BUSH PIANGE LACRIME IPOCRITE

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DI MAURO MANNO

Un George Bush lacrimoso? Lo avevate mai visto? Ma per chi piange Bush? Non certo per i milioni di iracheni o afgani della cui morte è direttamente responsabile. No Bush piange di fronte a una foto aerea di Auschwitz, nel memoriale dell’olocausto in Israele. “We should have bombed it”, (avremmo dovuto bombardarlo) dice il commosso Bush. Bombardare Auschwitz? Questo lascerebbe presupporre quell’ “it”, che il più stupido presidente che gli Stati Uniti abbiano mai avuto ha incautamente pronunciato. Bombardare Auschwitz con tutti i suoi prigionieri? E quante volte? E bravo Bush, così non ci sarebbero stati sopravvissuti: chi poteva scampare ai tedeschi sarebbe stato massacrato dagli americani. Scandalo tra i presenti ebrei, compreso il presidente del memoriale. C’è voluta la servetta nera di turno, la Condoleezza , per salvare il suo padrone spiegando che egli si riferiva alle “train tracks leading to Auschwitz, not the camp itself” (le linee ferroviarie che portavano al campo, non il campo stesso).

Questo piccolo incidente ha movimentato una commemorazione altrimenti perfetta e finalizzata a ammorbidire la volontà del presidente Usa nel caso egli avesse intenzione di prendere sul serio le sue stesse parole sulla costituzione di uno stato palestinese prima della fine del suo mandato.

Non c’è in verità pericolo che Bush creda alle sue parole. Sono fumo negli occhi, parole al vento. Tra meno di un anno Bush conterà meno di niente. Non sarà più il più potente presidente del mondo. Da qui a novembre 2008 non avrà modo di imporre a Israele (sempre che lo voglia veramente) uno stato palestinese che Israele aborrisce. Da novembre in poi, a servire Israele alla Casa Bianca ci sarà la Clinton , o forse ci sarà McCain, ci potrebbe essere Obama, se gli americani si dimostrano pronti ad accettare un presidente nero.

Allora perché questo inutile viaggio di Bush, queste mirabolanti prospettive di ‘pace’?

Servono a dividere i palestinesi e isolare Hamas. Un ulteriore favore di Bush alla lobby ebraica. Servono ancora di più a tentare di arginare la positiva influenza dell’Iran in Medio Oriente. Non per niente Bush ha ripetuto in tutti i paesi del Golfo che l’Iran “minaccia il mondo” (non ce n’eravamo accorti) ed “esporta terroristi in Occidente”. Si dicevano le stesse cose dell’Iraq poi sappiamo come è andata a finire. Che le menzogne di Bush siano così spudorate lo dimostra l’incidente navale nello stretto di Hormuz, prima fatto passare per una “minaccia di aggressione”, poi ridimensionato ad un innocuo diverbio, oggi presentato come una svista causata dall’interferenza di hackers non meglio identificati. Che faccia tosta poi parlare di minaccia dell’Iran quando poco fa le stesse agenzie di intelligence americane hanno smontato una escalation costruita da Bush, dalla lobby ebraica e da Israele in tre anni. La campagna contro l’Iran del presidente Bush è solo un altro favore, il più importante in questo momento, alla lobby ebraica e a Israele. Da oggi in poi le persone serie dovrebbero subito bollare come agenti di Israele, della lobby e di uno screditato presidente tutti coloro che continuano a spargere veleno e menzogne contro l’Iran. Primo tra tutti l’ebreo sionista Sarkozy.

Il fatto che l’obiettivo di Bush sia sempre quello di isolare l’Iran la dice lunga sulla sincerità delle sue intenzioni sullo stato palestinese. Se avete illusioni, non sorprendetevi se domani, quando le illusioni saranno crollate, vi diranno che siete ingenui nel migliore dei casi e imbecilli nel peggiore.

Ma torniamo ad Auschwitz.

Perché non furono bombardate le linee ferroviarie che portavano al campo? Bush non dice “Non sapevamo niente”, come molti hanno sostenuto. Si sapeva invece tutto. Lo sapevano gli americani, lo sapevano i britannici, lo sapevano i sionisti.

Il problema di bombardare le linee ferroviarie fu posto da alcuni, ebrei e non, nel 1944. Weizmann, il più importante caporione sionista di allora, e Sharret, dirigente dello Yishuv in Palestina e poi primo ministro di Israele, si recarono a Londra per parlarne con Anthony Eden, Ministro degli Esteri britannico. Lo fecero con molte esitazioni e Eden parlò poi del discorso del Presidente dell’Organizzazione Sionista mondiale in questi termini: “Il Dr Weizmann ammise che sembrava esserci ben poco che si potesse fare per fermare questi orrori”. Sharret, da parte sua, in un memorandum redatto 4 giorni dopo l’incontro, scrisse:
“Il bombardamento dei campi della morte è difficile che possa procurare in termini apprezzabili la salvezza alle vittime. Il suo effetto concreto può solo essere la distruzione degli impianti e del personale e probabilmente l’accelerazione della fine di coloro che sono già condannati”. [1]
Si noti che l’ipocrita Sharret, ben sapendo che la proposta era di bombardare le linee ferroviarie e non il campo, nella sua dichiarazione parla del campo e degli impianti e non delle linee ferroviarie che potevano essere bombardate a centinaia di chilometri di distanza da Auschwitz.
Sappiamo perché gli alleati non pensavano di bloccare le fabbriche di guerra dei campi. Non volevano bloccare lo sforzo bellico tedesco contro la Russia. La Germania era considerata già sconfitta, si temeva ormai l’Unione sovietica. Soprattutto alla fine del 1944 quando i Russi avanzavano velocemente verso l’Europa centrale. Ai sionisti, milioni di ebrei assimilazionisti, non sionisti, non interessavano più di tanto.
Affermazione avventata quest’ultima? Vediamo. Consideriamo un altro episodio storico.

Nel marzo del 1944 Kasztner (capo dei sionisti ungheresi) e Brand (suo vice) entrarono segretamente in contatto col capo delle SS Dieter Wisliceny, che era allora alla testa del Nucleo Speciale per gli Affari Ebraici in Ungheria, dopo esserlo stato in Slovacchia, e in Grecia. Nel 1944 Wisliceny aveva capito che la Germania era destinata a perdere la guerra. Inviato in Ungheria per risolvere il problema degli ebrei ungheresi e delle molte migliaia di ebrei polacchi e cecoslovacchi precedentemente fuggiti in quel paese, cominciò a pensare a come salvare la pelle dopo la guerra. Era disposto a farsi corrompere. Quando si incontrò con i due capi sionisti chiese molto denaro in cambio della sua collaborazione. Ma necessariamente Wisliceny doveva fare il doppio gioco. Kasztner e Brand chiesero che qualche migliaio di persone, con certificati di emigrazione verso la Palestina (vedremo chi erano), fossero autorizzati a viaggiare sul Danubio verso il Mar Nero e la Turchia. In cambio offrirono collaborazione. Wisliceny informò della richiesta il suo superiore Eichmann. Costui conosceva i sionisti «socialisti» da quando aveva trattato con loro prima della guerra ma non aveva nessuna intenzione di lasciare che gli ebrei ungheresi restassero liberi nelle città del paese occupato. Accettò di trattare ma fece una controproposta. Chiese quindi a Brand di portarla in Turchia all’Organizzazione Sionista Mondiale e agli alleati. La sua controproposta era la seguente: era disposto a far emigrare verso la Spagna un milione di ebrei in cambio di 10.000 camion militari, sapone, caffè ed altri prodotti; i camion sarebbero stati usati esclusivamente sul fronte orientale, dove le cose non andavano bene. Come prova della sua buona fede avrebbe permesso il rilascio preliminare di un convoglio verso la Palestina di 600 persone.

Il 19 maggio, Brand partì su un aereo tedesco insieme ad un altro ebreo Bandi Grosz, che era in realtà un agente tedesco e ungherese, già utilizzato per contatti con i servizi segreti alleati. Dopo varie peripezie, Brand incontrò Sharret il 10 giugno. Sharret si accordò con gli inglesi perché arrestassero Brand e lo spedissero in una prigione in Egitto. I sionisti non credevano di dover fare pressioni sugli alleati perché accettassero la proposta di Eichmann. Agli inglesi (e agli americani) forse una proposta del genere poteva interessare, perché avrebbe potuto contribuire a fermare o rallentare l’avanzata russa. Gli alleati però non potevano fare i conti senza Stalin. Quindi notificarono a Mosca la missione di Brand. Stalin rifiutò che si prendesse in considerazione un accordo ai suoi danni (i 10.000 camion dovevano essere utilizzati sul fronte russo). E dovette battere forte i pugni sul tavolo per bloccare l’operazione. Il 19 luglio la notizia della proposta tedesca fu data alla stampa e denunciata come un trucco per dividere gli alleati. Il 5 ottobre, dopo quasi 4 mesi, Brand fu liberato.
Di certo inglesi e americani e russi si misero d’accordo per far fallire l’operazione di Eichmann e condannarono gli ebrei ungheresi. Ma i sionisti cosa fecero? Fecero tenere in prigione Brand perché non rivelasse la proposta che avrebbe salvato centinaia di migliaia di ebrei.
Ma non si limitarono a questo. Dopo la sua liberazione, Brand si precipitò a Gerusalemme dove cercò di convincere Eliahu Dobkin, capo del Dipartimento Immigrazione dell’Agenzia Ebraica a riprendere le trattative segrete. Dobkin rifiutò. Disperato Brand si recò a Tel Aviv per partecipare ad un incontro con i dirigenti e i delegati dell’Histadrut (sindacato corporativo ebraico in Palestina). Sentendosi preso in giro, afferrò il microfono e gridò:
“Eravate l’ultima speranza di centinaia di migliaia dei nostri condannati a morte. Li avete traditi. Io ero l’emissario di quella gente e mi avete fatto marcire in una prigione al Cairo (…). Avete rifiutato di scatenare uno sciopero generale. Se non c’era altro modo, avreste dovuto usare la forza”.[2]
Operai e dirigenti si precipitarono a chiudergli la bocca visto che era presente la stampa.
In un disperato ultimo tentativo, Brand chiese di incontrare Weizmann. Ciò avvenne il 29 dicembre 1944 e naturalmente anche questo incontro si concluse con un nulla di fatto. Weizmann promise solo che avrebbe aiutato il suo interlocutore a tornare in Europa.
Fallita l’operazione proposta da Eichmann, cosa fece Kasztner? Entrò in trattative ancora più strette con i nazisti anzi proprio con Eichmann.
Dopo la sua cattura in Argentina, Eichman, prima di essere condannato a morte in uno spettacolare processo a Gerusalemme, fu intervistato e parlò anche delle sue trattative con Kasztner:

“Egli (Kasztner) accettò di aiutare a fare in modo che gli ebrei non resistessero alla deportazione – e addirittura a tenere l’ordine e la calma nei campi di raccolta – se io avessi chiuso gli occhi e lasciato qualche centinaio o qualche migliaio di giovani ebrei emigrare illegalmente in Palestina. Era un buon accordo. Per tenere l’ordine nei campi, il prezzo di 15 000 o 20 000 ebrei – in definitiva se ne potevano contrattare anche di più – non mi sembrava molto alto. Eccezion fatta, forse, per i primi incontri, Kasztner non venne mai da me impaurito dall’uomo forte della Gestapo. Trattammo assolutamente tra uguali. La gente lo dimentica. Eravamo su opposti fronti politici e cercavamo un accordo, e ci fidavamo perfettamente l’un dell’altro. Quando era con me, Kasztner fumava sigarette come se fosse al Caffé. Mentre discutevamo, fumava una sigaretta aromatica dopo l’altra, prendendole da una custodia d’argento e accendendole con un piccolo accendino d’argento. Con la sua riservatezza e educazione sarebbe stato anch’egli un ideale ufficiale della Gestapo. (…)
Credo che Kasztner avrebbe sacrificato migliaia o centinaia di migliaia di persone del suo sangue per raggiungere il suo scopo politico. Non era interessato negli ebrei vecchi o in coloro che si erano assimilati nella società ungherese. Insisteva invece in modo incredibilmente persistente per salvare ebrei biologicamente validi – cioè, materiale umano in grado di riprodursi e lavorare sodo. «Potete tenervi gli altri» diceva «Ma lasciate che prenda questo gruppo». E dal momento che Kasztner ci stava rendendo un grande servizio aiutandoci a tenere tranquilli i campi di deportazione, io lasciai che il suo gruppo partisse. Dopo tutto, non mi preoccupavo dei piccoli gruppi di qualche migliaio di ebrei”.[3]

Il 6 dicembre 1944, il treno per il gruppo di Kasztner era pronto alla stazione di Budapest, destinazione la Svizzera. André Biss, il nipote di Brand, che era nell’organizzazione dei sionisti di Kasztner e che operò con lui, conferma nella sostanza le parole di Eichmann in un libro scritto successivamente e soprattutto spiega nei dettagli come era composto il gruppo di coloro che erano stati selezionati per partire. Il gruppo più numeroso, l’orgoglio di Kasztner, era la gioventù sionista (membri di varie organizzazioni, non solo i ‘socialisti’ ma anche i revisionisti), in gran parte coinvolti nell’opera di controllo dei campi di raccolta. Poi venivano la madre di Kasztner, i suoi fratelli, le sorelle ed altri membri della sua famiglia. Quindi i dirigenti delle organizzazioni sioniste e le loro famiglie. I membri delle famiglie di coloro che avevano lavorato con lui per conto dei nazisti erano una cinquantina. Infine venivano circa 300 ricchi ebrei che avevano pagato in contanti per il viaggio, perché si era dovuto raccogliere il denaro richiesto dai tedeschi. In tutto erano 1684 passeggeri.[4] Ecco chi erano gli ebrei che Katszner voleva salvare. I sionisti, i ricchi ebrei e i suoi familiari. La maggior parte degli altri 450.000 ebrei d’Ungheria finirono la loro vita ad Auschwitz.

Dopo la guerra, il «socialista» Kasztner, occupò posti di prestigio nell’amministrazione dello Stato di Israele. La sua vicenda venne tenuta nascosta dai suoi compagni laburisti fino a quando un sopravissuto dell’Olocausto lo riconobbe e lo denunciò. Al processo, malgrado prove schiaccianti contro di lui, fu proclamato innocente (tre giudici contro due). L’intero partito laburista si schierò con lui. Kasztner fu misteriosamente assassinato il 3 marzo del 1957.

Prima di fare le sue stupide e ipocrite dichiarazioni al memoriale dell’olocausto, Bush avrebbe dovuto informarsi meglio: I sionisti furono i primi a non voler fare bombardare le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz. Essi erano perfettamente d’accordo in questo con i loro alleati britannici e americani.
Per salvare gli ebrei dei campi gli americani avrebbero dovuto bombardare Tel Aviv dopo essersi assicurati che tutti i caporioni sionisti, primi tra tutti Weizmann, Sharret e l’intero Histadrut , vi fossero presenti.

Manno Mauro
13.11.08

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