’allora ministro Mancino
in parlamento, in risposta da alcune interrogazioni parlamentari appunto
sugli attentati di quell’anno: “la rivendicazione – disse più
o meno il futuro relatore e promotore della famigerata legge Mancino
– è stata fatta da una organizzazione islamica, attraverso un cellulare di un cittadino
israeliano”. La notizia era
stata riferita, con serietà professionale, proprio da Paolo Mieli,
e se io cito questo suo merito è anche per far capire che la questione
che sto sollevando, non è ad personam, ma comunque è tale e va posta
all’attenzione di tutti.
Tutti zitti comunque, nelle controrepliche
e nei successivi interventi, i parlamentari di destra, di centro e di
sinistra. Tutti zitti i giornalisti. Ovviamente, quella rivelazione in atto pubblico non sembra aver interessato minimamente nemmeno
la magistratura: chissà se è mai stato aperto un fascicolo sul caso,
e chissà se qualcuno ha pensato di interrogare il proprietario del
cellulare del cui nome evidentemente Mancino era venuto a conoscenza.
Si potrebbe continuare con numerosi
altri esempi.
Quello che va sottolineato, di nuovo, non è la questione dell’interpretazione
di fatti: uno può essere d’accordo o no sulla pista Mossad in questo
o quel caso, può essere o
no un negatore assoluto dell’esistenza di complotti e di servizi segreti
che complottano. Il problema è a monte, sul terreno dell’informazione
secca, della notizia che viene nascosta o che finisce comunque occultata,
magari anche solo per pigrizia mentale, una “pigrizia” che a sua
volta però indotta dal clima terroristico che regna ogni volta che
si parla di Israele in modo negativo.
Riflettiamo ancora:
abbiamo parlato di eventi di cronaca sì, ma di valenza sicuramente
storica. La questione dell’occultamento scivola in effetti anche sul
terreno storiografico, e investe altri aspetti inquietanti: per fare un primo esempio, prima di concludere
qui questo articolo, nel suo libro “Mossad base italia”, il giornalista
e storico Eric Salerno – uno dei partecipanti al convegno del Master
Enrico Mattei sul terrorismo del giugno 2010 – non solo ha disvelato un incredibile
attivismo e una fortissima e diffusa presenza del Mossad nell’Italia
negli anni Cinquanta – all’epoca del pro-arabo e pro-nasseriano
Mattei – ma inoltre cita episodi e dichiarazioni che dovrebbero far
riflettere tutti, a cominciare dagli storici
interessati a difendere l’accessibilità e la trasparenza degli Archivi
e che sono spesso ancora fermi all’epoca del fascismo-antifascismo
e dei tentati golpe militari in Italia: p.
115: si riferisce di fascicoli scomparsi all’Archivio di Stato, e
in particolare uno titolato “Israeliani
in Italia” (“Il contenuto è stato
distrutto” è scritto
sulla copertina) e si accenna a “archivi
… ripuliti e molte storie sepolte“;
p. 162: “è consuetudine del Mossad lasciare un’ombra di mistero
intorno a tutte le operazioni che gli vengono attribuite. Non conferma
né smentisce”; p. 191 (una sorta modalità “massonica” di informazione,
rivolta alle élite che devono sapere, ma di cui non devono diffondere
i contenuti specifici alle opinioni pubbliche): “quelli che devono
sapere, sanno. E quelli che devono sapere, sanno che non c’è posto
al mondo dove Israele non può agire” (Ehud Olmert).
La Norvegia è un’eccezione
a questa “regola”? Difficile a credersi. E se sì, comunque, perché
allora i grandi media non hanno riferito e non riferiscono tranquillamente
e professionalmente tutte quelle unità di notizia su cui abbiamo sin
qui ragionato e scritto in pochi? Questo è il punto in cui invita a
riflettere questo articolo.
P.S.:. Mi accorgo di aver tralasciato
ogni accenno all’11 settembre. Rinvio comunque al mio
11 settembre, Palestina radice della guerra “Quaderni di contropiano”
del gennaio 2002
Claudio Moffa
Fonte: www.claudiomoffa.it
29.07.2011