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La Redazione

 

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CAPRICCI DI FRANCIA (HOLLANDE SCONFITTO DA DEPARDIEU)

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A cura di Davide
Il 30 Dicembre 2012
238 Views
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DI LANFRANCO PACE
ilfoglio.it

Per sei secoli di monarchia, due imperi e cinque repubbliche gli artisti sono stati venerati. Ecco perché la fuga di Depardieu dalle tasse di Hollande fa ora traballare la grandeur

Gérard Xavier Marcel Depardieu se n’è andato. Ha fatto le valigie, sbattuto la porta. Senza una riverenza, giusto un inchino a Cyrano che lo emozionò e lo fece sentire per la prima volta orgoglioso di essere francese. Sentimento che oggi prova molto meno: per colpa dell’aliquota fiscale targata Hollande, il 75 per cento sulla parte di reddito che eccede il milione di euro l’anno, si sente molto più a suo agio come cittadino europeo, anzi del mondo. E siccome nello spazio di Schengen è libero di andare dove gli pare, ha deciso di fare qualche centinaio di chilometri e rintanarsi in Belgio, poco al di là di dove una volta c’era la frontiera con la Francia, un buco di piatto paese che metteva il magone persino a Jacques Brel che da quelle parti era nato. La Francia, lei, borbotta: e vive uno psicodramma in cui rischia di perdere un pezzo di anima. Perché “le grand Gégé” non è solo uno di quelli che decide di farsi una cuccia all’estero per sottrarsi a uno stato occhiuto e illiberale. Non è per dire Bernard Arnault, leader mondiale dell’industria del lusso, che alla ricerca del punto medio tra tasse e affari, prima si stabilì in America, poi tornò in Francia e alla fine si arrese e optò anche lui per il Belgio e il giornale Libération gli dedicò una prima pagina che ha fatto storia: “Ma sì, levati dalle palle, ricco coglione”.

Depardieu non è uno così: è un artista. Appartiene cioè alla stirpe eletta di donne e uomini che da sempre il potere incensa, coccola e protegge perché questo vuole l’idea della grandeur, del destino eccezionale della nazione: se si pretende di irradiare luce sul mondo, occorre un robusto firmamento di stelle. Per i sei secoli che è durata la monarchia, per due imperi e cinque repubbliche, il popolo ha imparato ad applaudire, a venerare. Dai più piccoli ai più grandi, da quelli nati in casa, cresciuti in autarchia e quindi inesportabili a coloro che invece sono entrati nell’immaginario dell’umanità tutta. Vanno a sentirli recitare, senza distinguere ipocritamente tra cultura alta e bassa, il teatro di boulevard vale l’Académie. E al cinema lo sgangherato Asterix ha la stessa dignità della “Règle du jeu”, perché entrambi per prendere vita hanno bisogno della professionalità, dell’impegno, del talento di chi ci lavora. Un paese, un pubblico che sono stati un modello, la seconda patria che tiene sullo schermo per anni e anni i Monty Python e fa di te una stella anche se ti chiami Aldo Maccione: non si dice che se Mina fosse nata a Nizza e non in quel di Cremona sarebbe universalmente riconosciuta come la più grande cantante del mondo? E’ la forza del potere che non dimentica e del pubblico che è sempre con te. E sa perdonare, anche colpe gravi. Durante l’occupazione Arletty si innamorò perdutamente di un ufficiale tedesco: alla liberazione fu messa alla gogna, condannata. Ma quale francese avrebbe potuto dimenticare la voce roca di Raymonde la puttana che in una stanza dell’Hotel du nord recita una delle battute più famose della storia del cinema francese, “atmosfera, atmosfera ma che ci ho una faccia da atmosfera, io!”. O fare a meno della mitica Garance di “Les enfants du paradis”: così lei tornò sotto i riflettori, fino allo stremo, accompagnata dall’affetto della folla fin oltre i suoi novanta anni. A Serge Gainsbourg, russo maledetto, venne in mente di cantare una versione irriverente e vagamente alticcia della Marsigliese: i paracadutisti, da bravi guardiani della patria ferita, lo seguivano a ogni concerto per fare gazzarra, gliel’avevano giurata, tutto si risolse in un cameratesco, commosso abbraccio. E al suo funerale andò un picchetto d’onore.

Sono tante le stelle che hanno lasciato la Francia prima di Depardieu. e per le stesse ragioni. Alain Delon e Johnny Hallyday hanno preso residenza in Svizzera, come Aznavour, Marie Laforet e Patricia Kaas. Florent Pagny e Michel Polnareff in America, Laetitia Casta a Londra, Daniel Auteil e Emmanuelle Béart in Belgio. Un lotto di grandi sportivi sta in Svizzera. Sconsigliata Montecarlo: applica lo stesso regime fiscale francese a meno che non si ottenga la nazionalità del principato, cosa altamente improbabile. Proprio in questi giorni Michel Houellebecq, lo scrittore maledetto delle “Particelle elementari”, ha fatto il tragitto in senso inverso ed è uno dei pochi : dopo l’Irlanda e la Spagna è ritornato in Francia. Se si contano anche imprenditori, uomini della finanza, ricchi e riccastri vari, semplici benestanti, i pensionati addirittura – bastano 2.000 euro al mese per farsi corteggiare dalla Thailandia che riesce a finanziare in questo modo una parte importante della crescita della sua economia – si ha la misura di un fenomeno che riguarda decine di migliaia di persone ogni anno, con una perdita secca per l’erario e dovrebbe far riflettere paesi dove le tasse spuntano velenose come funghi. La Francia in particolare che alla materia applica lucida razionalità e un meccanismo implacabile a farne introiti per le casse dello stato: imposta di solidarietà sulla fortuna, contributo sociale generalizzato, imposta di successione, imposta sulle plusvalenze e ovviamente contributi previdenziali e assicurativi.

C’è del marcio in questo regno e chi vuole ha solo da scegliere tra la libera circolazione all’interno dello spazio Schengen o paradisi più lontani sull’onda della globalizzazione. Expatriation fiscale, espatrio a fini fiscali, lo chiamano così al ministero delle Finanze, quai de Bercy, dove la precisione è d’obbligo: espatrio e non esilio come vien chiamata sui media:  la parola esilio implica una decisione volontaria del paese in questione. Invece questi se ne vanno da soli nessuno li accompagna alla frontiera, ricordano quelli di un tempo che nei paesi dell’est votavano con i piedi. Depardieu dunque come dissidente del nuovo secolo: non è il primo, non sarà l’ultimo ma solo contro di lui ha caricato la cavalleria. I più benevoli lo hanno additato come il nuovo “idraulico polacco”, figura simbolica che spaventò i francesi al momento della liberalizzazione dei servizi proposta dal commissario europeo Bolkestein e subito ritirata. Lo agitano per far montare l’indignazione e portare settori di opinione a denunciare lo spazio aperto di Schengen, la politica di non vedo e non so di paesi pure fondatori dell’Unione come il Belgio e il Lussemburgo. Ma è tutta una cosa interna alle élite. Non è il popolo ad avercela con Depardieu, non il suo pubblico che magari ha visto tutti i centocinquanta e passa film della sua carriera e mercoledì prossimo farà la sua brava fila per l’ultimo, “L’homme qui rit” tratto da Victor Hugo. E’ la nuova élite di sinistra che crede di avere il vento in poppa quando agita il sacro furore giacobino, gli ideologi della moralità della cosa pubblica, della superiorità dell’interesse generale, della salvezza attraverso i sacrifici. Sono i sacerdoti dello strano culto secondo cui il cittadino deve consentire all’imposta perché sta scritto all’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Un fine giurista ha montato per l’occasione un sillogismo plumbeo, feroce: siccome la maggioranza uscita dalle urne nel 2012 è legittima e legittimata ad aumentare le imposte, chi rifiuta questa scelta non solo infrange la legalità fiscale, ma respinge la scelta democratica di un paese. Il popolo ha l’ultima parola: non accettarla significa escludersi da questo corpo indivisibile. Con coerenza, chiunque espatri per ragioni fiscali deve perciò accettare di non essere più francese, restituire passaporto, e documenti vari. Anche se ha pagato puntualmente le tasse per tutta la vita: insomma ha fiscalmente torto perché politicamente minoritario.

E’ questa l’aria del tempo: se il percettore è l’erede del secolo dei lumi, non ci possono essere dubbi su cosa sia equo e iniquo, se possa dirsi ancora democrazia quella in cui lo stato preleva tre quarti dei proventi del lavoro del cittadino. Depardieu dice di no e diventa il granello di sabbia, l’uomo da abbattere. Il primo ministro, Jean-Marc Ayrault, gli dà del “minable”, un po’ miserabile e un po’ patetico. Il ministro del Lavoro, Michel Sapin, di solito cauto e misurato con le parole, parla di deriva personale, di decadenza fisica e morale dell’attore, di cui è pure lontano cugino. Il ministro della Cultura, Aurélie Filippetti, è scandalizzata per la diserzione nel bel mezzo della guerra contro la crisi. E su Libération, Philippe Torreton, attore, vicino al sindaco di Parigi, attacca con toni virulenti che si possono spiegare solo con un’antica gelosia professionale. Allora caro Gérard, ti girano le palle? Ti fai saltare la mosca al naso per una sola parola e chiedi rispetto come uno scolaretto piagnucoloso nel cortile della ricreazione? Suvvia, davvero pensavi che avremmo approvato? Il problema è che le tue sbandate vanno sempre a finire nello stesso fossato, quello del penso solo ai cazzi miei, al denaro e agli amici dittatori, della scorreggia fragorosa, alle pisciate sulla moquette di un aereo, alle ingroppate ultraliberali. Ce la sbroglieremo senza di te, per fare di questo paese un territorio dove malgrado la crisi si possano fare film e montare spettacoli grazie alle sovvenzioni pubbliche generate dalle imposte. E conclude anche lui citando Cyrano, lasci il paese in un momento in cui c’è bisogno di tutte le forze, nel pieno dell’assedio di Arras, sotto gli occhi stralunati dei cadetti. Addio.

Un delirio, insomma. A onor del vero anche Gégé, uomo smisurato nel corpo e sanguigno nell’anima, ci ha messo del suo. E’ stato un fan volontario e sfegatato dell’ex presidente Sarkozy, si è fatto vedere fisso in prima fila ai suoi meeting in campagna elettorale, tanta compromissione con il vinto non saprebbe come perdonarla nemmeno un socialista di buon cuore. Non bastasse questo eccolo ripetere ogni due per tre che François Hollande, il nuovo presidente, è un “porcelet”, ha la consistenza e l’appeal di un piccolo suino: detto da un carnivoro assatanato di bouffe potrebbe passare per un complimento ma non lo è. In poche settimane Gérard ha conosciuto il blues nell’anima in tutte le sue gamme: sconcerto, incredulità, amarezza, collera ferina, infine desiderio di ribellione. Quando si è visto pure insultato dal primo ministro, ha preso carta e penna e scritto al Journal du dimanche. Attacca in modo calzante con la battuta di Louis Jouvet in “Drole de drame”, nei panni di Archibald Soper, arcivescovo di Bedford: “ Minable? Vous avez dit minable? Que c’est minable!”. E poi ingrana: è nato nel 1948, lavora da quando aveva quattordici anni, prima come tipografo poi come magazziniere infine come artista drammatico, in quarantadue anni ha pagato 145 milioni di euro in tasse, pagherà anche quelle del 2012, più o meno l’85 per cento del reddito. Dice che se ne va perché il presidente porcellino e i suoi compagni considerano che il successo, la creazione, i talenti, in pratica la differenza, siano una colpa da sanzionare. Non ritiene di dover giustificare loro le ragioni tante e intime della sua scelta. Restituisce il passaporto e la tessera della mutua di cui mai si è servito. Dice che non avranno più la stessa patria, lui è ormai un europeo, un cittadino del mondo che trova miserabile l’accanimento della giustizia nei confronti del figlio Guillaume condannato quando era ancora un ragazzo a tre anni per due grammi di eroina. Non parla per lamentarsi né per vantarsi ma rifiuta il termine miserabile. E conclude: “Chi siete voi per giudicarmi così, glielo chiedo, signor primo ministro del signor Hollande, vi chiedo chi siete voi?”.

Mette in vendita l’hotel particulier classificato monumento storico sede delle sue società di produzione, 1.800 metri quadrati, rue du Cherche-midi, sixième arrondissement di Parigi, vende anche il loft accanto dove ha abitato fino a oggi, valore di mercato più o meno 50 milioni. Forse vende anche i ristoranti con annessa cantina dei vini e la pescheria che ha nella stessa strada, ma forse no. Perché le grand Gégé è fatto così: una mattina si sveglia con la voglia di pesce, va nella pescheria di fronte, trova la saracinesca abbassata, chiede informazioni, gli dicono che ha chiuso i battenti per sempre, al posto suo aprirà un negozio di vestiti: decide sui due piedi di comprarla e darla in gestione all’ex proprietario, ha fatto lo stesso con i ristoranti e persino con una lavanderia, la cui titolare non poteva permettersi di pagare l’affitto. Insomma arriva, vede, si incapriccia, compra e affida, perché lui si fida, a differenza di quelli delle imposte. Nel quartiere sanno tutto di lui: che è mangione, scoreggione, beone, eccessivo e godurioso, che ha colesterolo e diabete ai massimi. Per questo quando deve pisciare è capace davvero di farla sulla moquette dell’aereo e quella volta mancò poco che la polizia lo corcasse di santa ragione. E’ vero, si addormenta mentre guida lo scooter e fa cadute pazzesche. E’ vero, dà facilmente in escandescenze, sta attento ai soldi come chiunque abbia fatto la fame da giovane: ma ci ha pure il cuore come una casa, ha aiutato tutti quelli che ha potuto: purché si impegnassero e mostrassero un minimo di passione, di talento. Per questo lo adorano e lui ricambia.

Ha detto che a Parigi terrà solo un pied-à-terre, la metà dell’anno li passerà oltre confine, a Néchin, rue de la Reine-Astrid. Fotografi e giornalisti sono andati sul posto, per i semplici curiosi ci sono le mappe di Google, ma è facile sbagliarsi: la tenuta è nascosta, dà verso l’interno e confina con le proprietà di altri famosi industriali francesi trasferitisi in Belgio da tempo. Ci si chiede che mai farà Gérard Depardieu in un posto così, dove ti ubriachi o ti prendi a schiaffi da solo. Per questo scommettono che è una finta, un colpo di testa, che lo si vedrà presto a fare danni a Parigi. Intanto l’immensa “oui, je suis Catherine Deneuve” ha mandato a dire a Torreton di non permettersi mai più di insultare l’amico Gérard. Lo vuole il popolo, lo vuole il suo pubblico. E lo vuole forse anche il governo che si è reso conto che non è proprio l’eroe positivo del feuilleton. Il primo ministro ha fatto rapidamente se non un passo indietro almeno due di lato: dice di non avere mai offeso la persona, solo stigmatizzato il fatto di espatriare per pagare meno tasse, Depardieu è un grande artista e per questo i francesi lo amano. Finirà anche questa storia con il grande perdono. Poi se così non dovesse essere, c’è sempre un buen retiro nella ValdiChianashire, fra Siena e Arezzo. E se lo spettro dell’armonizzazione fiscale dovesse braccarlo in Europa, beh una soluzione ci sarebbe: Putin ha fatto sapere che lo aspetta a braccia aperte e con un fiammante passaporto in mano.

Lanfranco Pace
Fonte: www.ilfoglio.it
Link: http://www.ilfoglio.it/soloqui/16318
30.12.2112

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