BUSH HA ORDINATO L'ATTACCO CONTRO SGRENA E CALIPARI

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Nicola Calipari ha già superato di più di 200 metri il perimetro di sicurezza attorno all’aeroporto di Bagdad, quando riceve chiamata sul suo cellulare. “Sì?” risponde, e si rende conto immediatamente che è una trappola (1). E mentre il vice-capo Calipari impreca e si getta su Giuliana Sgrena per proteggerla, i sicari di Langley sparano più di 300 proiettili contro l’auto degli italiani.

DI JOE VIALLS

Se l’amministrazione americana vuole dimostrare di non avere ordinato alla CIA di tendere un’imboscata e uccidere brutalmente Nicola Calipari, all’interno della zona di sicurezza dell’aeroporto di Bagdad, tutto quello che deve fare è consegnare l’auto crivellata di proiettili alle autorità italiane, perché facciano su di essa approfondite indagini scientifiche. Negli ultimi anni innumerevoli programmi televisivi ci hanno spiegato, con tediosa monotonia, che gli esperti della scientifica potranno confrontare gli schizzi di sangue della orribile ferita alla testa di Calipari con i campioni di riferimento presenti in Italia. E potranno confrontare il sangue sul sedile dell’auto con quello sugli abiti della giornalista ferita, attualmente in ospedale. Potrebbero gli americani ingannare gli italiani, sostituendo gli interni dell’auto con altri dello stesso tipo, però con meno buchi di pallottola? A dispetto di New York, la cosa non funzionerebbe. Particelle del sangue di Calipari, vaporizzato dai proiettili ad alta velocità, sono penetrate in ogni angolo e fessura del veicolo, il che renderebbe palese, per gli esperti italiani, ogni manomissione dell’auto.


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“Ritengo assurdo insinuare che nostri uomini e donne in uniforme abbiano preso deliberatamente di mira civili innocenti. E’ semplicemente assurdo,” ha detto Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca.

E’ stata la necessità primaria di nascondere le prove, maledettamente evidenti, di un attacco massiccio e premeditato, che ha dettato la scelta finale del luogo dell’assassinio: ben all’interno del perimetro difensivo americano, pesantemente fortificato, intorno all’aeroporto di Bagdad, cioè fuori della portata delle fotocamere della Guardia Repubblicana e dell’Esercito Mehdi, ormai collettivamente conosciuti come “La Resistenza”. Tutti i posti di blocco americani all’aeroporto di Bagdad sono disposti all’esterno, sulla strada di accesso, dove vengono spesso fotografati da soldati e agenti della Guardia Repubblicana, il che conferma indirettamente ciò che i media italiani dicono, che l’auto di Calpari e Sgrena “aveva già attraversato tutti i posti di blocco, quando è stata attaccata senza preavviso”. Se il veicolo italiano fosse stato attaccato presso uno di questi posti di blocco esterni, la Guardia Repubblicana (che aveva predetto con precisione che gli americani avrebbero cercato di uccidere Sgrena e Calipari) a quest’ora avrebbe già diffuso immagini dell’auto crivellata, tramite al-Jazeera, Uruknet* e altri canali.

Purtroppo la Guardia Repubblicana non è stata in grado di farlo, dando così agli esperti di propaganda di New York il tempo di sviare l’attenzione del pubblico verso qualcosa di più appetibile (e attendibile), sotto le spoglie dell'”incidente”. Fintan Dunne, curatore di BreakForNews.com, riferisce:

“Nei blog di destra circola una foto che si pretende mostri l’auto in cui Giuliana Sgrena è stata ferita e Nicola Lipari colpito a morte. La foto viene usata per creditare il resoconto della Sgrena sulla sparatoria. In essa si vede una Sedan a quattro porte con soltanto il finestrino dalla parte del guidatore in frantumi, e nessun foro di proiettile sulla carrozzeria. Questo confuta la “pioggia di proiettili” descritta da Sgrena ed altri, e propaganda la tesi dell’esercito USA, che si sia trattato solo di una “disgrazia”.”

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La macchina di Sgrena? No. E’ di un’iracheno qualsiasi.

Tagliando corto, c’è il 100% di probabilità che l’amministrazione americana non consegnerà mai il veicolo coinvolto nell’attacco, né agli esperti italiani né ad altri, perché l’automobile in questione è già stata carbonizzata, passata e ripassata sotto un bulldozer, per eliminare anche la più piccola prova. Tutto questo col tacito consenso del Primo Ministro italiano (e ragazza pon pon degli americani) Silvio Berlusconi. Caso chiuso.

Per comprendere le ragioni per le quali politici in Italia e in America desiderassero che proprio questi agenti dei servizi segreti, proprio questa giornalista, fossero uccisi, bisogna capire che in Iraq esistono due tipi ben distinti di “ostaggi”. La stragrande maggioranza dei sequestri è opera della CIA e del Mossad, che provvedono a mettere in circolazione materiale video contenente sadismo e atrocità, attribuendoli ai “Malvagi Terroristi Islamici”. La più famosa di queste messe in scena è probabilmente quella degli agenti del Mossad (naturalmente sotto le spoglie di musulmani) che “decapitano” Nicholas Berg, un prigioniero inoffensivo che non era stato condannato a morte da nessun tribunale. Ora, anche se noi “giudeo-cristiani” occidentali uccidiamo arbitrariamente gente inoffensiva e incolpevole, ubbidendo al nostro governo e senza temere alcuna conseguenza (ad esempio a Panama, in Colombia, Serbia, Palestina, Iraq eccetera), le cose sono molto diverse per chi vive sotto una pur essenziale Legge Islamica di un paese laico come l’Iraq. Se un gruppo di musulmani fosse davvero responsabile della morte di Berg, i suoi membri sarebbero stati sottoposti a una caccia spietata, catturati, imprigionati, e infine legalmente condannati a morte dalle loro stesse autorità. La resistenza irachena non opera alcuna presa di ostaggi, sebbene talvolta sia costretta dalle circostanze a catturare prigionieri per un periodo limitato, di solito per coprire il ripiegamento delle sue forze da una zona di combattimento. Il caso più noto è probabilmente quello di Thomas Hamill, un camionista quarantatreenne del Mississippi. Secondo quanto egli stesso racconta, i suoi catturatori della Guardia Repubblicana gli fasciarono il braccio rotto, e non lo torturarono, né minacciarono in alcun modo. Condivise con loro le stesse magre razioni, finché non gli fu permesso di “fuggire” nella generica direzione di un convoglio americano. La Guardia Repubblicana combatte per la sopravvivenza della sovranità del proprio paese, e non ha né tempo né cibo da sprecare per intrattenere ospiti americani. Tutto questo potrà suonare nuovo per molti lettori, ma non lo è affatto per la Central Intelligence Agency o per il Mossad. Infatti le due agenzie controllano tutti i sequestri di propaganda (2), e sapendo molto bene che gli iracheni non prendono affatto ostaggi, il “rapimento” di Giuliana Sgrena le ha fatte precipitare nel panico. Chiaramente né la CIA né il Mossad l’avevano in loro custodia, eppure eccola lì in televisione, che invoca il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq.


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L’assassinio propagandistico di Nicholas Berg a Bagdad, da parte del Mossad.

E’ abbastanza ovvio che l’alleato italiano sapesse come funzionano i sequestri di propaganda di CIA e Mossad, tanto da aver partecipato attivamente alla disinformazione americana in almeno due occasioni. La prima fu la liberazione congiunta di Simona Pari e Simona Torretta, le due operatrici di una ONG rapite dal Mossad nel settembre 2004, mentre la seconda riguardò quattro addetti alla sicurezza sequestrati dalla CIA. Strilli e fracasso per pompare psicologicamente il mito dei “Malvagi Terroristi”. Ma il “rapimento” di Giuliana Sgrena è stato completamente diverso. Non c’è voluto molto perché gli americani fiutassero il pesante coinvolgimento dei servizi segreti italiani nella faccenda, il che introduceva un terzo incomodo nella pratica dei sequestri propaganda, senza che fosse consultato l’alleato americano. Una cosa davvero di cattivo auspicio, dato che l’ultima volta in cui le comunicazioni tra “alleati” si interruppero (in una missione all’estero), fu quando l’America invase la Somalia, e tutti sappiamo cosa è successo in seguito alle truppe americane.

Riacquistando lucidità, gli americani si sono resi conto che i servizi italiani avevano operato perché il poco brutale “rapimento” di Giuliana Sgrena fosse realizzato da nientemeno che la Guardia Repubblicana, che le stava riempiendo la testa, il taccuino e la fotocamera con prove schiaccianti dei crimini di guerra americani in Iraq (specialmente a Falluja), mentre Nicola Calipari lavorava dietro le quinte. E’ estremamente improbabile che Sgrena conoscesse la vera identità dei suoi “rapitori”, ma deve aver capito che la stavano usando come un canale affidabile verso il mondo esterno.

Agli occhi degli americani Nicola Calipari non solo era una spia e un traditore, ma sembrava avesse reclutato una delle più pericolose giornaliste d’Europa. Sebbene il Primo Ministro Silvio Berlusconi sia personalmente proprietario del più grande impero mediatico italiano, certamente non possiede o controlla il quotidiano comunista Il Manifesto, per il quale lavora Giuliana Sgrena. Non c’è dubbio che Giuliana Sgrena stesse cinicamente usando Nicola Calipari, così come lui usava cinicamente la giornalista, in quello che si potrebbe descrivere come un matrimonio di convenienza, dove ognuno rammenta il vecchio adagio: “Il nemico del mio nemico è mio amico.” Giuliana si trovava in Iraq essenzialmente come rappresentante di quel novanta per cento di italiani che per ragioni umanitarie vorrebbe il ritiro dei loro tremila soldati, mentre Nicola era lì come rappresentante di potenti “vecchi europei” e di altri burocrati che ugualmente desiderano il ritorno a casa di quelle truppe, anche se per ragioni un po’ diverse. Visto che entrambe le parti mirano allo stesso risultato, non c’è da stupirsi che si fosse formata tra Calipari e Sgrena una “micro-coalizione”.

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Molti servizi segreti europei hanno all’interno forti correnti che spingono per il ritiro immediato delle loro truppe dall’Iraq, e la stessa cosa vale per l’Italia. Quindi Nicola Calipari, vicedirettore delle operazioni antimafia dei servizi segreti italiani, prima della sua morte dirigeva una delle più potenti parti in causa. Su di lui gravava il compito di riportare 3000 soldati sani e salvi alle loro famiglie, contro gli espliciti ordini del “democraticamente eletto” e ras dei media Silvio Berlusconi. Da parte di Calipari, mettere Giuliana Sgrena nelle mani della Guardia Repubblicana era l’unica azione abbastanza efficace da mandare di nuovo in piazza gli italiani a chiedere il ritorno dei loro soldati. Nicola Calipari sapeva benissimo che i servizi segreti italiani non avrebbero mai potuto chiedere pubblicamente il ritiro delle truppe, perché il comune cittadino italiano avrebbe fiutato un inganno, malgrado non ce ne fossero.

Per Giuliana Sgrena le cose erano completamente diverse. Era ben conosciuta, rispettata e godeva di indiscussa credibilità, specialmente dopo essere tornata in patria a riferire i terribili particolari dei crimini di guerra americani contro donne e bambini dello stato sovrano iracheno. C’erano le crudeli bombe a grappolo, che avevano devastato interi villaggi; i bombardieri AC130 (3) che facevano piovere morte attraverso le finestre delle case, soldati sghignazzanti che irrompono in abitazioni private per perquisire o mitragliarne gli occupanti. Tutto questo, e anche peggio, nel sacro nome della “democrazia” in stile newyorkese.

Ancora una volta, spinti dall’efficace quadro dipinto da Giuliana Sgrena, italiani furiosi avrebbero invaso le strade di Roma, pretendendo dal lacché di New York, Silvio Berlusconi, di riportare a casa i soldati, e questa volta Berlusconi avrebbe potuto essere costretto ad accontentarli. Quella di Nicola Calipari era stata una scelta ispirata, ma l’informazione è filtrata fino a Bush e Berlusconi. I due attempati criminali di guerra decisero che l’unico modo di rimediare a quel casino sarebbe stato di uccidere sia Sgrena sia Calipari, prima che potessero lasciare l’Iraq.

Non è che George W. Bush abbia firmato qualcosa come un “ordine di uccidere”, è ovvio: ha solo dovuto telefonare a Langley, in Virginia, dove di assassini a buon mercato ce n’è in quantità, e loro sanno esattamente cosa fare, e come farla. Difatti la soluzione venne quasi da sé.

Nicola Calipari avrebbe potuto occuparsi da solo del prelevamento di Giuliana Sgrena da una casa sicura della Guardia Repubblicana, poco a ovest della “zona verde” di Bagdad, ma sarebbe rimasto esposto nel transito per l’aeroporto, controllato dagli americani, dovendo raggiungere l’elicottero italiano che li aspettava. Era quella la finestra a disposizione, e la CIA riunì con celerità un’unità di eliminazione.

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Per più di nove mesi, la strada che va dalla Zona Verde all’aeroporto di Bagdad è stata la più pericolosa dell’Iraq, completamente off-limits per qualsiasi veicolo della coalizione, inclusi i mezzi corazzati. Il fatto che fosse permesso a Nicola Calipari e Giuliana Sgrena di percorrerla indisturbati in un’automobile scarsamente blindata, dimostra che erano sotto la diretta protezione della Guardia Repubblicana, cioè sotto la protezione dei rappresentanti militari del legittimo governo iracheno.

Secondo le sue stesse dichiarazioni, Giuliana Sgrena ha potuto verificare personalmente che i suoi ospiti erano della Guardia Repubblicana, piuttosto che “terroristi” o “insorti”, anche se al momento potrebbe non essersi resa conto delle implicazioni delle sue parole, arrivando in Italia ferita e confusa. Il quotidiano italiano La Stampa ha riferito domenica che Sgrena ribadiva di essere stata rilasciata volontariamente dai suoi rapitori. “Non mi hanno mai maltrattato, ma vorrei che le cose fossero andate meglio l’altra notte [all’aeroporto]”, ha detto l’esausta giornalista ai colleghi del quotidiano di sinistra Il Manifesto che l’hanno riabbracciata sull’aereo. La dichiarazione più importante è quella secondo cui Giuliana “era stata avvertita dai suoi sequestratori che gli americani non volevano che lei lasciasse l’Iraq.” A parte gli stessi americani, gli unici in Iraq ad avere la possibilità di intercettare frammenti di trasmissione sui piani per ucciderla sarebbero stati membri della Guardia Repubblicana, attraverso i loro contatti col servizio di intercettazione del russo GRU (4). Ora come ora, solo i russi riescono a craccare i codici degli americani.

Malgrado il clamore attorno al suo rientro in Italia, Giuliana Sgrena non è ancora fuori pericolo. Uno dei media di proprietà del Primo Ministro italiano la mette giù così: “Un membro del governo italiano ha consigliato alla Sgrena, che scrive per un giornale comunista costantemente contrario alla politica statunitense in Iraq, di essere prudente nelle sue dichiarazioni sull’accaduto, e ha detto che la sparatoria non avrebbe influenzato il sostegno dell’Italia all’amministrazione Bush.” Tutto ciò è formalmente ineccepibile, ma la fonte giornalistica ha discretamente dimenticato di citare il nome del “membro del governo” che ha dato l’avvertimento a Sgrena, il che, se ci si pensa, è un’omissione alquanto strana. Anzi, perché farla, questa omissione?

Forse l’omissione è giustificata dal fatto che il membro del governo coinvolto era lo stesso Primo Ministro Silvio Berlusconi, che è anche proprietario della fonte giornalistica, e ne controlla sia il lavoro sia i contributi. Berlusconi è un bullo prepotente che non ha tempo da perdere con un giornalismo veritiero, e i suoi dipendenti hanno imparato alla svelta che il loro compito è di diffondere solo le notizie che lui gli dice di diffondere.

Chiedersi come mai George W. Bush si sentisse autorizzato a ordinare l’uccisione di Nicola Calipari e Giuliana Sgrena sarebbe del tutto inutile. Durante i suoi mattutini incontri di preghiera alla Casa Bianca, George accenna spesso al fatto che il suo Dio Talmudico lo ha autorizzato a uccidere chiunque gli pare, quando gli pare, in una progressiva “santa crociata” per portare la “democrazia” (cioè l’egemonia e lo schiavismo di Wall Street) agli “autocratici” e “dittatoriali” popoli del medioriente.

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I dittatori fascisti come Silvio Berlusconi (foto in alto) non hanno l’abitudine di precipitarsi all’interno di un aereo per dare il bentornato a una giornalista comunista. E’ a questo punto che l’inviato di Wall Steet Berlusconi ha brutalmente suggerito che la reporter del Manifesto avrebbe fatto neglio a tacere, o altrimenti… Ferita gravemente a spalla e polmone, Giuliana Sgrena deve aver trovato l’incontro senza dubbio minaccioso. Poi, a riprova del fatto che Sgrena era prigioniera nel suo stesso paese…

Secondo qualsiasi plausibile criterio psicologico, George W. Bush è matto come un cavallo, il triste risultato di una fondamentale debolezza intellettiva, dell’inabilità a volare coi jet della Guardia nazionale, dell’eiaculazione precoce e di una strisciante ma inarrestabile megalomania. E’ circondato da adulanti giullari come quella “mente brillante” (secondo il New York Times) di Condoleeza Rice, che con la sua criminale incompetenza, mentre era Consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha messo l’economia americana in ginocchio. Quante di queste “menti brillanti” si può ancora permettere l’America?

Anche se politici europei come Blair e Berlusconi sono sfegatati ammiratori di George e della sua “illuminazione religiosa”, sono sempre di più gli accorti burocrati europei che la pensano diversamente. I loro funzionari di intelligence, in particolare, hanno assistito all’irriferibile livello delle atrocità americane in Iraq, il che li ha portati a preoccuparsi sempre di più della sicurezza a lungo termine in Europa e in Medioriente. Per gli europei i crimini di guerra non sono una novità, ne hanno commesso a migliaia durante la loro epoca coloniale, ma qui il poblema è di scala. Fare a pezzi qualche centinaio di indigeni malmostosi era già grave, ma non al livello del massacro di più di 45.000 donne e bambini iracheni con ordigni a frammentazione costruiti allo scopo, o del radere al suolo l’intera Città delle Moschee (Falluja) con l’uso di ogni arma pesante conosciuta. Beppe Stalin ne sarebbe compiaciuto, ma i servizi segreti europei non ridono.

Forse ci vorrà ancora molto tempo, ma le istituzioni europee alla fine capiranno quello che i russi sapevano prima che l’America cominciasse la sua “crociata” in Kuwait: L’Iraq era l’esca appetitosa di una gigantesca trappola tesa alla totale distruzione dell’America e dello stato ebraico, e l’unica speranza per il futuro sia dell’Europa sia del Medioriente è un dialogo diretto tra istituzioni europee e il legittimo governo dell’Iraq, rappresentato in questo caso dai comandanti della Guardia Repubblicana.

Su questo verteva la missione di Nicola Calipari. Prima ristabilire contatti ed effettive relazioni con la Guardia Repubblicana, poi trovare il modo di riportare le truppe italiane a casa, rendendo intollerabile la pressione popolare su Berlusconi. E’ triste dirlo dopo la sua morte, ma la missione di Calipari si può a ragione definire un successo. E non era nemmeno l’unico emissario europeo ad aver parlato con la Guardia Repubblicana. Entro la metà del 2005 non ci sarà più un europeo in Iraq, e gli unici abbastanza stupidi da mandare altra carne da cannone a morire per l’America, saranno i tardi e ossequiosi politici di Canberra.

Gli europei hanno solo agito in tempo. George il crociato ormai batte in testa, ordinando scriteriatamente alla Siria di ritirare le truppe dal Libano, sostenuto solo da un migliaio di manifestanti cristiano-maroniti a Beirut, ognuno dei quali compensato con 50 dollari al giorno dal terrorizzato stato ebraico, per fare pseudo-dimostrazioni in favore della “democrazia”. Ma poi George sorvola del tutto sulla controdimostrazione di 250.000 libanesi, riunitisi gratis, che gli dicono no, usando espressioni inequivoche tipo “Vaff…” e “Resta fuori dal nostro paese”.

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Il crociato George allo specchio, che fa’ pratica di dito puntato

Meglio lasciare perdere e tornarsene a casa, George! Il tentativo fatto da Wall Steet di invadere, occupare e controllare i paesi produttori di petrolio del Medioriente è fallito, e non ci saranno mai eleganti piccoli insediamenti ebraici sparsi sulle colline da Gaza fino ad Abadan.

Quando il tempo sarà compiuto, il maglio siriano-libanese percuoterà l’illegale stato ebraico, distruggendolo completamente. Una benvenuta cortina di pace si stenderà su Europa e Medioriente per più di un secolo, con il ricordo della crudele America ridotto a un sogno spiacevole, che sbiadisce fino a scomparire.

Joe Vialls
articolo orginale: http://www.vialls.com/italy/sgrena.html

Traduzione per www.Comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D’AMICO

note del traduttore:(1) Nel testo si parla di positive ident trap: una positive ident (identificazione positiva, o conferma di identificazione) si ha, ad esempio, quando si riesce ad attribuire un’impronta digitale di ignoti a un individuo con nome e cognome. Nelle situazioni come quella irachena, invece, l’espressione si riferisce all’acquisizione di dati sulla natura e identità di un possibile obbiettivo (in questo caso un veicolo e i suoi occupanti), cioè se sia o meno una minaccia concreta. Vialls sostiene che nel caso di Calipari la chiamata sul cellulare sia stata un caso di positive ident trap (identificare con lo scopo di attaccare, cioè): lo avrebbero chiamato non per assicurarsi che l’auto non fosse una minaccia, ma per assicurarsi che avesse a bordo lui e la giornalista italiana, proprio perché avevano intenzione di ucciderli.

(2) Vialls li definisce sequestri false flag, espressione che si usa quando il membro di una gang urbana indossa i colori di un’altra gang, per attribuirle, falsamente, un’azione.

Un filmato a infrarossi girato da un C130, che mostra due di queste azioni di distruzione, si può scaricare all’indirizzo: http://www.luogocomune.net/lc/modules/news/article.php?storyid=530

(4) Glavnoye Razvedyvatelnoye Upravlenie: sono i servizi segreti militari russi. Notizie: http://www.fas.org/irp/world/russia/gru/

 
*”La redazione di Uruknet.info ci ha pregato di pubblicare questa nota. Uruknet.info raccoglie e pubblica articoli e documenti sull’Iraq occcupato, nella maggior parte dei casi ripresi da altri siti, e non ha mai diffuso  alcun documento originale  della Guardia Repubblicana o di qualsivoglia gruppo della resistenza irachena, con cui non ha  nè ha mai avuto il minimo contatto. Dissentiamo totalmente dall’analisi di Vialls, ma ovviamente l’autore è libero di scrivere quello che vuole, e siamo pienamente convinti della sua assoluta buona fede; sarebbe però opportuno che Vialls si documentasse meglio prima di insinuare – seppure con le migliori intenzioni –  che il nostro sito possa essere  il canale di diffusione di messaggi, immagini o altro provenienti da gruppi armati iracheni”.
14.03.05

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