DI CONN HALLINAN
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I miti sono pericolosi proprio perché si basano più sulla memoria culturale e sui pregiudizi che sui fatti. Dietro l’attuale crisi tra Grecia e Unione Europea [UE] c’è una favola che ha a che fare solo in minima parte con le ragioni per cui Atene e un certo numero di altri paesi dell’UE [a 28 membri] si trovano in profonda difficoltà.
Il racconto è una variazione della favola di Esopo sulla formica operosa e la cicala scansafatiche, amante del divertimento, con i “paesi nordici” [ovvero Germania, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Finlandia] nella parte della formica, e con Grecia, Spagna, Portogallo e l’Irlanda in quella della cavalletta.
Le formiche – guidate dalla frugale casalinga sveva, la Cancelliera tedesca Angela Merkel – sono sobrie e virtuose mentre le cicale sono spendaccione e corrotte. Si sono cacciate nei guai e ora è il pifferaio che deve pagare.
Il problema è che questo mito non ha alcuna connessione con le radici reali della crisi e con le soluzioni che potrebbero essere trovate. Si perpetua, in questo modo, la favola che il debito è colpa dei singoli paesi, piuttosto che della grave crisi nel cuore dell’Unione Europea.
In primo luogo sfatiamo un po’ questo mito.
La crisi del debito europeo risale alla fine dei ruggenti anni ’90, quando le banche erano piene di denaro e alla ricerca di opportunità per far crescere i loro guadagni. La strategia principale fu quella di riversare il denaro nel settore immobiliare, che ebbe l’effetto di creare delle bolle, particolarmente in Spagna e Irlanda.
In quest’ultimo paese, dal 1999 al 2007, i prestiti bancari per il settore immobiliare aumentarono del 1.730%, da 5 a 96,2 miliardi di euro [1], pari a più della metà del PIL della Repubblica d’Irlanda. I prezzi delle case aumentarono del 500%. “In Irlanda non fu il settore pubblico, ma quello privato, ad andare in tilt”, ha concluso l’analista Martin Wolf del Financial Times.
La Spagna, che registrava un surplus di bilancio e un contenutissimo rapporto di indebitamento [rispetto al Pil], attraversò più o meno lo stesso processo, e vide un identico balzo nei prezzi delle abitazioni: 500%.
In entrambi i paesi ci fu corruzione, che non fu composta, però, da una qualche forma di evasione fiscale o di scrematura dei profitti. I politici – desiderosi di essere della partita ma anche di ricevere generose “donazioni” – rinunciarono alle norme urbanistiche e alle normative ambientali, tagliando amorevolmente le tasse. Furono avviati centinaia di migliaia di progetti di edilizia abitativa, ma molte di quelle case non furono finanche mai abitate.
Poi, nel 2008, la crisi bancaria americana colpì duramente e conseguentemente si toccò il fondo. Improvvisamente le formiche si trovarono in difficoltà. Ma le formiche un trucco ce l’avevano: esse avevano scommesso [ovvero avevano concesso finanziamenti in modo avventato] ma a pagare furono chiamate le cavallette.
Il “trucco”, come ha sottolineato Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, fu che in Europa (e negli Stati Uniti) quei debiti furono fatti passare “dal settore privato a quello pubblico – un modello che si è consolidato nel corso dell’ultimo mezzo secolo”.
Fintan O’Toole, autore di “Ship of Fools: How Stupidity and Corruption Sank the Celtic Tiger” [La Nave dei Folli: Come la Stupidità e la Corruzione hanno Affondato la Tigre Celtica], ha stimato che per salvare la “Irish-Anglo Bank” i contribuenti irlandesi hanno sborsato 30 miliardi di euro, una somma equivalente alle entrate fiscali per il 2009 di tutta l’isola.
La Banca Centrale Europea [BCE] – che, insieme al Fondo Monetario Internazionale [FMI] e alla Commissione Europea costituisce la “Troika” – spinse duramente l’Irlanda ad adottare misure di austerità che fecero calare bruscamente l’economia del paese, raddoppiare il tasso di disoccupazione e aumentare le imposte al consumo, costringendo molti giovani ad emigrare. Quasi la metà dell’imposta sul reddito irlandese è destinata ora al solo al servizio degli interessi sul debito.
Povero Portogallo. Aveva un’economia solida e un basso rapporto del debito [rispetto al Pil], ma gli speculatori valutari fecero salire i tassi d’interesse [sui prestiti] ben di là di quanto il Governo avrebbe potuto permettersi, mente la BCE si rifiutò d’intervenire. Il risultato fu che Lisbona si trovò costretta a ingoiare un “piano di salvataggio” carico di misure di austerità che, a loro volta, fecero crollare la sua economia.
In Grecia al centro della crisi c’era la corruzione, e non gli eserciti di lavoratori pubblici e di oligarchi-evasori-fiscali, come vuole la versione popolare. In Grecia ci sono ricchi evasori in abbondanza, ma la Germania, la Svezia e molti altri paesi europei spendono di più [in relazione al loro Pil] per i servizi [stato sociale] di quanto non faccia Atene. La Grecia spende il 44,6% del Pil per i suoi cittadini, meno della media europea e al di sotto del 46% della Germania e al 55% della Svezia.
E quanto alla pigrizia: i Greci lavorano 600 ore l’anno in più dei tedeschi.
Secondo l’economista Mark Blyth, autore di “Austerity: The History of a Dangerous Idea” [Austerity: Storia di un’Idea Pericolosa] la spesa pubblica greca attraverso gli anni 2000 è “davvero sulla buona strada e decisamente nella media, in rapporto a tutti gli altri”, mentre la cosiddetta marea del “dei posti di lavoro del settore pubblico” consisteva in “14.000 unità in oltre due anni”.
Tutti i discorsi sul governo greco che è dissoluto non sono che “un sacco di sciocchezze” e una mera “copertura politica a quello che abbiamo fatto, il bail-out di alcune delle persone più ricche della società europea, caricandone il costo su alcuni delle persone più povere”.
C’è stato comunque uno “sfregio”, in Grecia, ma non aveva niente a che fare con la spesa gratis. Un intrigo sognato dai politici greci, dai banchieri e dalla Goldman Sachs.
La domanda di adesione all’Unione Europea fatta dalla Grecia nel 1999 fu respinta perché il suo deficit di bilancio, in rapporto al Pil, era superiore al 3%, un livello da non soprassare per poter aderire. E questa è la questione sulla quale la Goldman Sachs è intervenuta. Per un compenso che si dice sia stato di 200 milioni di dollari [ma qualcuno dice il triplo], il colosso multinazionale ha essenzialmente “cucinato” i libri per far sembrare che la Grecia avesse ridotto quel deficit entro i limiti stabiliti. Poi l’establishment politico ed economico della Grecia ha nascosto l’intrigo fino al crollo del 2008, che ha mandato in frantumi l’illusione.
Ma erano state le piccole ed affaccendate formiche, non le cavallette giocose, a portare alla crisi del debito europeo.
Le banche americane, tedesche, francesi, olandesi etc. dovevano sapere che stavano creando una bolla immobiliare assolutamente instabile – un balzo del 500% dei prezzi delle abitazioni costituisce la definizione stessa della bestia – ma continuarono a concedere prestiti, comportandosi come banditi.
Quando la bolla è saltata fuori e l’Europa è entrata in recessione, la Grecia è stata costretta a chiedere un “piano di salvataggio” da parte della Troika. In cambio di 172 miliardi di euro, il governo greco ha istituito un programma di austerità che ha portato a un declino dell’economia pari al 25%, e all’aumento della disoccupazione fino al 27% [quella giovanile oltre il 50%]. Sono state tagliate le pensioni, i salari e i servizi sociali, fatto che ha spinto nella povertà il 44% della popolazione.
Praticamente tutti l’importo del “bail out” – l’89% – è andato alle banche che nel periodo 1999-2007 avevano scommesso nel casinò immobiliare. Quello che i greci – così come gli spagnoli, i portoghesi e gli irlandesi – hanno ottenuto, è stato solo miseria.
Ci sono altri paesi dell’Unione Europea – tra i quali l’Italia e la Francia – che, pur non trovandosi propriamente nella stessa barca di quei quattro poveri paesi, si sono comunque trovati sotto pressione per abbattere i loro indici d’indebitamento.
Ma quali sono questi debiti?
La scorsa Estate il “Committee for a Citizen’s Audit” [3] sul debito pubblico ha pubblicato un rapporto sulla Francia, un paese che sta attualmente istituendo delle misure di austerità per portare il suo debito in linea con il magico “3%”. Quello che il comitato ha concluso è che il 60% del debito pubblico francese era “illegittimo”.
Più di 18 altri paesi, tra i quali Brasile, Portogallo, Ecuador, Grecia e Spagna, hanno fatto lo stesso “audit” che, in ogni caso, ha trovato di come l’aumento della spesa pubblica non sia stata la causa del deficit. Dal 1978 al 2012, la spesa pubblica francese è diminuita, nella realtà, di due punti di Pil.
Il principale colpevole della crisi del debito è stato il calo delle entrate fiscali, derivante dagli enormi tagli fiscali attuati in favore delle imprese e dei ricchi. Secondo Razmig Keucheyan, sociologo e autore di “The Left Hemisphere” [L’Emisfero di Sinistra], questo “mantra neoliberista” che avrebbe dovuto far aumentare gli investimenti e l’occupazione, ha fatto esattamente il contrario.
Secondo questo studio, la seconda principale ragione è stata l’aumento dei tassi d’interesse, che ha avvantaggiato i creditori e gli speculatori. Se i tassi d’interesse fossero rimasti stabili, nel corso degli anni ‘90, il debito sarebbe ora notevolmente inferiore.
Keucheyan sostiene che le riduzioni fiscali e i tassi d’interesse sono “decisioni politiche” e che “i deficits pubblici non crescono al di fuori del corso normale della vita sociale. Sono deliberatamente inflitti alla società dalle classi dominanti, per legittimare le politiche di austerità che permettono il trasferimento di valore dalle classe dei lavoratori a quella dei ricchi “.
L’”Organizzazione Internazionale del Lavoro” ha recentemente scoperto, in effetti, che i salari di tutta l’Unione Europea, negli ultimi dieci anni, sono in una situazione di stallo o sono addirittura declinati.
Il “Committee for a Citizen’s Audit” chiede espressamente di ripudiare quella parte di debito legato al “servizio degli interessi privati”, in contrapposizione al “benessere delle persone”. L’Ecuador, nel 2008, ha annullato il 70% del suo debito considerandolo “illegittimo”.
Come tutto questo potrebbe giocare nella corrente crisi fra Grecia e UE non è chiaro. Il Governo di Syriza non sta chiedendo di annullare il debito – anche se certamente gradirebbe una svalutazione – ma solo che gli sia dato il tempo di far crescere l’economia. Il recente “accordo di quattro mesi” può dare ad Atene un po’ di respiro, ma le formiche stanno ancora chiedendo austerità, e le tensioni sono alte.
Ciò che sembra chiaro è che la Germania e i suoi alleati stanno cercando di forzare Syriza ad accettare condizioni che minino il suo consenso in Grecia, e demoralizzino i movimenti anti-austerità degli altri paesi.
Gli Stati Uniti in grado di giocare un ruolo, in questa storia – il Presidente Obama ha già chiesto un allentamento delle politiche di austerità – attraverso il suo dominio del FMI. Di per sé Washington può senz’altro ottenere più voti di Germania, Paesi Bassi e Finlandia, e potrebbe anche esercitare delle pressioni sugli altri due membri della Troika per raggiungere un compromesso. Ma lo farà? Difficile da dire, ma gli americani sono certamente molto più nervosi sull’uscita della Grecia dall’Eurozona di quanto lo sia la Germania.
Ma la chiave per una soluzione sta nell’esplosione del mito.
Esplosione che è già cominciata. Nel corso delle ultime settimane i manifestanti di Grecia, Spagna, Italia, Germania, Portogallo, Gran Bretagna, Belgio e Austria si sono riversati sulle piazze per sostenere le posizioni di Syriza contro la Troika.
“La sinistra deve lavorare tutta insieme avendo come comune obbiettivo l’eliminazione del capitalismo predatorio”, ha sostenuto Maite Mola, vice-presidente dell’”Organizzazione della Sinistra Europea” e membro del Parlamento Portoghese.
“E la soluzione deve essere europea”.
Alla fine del discorso, le cavallette potrebbero ribaltare a testa in giù la favola di Esopo.
Conn Hallinan
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article41243.htm
15.03.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO
Note del Traduttore:
[1] L’articolo parla di milioni e non di miliardi di euro. Si tratta di un palese refuso, visto che il 50% del Pil irlandese dell’epoca corrisponde grosso modo alla cifra indicata, ma espressa in miliardi.
[2] Bail-Out. La situazione in cui un soggetto in o vicino alla bancarotta, riceve un’iniezione di liquidità al fine di soddisfare i suoi obblighi a breve termine. Per saperne di più: http://it.wiktionary.org/wiki/bailout
[3] Committee for a Citizen’s Audit. Per saperne di più: http://cadtm.org/Citizen-debt-audits-how-and-why