DI CARLO BERTANI
Chissà come chiamavano i genitori – quand’era bambino – l’attuale “signor FIAT”, ossia Luca di Montezemolo? Luchino? No, c’era un altro Luchino – il regista Visconti – e non fosse mai che i due s’incontrassero. Luchetto? No, ricorda troppo un chiavistello…Lucherino? Può essere…in fondo si tratta di una specie di passerottino simpatico e grazioso, con un solo difetto: canta, canta sempre, anche quando gli altri uccelli tacciono.
Mentre il centro destra s’inventa le manifestazioni di piazza – a Vicenza! La prossima potrebbero farla al confine austriaco…a Lampedusa – per cercare di rendere un’impossibile pariglia a Prodi, ossia quando il centro destra governava ed il sindacato portava in piazza un milione di persone, il nostro Lucherino di Montezemolo è andato a gorgheggiare all’assemblea della Piccola Industria a Prato: grandi proclami per dieci piccoli indiani.
Quale romanza ha strimpellato il nostro cantore di fronte alla platea amica? Scendere in piazza con Berlusconi? Oh no, my God, non fa “tendenza” mettersi al fianco con quelli che strombazzano che “l’hanno duro”, non è roba da Lucherini ma da merli, corvi…insomma, uccellacci neri.
Meglio, invece, cinguettare di fronte ad una platea amica e – tutto sommato – soddisfatta: certo…si poteva ottenere di più…ed allora via con l’attacco alla Finanziaria! Tanto si sa, la Finanziaria è una diligenza che passa una sola volta l’anno: giochiamo un po’ al tiro a segno!
Al buon Lucherino non va giù che ci sia questa sinistra “estrema”, “massimalista” che frena l’espansione economica del paese, che pretende – quasi fossero loro a comandare! – salari più alti, niente pensioni a 65 anni…mio Dio che disgusto…quando avevo parlato con Romano m’era parso d’aver inteso un’altra musica…
I lucherini amano cibarsi di lombrichi e di briciole, ed il nostro Lucherino non ha considerato sufficienti quelle che il governo ha destinato loro dopo aver scosso la tovaglia sul balcone. Che affronto.
“Volevamo la Luna”. Grazie, quella la vogliono tutti. “La Finanziaria è vecchia, non procede al risanamento del Paese…”
Oh, finalmente uno che parla chiaro: volevamo di più dal taglio del cuneo fiscale, volevamo la gente in pensione a 65 anni, volevamo veder licenziati i dipendenti statali. Basta con gli sprechi in stipendi e pensioni! Pensiamo al futuro del Paese ed alle prossime generazioni (di Lucherini).
Ognuno canta la sua canzone, ma il signor FIAT avrebbe tante ragioni per trovare un sicuro nido in una grotta, starci il tempo necessario e riflettere su cosa va dicendo. Perché, se voleva la “macelleria sociale”, non si è rivolto a Berlusconi? Ovvio: sperava d’ottenere l’intero “piatto” da Prodi e il buon Romano – se avesse potuto – avrebbe accontentato lui e Goldman & Sachs, Standard & Poor, il FMI e la Banca Mondiale.
La vendetta per le aspettative mancate è giunta – in pieno stile mafioso – con un vano declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating; no, Romano, così non va: possibile che non sai usare lo scudiscio con quella gente?
Tutti s’aspettavano di più dal buon Romano, ma il Prode bolognese ha imparato la lezione che Bertinotti gli diede nel 1998: la sinistra comunista non può giocarsi il suo elettorato per fare una Finanziaria che piaccia solo ai “poteri forti”. Almeno, si deve trovare un compromesso accettabile, bisogna salvare la faccia.
Ma il signor FIAT – prima d’accusare la sinistra massimalista d’essere la rovina della nazione – dovrebbe guardare dalle proprie parti, in senso politico e geografico, per verificare se sia stata solo la sinistra comunista ad affossare il paese.
C’era una volta una grande azienda di nome FIAT, che produceva automobili popolari, le quali valevano tanto quanto le consorelle europee: oddio, una Opel era più robusta di una “Millecento”, ma le differenze non erano abissali.
A quel tempo c’erano in Italia altre case automobilistiche e vigeva un regime di concorrenza; quando ci sono dei competitori si deve scegliere fra due strategie: competere nello stesso segmento di mercato oppure difendere un segmento e tralasciare gli altri.
Il signor FIAT dell’epoca – e non stiamo qui ad illustrare i mezzi, altrimenti ne uscirebbe un libro – scelse la terza via: quella di mangiarsele.
Anche in questo caso, però, non è detto che tutto il male venga per nuocere: Wolkswagen assorbì Skoda, ma entrambe campano tuttora abbastanza bene.
Il signor FIAT acchiappò prima la Lancia, storica casa che produceva auto lussuose e di prestigio: nell’estate del 1978 – quando da pochi anni la Lancia era diventata FIAT – nel centro di Londra campeggiavano enormi pubblicità della “Beta Montecarlo”, considerata dagli inglesi quasi un sogno proibito. Se non potevi permetterti Jaguar od MG, potevi sempre acquistare una “Beta Montecarlo” e non sentirti proprio un “signor nessuno”.
Il prestigio della Lancia era principalmente dovuto ai successi ottenuti dalle mitiche “Fulvia HF” nei campionati di rally, ma anche le “ammiraglie” – Aprilia, Aurelia (leggendario il “coupé”), Flaminia e Flavia – erano lo “status symbol” del successo economico.
Per chi occupava uno scalino più basso c’erano sempre le “Fulvia” (berlina e coupé), che erano in ogni modo delle signore automobili, invidiate anche all’estero.
La filosofia Lancia poggiava sulla qualità e la qualità ha dei costi: carrozzerie in alluminio, cambi ZF di derivazione sportiva, motori a prova di bomba. Il tutto costava, ma il risultato era all’altezza delle aspettative.
La buona borghesia italiana viaggiava in Lancia e pochi acquistavano lussuose auto straniere: c’era il timore di ricambi più costosi…di lunghi tempi d’attesa per riceverli…e poi, perché comprare all’estero quando le Lancia ci erano addirittura invidiate per la loro classe?
Appena il nuovo management FIAT s’insediò in Lancia sparirono le carrozzerie in alluminio dalle Fulvia Coupé – ma questa era solo la prima avvisaglia – perché bisognava pensare ad una nuova serie di “ammiraglie”.
Per la nuova Lancia Gamma – versione berlina e coupé – il management Lancia propose (e non rivelerò la mia fonte) una “rivisitazione” del motore 2500 cm3 della Flaminia, un ottimo propulsore per una vettura di quel livello. I nuovi padroni – analizzando i costi – iniziarono a storcere il naso: perché non equipaggiare le nuove “ammiraglie” con un motore più economico, di casa FIAT?
Le proteste della vecchia dirigenza Lancia furono inutili: un propulsore maggiorato rimaneva sempre un’incognita; come avrebbe reagito un motore, nato per vetture di una categoria inferiore, alle modifiche per “spremergli” qualche decina di cavalli in più?
La nuova Lancia Gamma fu equipaggiata con un “economico” motore FIAT e messa in vendita ad un prezzo “Lancia”, ossia ben superiore a quello delle grosse cilindrate FIAT: tutti gli affezionati clienti Lancia (la media ed alta borghesia italiana) acquistarono fiduciosi la nuova nata. Che colpaccio per i bilanci FIAT.
Come andò a finire?
Con i piazzali della Lancia colmi di “Gamma” restituite dai concessionari: la maggior parte di esse aveva il pessimo gusto di bucare i pistoni nei primi 1.000 Km di percorrenza. Fu il primo di una serie di colossali errori, e chi oggi vorrebbe santificare Gianni Agnelli come un gran capitano d’industria dovrebbe riflettere e contare almeno fino a venti. Un uomo arguto, colto e simpatico: un grande capitano d’industria? Beh…
A meno di credere che un capitano d’industria sia solamente un uomo che moltiplica per un certo periodo i profitti di un’azienda, non si può concedere quella patente agli Agnelli perché le vacche grasse durano appunto “per un certo periodo”, dopo svaniscono.
In quegli anni, avvenne la grande penetrazione dell’industria automobilistica tedesca nel mercato italiano: oggi, marchi come Audi, Mercedes e BMW sono praticamente sinonimi di vetture eleganti di grossa cilindrata, le ammiraglie, appunto. Le stesse che sapevamo produrre anche in Italia, e che per uno scherzetto da nulla – vendere alla miglior clientela delle ciofeche – ci è costato l’uscita dal segmento delle auto di lusso.
Oggi il marchio Lancia è praticamente limitato alle piccole cilindrate che sono il frutto di un’altra acquisizione – Autobianchi – poi confluita in Lancia: dalla Autobianchi A112 parte la linea evolutiva che conduce oggi alle attuali Lancia Y, ma questo non ha nulla a vedere con quello che era il punto “forte” del mercato Lancia, ossia soddisfare una clientela esigente con auto costose ma di gran valore. Berlino ringrazia.
Il rampante Lapo – grande amante, come il nonno, dello sci e delle “piste” – si lamentò perché la classe politica italiana snobbava le attuali ammiraglie Lancia: come, costruiamo dei gioielli e voi non li accogliete? Che Stato balzano è mai questo, che snobba la “crema” della produzione nazionale?
Difatti, le ammiraglie Lancia le vediamo solo più in televisione: le usano i politici e basta. Provate a circolare per Roma quando passa il codazzo urlante della polizia: in mezzo c’è la Lancia del ministro di turno. E poi gridano agli sprechi: provassero a viaggiare con una Punto, invece d’essere gli unici acquirenti dei “misteri” Lancia.
Dopo Lancia venne l’ora dell’Alfa Romeo – anche qui ci sarebbe da scrivere un bel romanzo nazionalpopolare – e lo Stato si ritirò dal mercato automobilistico cedendo tutto ai potenti signorotti torinesi.
Per quanto riguarda alcune produzioni d’elite, FIAT cercò di non cadere nel vecchi errore commesso con la Lancia, ma l’Alfa Romeo produceva in Campania una vetturetta popolare dal motore grintoso: la “Alfasud”.
Ebbene, con l’ingresso in FIAT, avvenne un fenomeno curioso: si raccontava che le auto partissero da Napoli e, giunte a Milano, già iniziassero a marcire.
Gli italiani sono anche patrioti, ma non sono fessi.
Anche le auto straniere erano preda della ruggine – solo negli anni ’90 la protezione divenne più efficace, grazie a nuove tecniche – ma una Renault od una Ford non lasciavano una scia di ruggine come le FIAT. Potevi portarti appresso una calamita e legarla al paraurti posteriore: a fine mese depositavi il tuo chiletto di metallo al demolitore e ci ricavavi qualcosa.
Niente da fare: nonostante tutte le cure, le verniciature, la copertura anche del minimo graffio, 128 ed Alfasud, 126 e furgoncini si scioglievano come se fossero stati a bagno nell’acido. Sembrava che la ruggine partisse dall’interno del metallo e non dagli agenti atmosferici esterni: come si spiegava un simile fenomeno?
Il risparmio è sempre stato il vero pallino degli Agnelli, sin dai tempi di Valletta: risparmi un centesimo il giorno e, siccome i giorni di una potente casata sono molti, alla fine si fanno i miliardi.
La Grecia vendeva il suo acciaio ad un prezzo stracciato? Eh sì, pagavano meno il personale…i greci sono gente paziente, che lavora per un pezzo di pane…saranno pure stati dei gran filosofi, ma oggi sono dei poveracci e – pur di lavorare – ci fanno ottimi prezzi.
Treni colmi di rotoli d’acciaio giungevano a Torino, sbarcati dalle navi giù rugginosi, rossi come le terre argillose del Monferrato che attraversavano prima di diventare portiere e parafanghi.
La Grecia – nazione così povera d’acqua – dove trovava l’enorme quantità di prezioso liquido per raffreddare le colate ed i laminatoi a caldo? Le raffreddavano con l’acqua di mare.
Qualcuno ha sentito parlare di NaCl, cloruro di sodio, il comune sale da cucina? Quale effetto pensate che generi se incluso nell’acciaio? Un bel risparmio.
Dopo essere stati presi in giro per alcuni decenni, gli italiani iniziarono a non farsi più incantare dalle sirene torinesi e volsero la loro attenzione altrove: iniziarono gli anni bui, ed i guai.
La FIAT perdeva contemporaneamente percentuali di mercato e miliardi ad ogni bilancio, che si traducevano in cassa integrazione e mobilità per i lavoratori FIAT, ed in semplici licenziamenti per le piccole fabbriche dell’indotto. A questo servono le piccole dimensioni di un’azienda: fungono da “polmone” per assorbire le crisi, che se le trovano tutte sul gobbo i lavoratori, mica i Lucherini.
Oggi l’azienda torinese è in ripresa – perché l’alternativa era soccombere – e si è messa a produrre un po’ meglio. Un po’. Gli altri, nel frattempo, sono andati avanti e presto arriveranno vetturette cinesi a prezzi stracciati: altri guai in vista per chi non sa lavorare sulla qualità. La soluzione FIAT? Una joint venture con la Tata indiana, andranno a costruire le Punto in India, come costruivano le “600” in Jugoslavia quando l’Europa era già zeppa di Golf.
E così la colpa del pessimo andazzo economico è dei lavoratori: la volete smettere di mangiare a colazione, pranzo e cena? Noi, affermano i Lucherini in coro, siamo la testa e voi il corpo – ricordate Menenio Agrippa? – e sappiamo solo pensare. S’è visto come.
Pare che la memoria sia il punto debole dei Lucherini: cantano senza spartito, e non ricordano mai che il costo del lavoro, in Italia, è uno dei più bassi d’Europa. Se quei lavoratori fossero utilizzati per produrre beni ad alto valore aggiunto – ma anche solo buone automobili, non quelle che un mese dopo l’acquisto devono già rientrare alle concessionarie per mille piccoli guai – quel lavoro produrrebbe più ricchezza e ci sarebbero più risorse, per tutti.
A chi tocca operare queste scelte? Perché in Italia si tagliano i fondi per la ricerca? Perché non si cerca d’entrare nel futuro delle nuove tecnologie in campo energetico, elettronico, informatico, biologico, elettromedicale? Che sia proprio vero – come affermano i napoletani – che “’O pesce fete da ‘a capa?”
Da tutte queste vicende, se vogliamo trovare un comune denominatore, non c’è tanto da scegliere: quando si guadagna sono per noi (Autostrade), quando si perde sono dello Stato (Ferrovie). Negli anni di vacche grasse FIAT è una grande azienda privata che compete sul mercato mondiale, in quelli di vacche magre diventa una “risorsa per la nazione”.
Ora, il Lucherino vorrebbe farci lavorare fino a 65 anni perché non ci sono i denari per pagare le pensioni. Domanda: dove sono finiti i versamenti del lavoratori?
Ah, già…i Lucherini sanno gorgheggiare a meraviglia ma hanno scarsa memoria: non ricordano mai il balcone dove si sono recati per fare incetta di briciole.
Dove sono stati presi i denari per pagare decenni di (doverosa) cassa integrazione ai lavoratori, quando la FIAT era una “risorsa per la nazione”? Dalle casse dell’INPS, perché in Italia non siamo nemmeno capaci di separare la Previdenza dall’Assistenza: almeno, questo è ciò che ci raccontano.
Se la Previdenza fosse destinata soltanto alle pensioni, per l’Assistenza bisognerebbe provvedere altrimenti: magari con la creazione d’appositi fondi che le aziende dovrebbero rifornire negli anni di vacche grasse. Niente di molto diverso da quanto facevano gli Egizi tremila anni or sono.
Purtroppo, non si riesce a separare la Previdenza dall’Assistenza…eh già, è un problema che ci trasciniamo da decenni…tutte le classi politiche ne sono responsabili, non una sola parte. Quando si presenta il problema ai politici, in genere parte questo pianto antico da coccodrilli: “tutti insieme appassionatamente” a denunciare le omissioni d’interi decenni, uno scaricabarile planetario.
Chissà cosa succederebbe se i soldi destinati alle pensioni fossero utilizzati per quello scopo, e le aziende dovessero accollarsi, almeno in parte – con la costituzione d’appositi fondi – i costi dei loro errori strategici?
Peccato davvero, perché sarebbe un interessante esperimento evoluzionista: osservare se i Lucherini – sbattendo la tovaglia in un diverso balcone ad ore alterne – ritroverebbero la memoria.
Purtroppo non si riesce proprio a portare a termine l’esperimento, ed i Lucherini continuano a becchettare dove trovano briciole, senza mai serbare memoria dei luoghi che visitano e, soprattutto, di chi rifornisce di preziose briciole quei balconi.
Carlo Bertani
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www.carlobertani.it
21.10.06