BROGLI ELETTORALI, DUE INCHIESTE CONGIUNTE (PARTE PRIMA)

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DI GIULIETTO CHIESA E FRANCESCO DE CARLO

Violazione della privacy, intercettazioni illegali, rivelazione di segreto d’ufficio. Tra servizi deviati e polizie parallele, come emergono dal “caso Storace”, Telecom Italia si trova coinvolta in un’oscura vicenda di spionaggio politico. Proprio ora che si appresta a mettere le mani su un piatto molto succulento: la gestione elettronica delle elezioni.
Il 9-10 aprile infatti i voti di 10 milioni di italiani verranno scrutinati da operatori presenti nei seggi, inseriti in un pc e trasmessi via modem a un centro nazionale operativo. La nuova metodologia, chiamata appunto “scrutinio elettronico”, è stata introdotta a gennaio dalla legge 22/2006 e interesserà il 20 per cento dell’elettorato nazionale. Prima domanda: si tratta di un sistema sicuro? Sì. Anche se esistono ancora importanti zone d’ombra (riassunte nell’interrogazione parlamentare presentata da Fiorello Cortiana dei Verdi e Beatrice Magnolfi dei Ds), il mantenimento delle tradizionali operazioni di spoglio e la presenza di registri cartacei (decisivi su quelli informatici in caso di discrepanza) garantiscono la possibilità di verificare la validità del voto comunicato per via telematica.Tutto qui? No, perché aprile è solo una tappa verso l’importazione del “voto elettronico”. E qui, alla luce delle esperienze americane del 2000 e del 2004, c’è di che essere davvero inquieti. Anche perché questa tappa sta avvenendo in Italia in un contesto di “privatizzazione della democrazia”. La gestione elettronica delle elezioni verrà infatti affidata dallo Stato ad aziende private, prima fra tutte Telecom Italia, e già spuntano evidenti conflitti di interessi che ruotano intorno ai ministri Stanca e Pisanu.

Una sperimentazione di questo tipo può essere molto utile al potere politico per introdurre sistemi di gestione elettorale capaci di aggirare o distorcere la volontà popolare al di fuori dei controlli democratici tradizionali. Dunque non è ozioso chiedersi fin da ora come, a chi, perché, con quali costi e con quali rischi lo Stato abbia deciso di vendere il processo elettorale ai privati.

Quali sono e come sono state scelte le società che gestiranno lo scrutinio elettronico? Nel febbraio 2004 il Consiglio dei ministri approva la sperimentazione dello scrutinio elettronico, stanziando 12 milioni di euro, e conferisce a Innovazione Italia SpA (società di scopo posseduta da Sviluppo Italia SpA, di cui l’intero capitale sociale è detenuto dal ministero delle Finanze) l’incarico di realizzare il progetto in 2500 seggi per le europee del 12-13 giugno 2004. A marzo viene bandita una gara d’appalto pubblica da Innovazione Italia e risultano aggiudicatari due raggruppamenti temporanei d’imprese (rti): il primo con Ibm Italia SpA (capogruppo) e T-Systems Italia SpA, e il secondo con Telecom Italia SpA (capogruppo), Electronic Data Systems Italia SpA (Eds Italia) e Accenture SpA.

Tratte le somme, il Consiglio dei ministri autorizza la prosecuzione della sperimentazione, erogando altri 10 milioni per lo scrutinio elettronico in tutti i seggi della Liguria nelle regionali del 3-4 aprile 2005. Ma qui sorgono altre domande. Invece della massima trasparenza, lo Stato decide di procedere attraverso trattative private: nel gennaio 2005 viene rinnovato il contratto al solo rti guidato da Telecom. Perché non si è scelta una nuova gara pubblica? La legge consente di agire in deroga alle norme della contabilità generale dello Stato solo in circostanze eccezionali. È stata la fretta cattiva consigliera? Forse nel caso del 2005, certamente non nel caso del 2006, quando la situazione di urgenza è stata creata artificiosamente dilazionando l’approvazione della legge.

A meno di un mese dalle prossime elezioni non è ancora chiaro chi sia stato scelto per svolgere questo delicato compito, né con quale criterio sia stato selezionato. Tutto fa pensare che saranno coinvolte le stesse imprese che hanno gestito finora la sperimentazione dello scrutinio elettronico: Telecom Italia, Eds Italia e Accenture. Il solo fatto di assegnare un ruolo così centrale per le sorti del paese a una grande multinazionale aggiunge altre domande curiose. È normale delegare la salute della democrazia a una società che con il governo ha avuto, avrà e ha tuttora numerose intersezioni nel campo dei servizi, della telefonia, della televisione? Esistono garanzie sufficienti per evitare che le votazioni diventino una merce di uno scambio più ampio tra Telecom e settore pubblico? Telecom Italia gestirà le nostre elezioni. Ne è stato dato conto ai cittadini? Possiamo fidarci di una società il cui ex responsabile della sicurezza, Giuliano Tavaroli, è al centro di un’inchiesta della procura di Milano, sotto accusa di aver guidato un gruppo clandestino di 007 privati, capace di violare perfino i segreti delle procure? Sia chiaro che Tavaroli, collocato ancora oggi come top manager negli elenchi interni all’azienda di Tronchetti Provera (forse si sono dimenticati di cancellarlo?) è coinvolto nella vicenda di Super Amanda, una rete di contatti che, secondo l’Espresso, comprende “ufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, poliziotti, ex agenti Cia e giornalisti, ingaggiati con consulenze pagate a peso d’oro”. Una centrale d’intelligence cui farebbero capo tutte le intercettazioni telefoniche e via web effettuate in Italia, monitorate dal Centro nazionale autorità giudiziaria. Tavaroli c’entra anche con questo?

In ogni caso Telecom Italia è in buona compagnia: Eds e Accenture sono società molto attive nella privatizzazione dei servizi e sono specializzate nella gestione elettronica dei sistemi di voto, principalmente negli Stati Uniti. Sono proprio loro, guarda caso, parte di una task force di grosse società informatiche americane (tra cui la Sequoia e la Diebold) che è riuscita a far votare dal Congresso l’Help America Voting Act (Hava), un’importante riforma del sistema elettorale che ha introdotto il voto elettronico. L’ha firmata il presidente Bush nell’ottobre 2002. Alcune di queste multinazionali conservano un rapporto privilegiato con il Partito repubblicano e con l’industria militare, e spesso si sono presentati casi di conflitto di interessi tra i soggetti appaltanti e imprese appaltatrici dell’e-voting. Casi come quello di Bill Jones, che ha iniziato a lavorare per Sequoia, dopo aver approvato, in qualità di funzionario elettorale, la fornitura di apparecchiature di voto alla stessa società; oppure come quello di Walden O’Dell, costretto a lasciare l’incarico di amministratore delegato della Diebold, dopo la scoperta di una sua lettera indirizzata ai finanziatori del partito di Bush, in cui si impegnava ad aiutare la vittoria del presidente con i voti dell’Ohio; o infine come quello della stessa Accenture, che ha elargito ai partiti donazioni indirette per decine di migliaia di dollari, con chiara predileziome per la fazione repubblicana, e che si prepara a giocare un ruolo da protagonista anche nelle operazioni di spoglio delle elezioni italiane.

Dunque all’affidabilità e alla trasparenza, entrambe dubbie, di Telecom si aggiungono Accenture (sorta dalle ceneri della Arthur Anderson Consulting, condannata per la distruzione di prove nello scandalo Enron), registrata nel territorio esentasse delle Bermuda e in società con la Halliburton, precedentemente gestita da Dick Cheney; e la Eds, che in Italia è già stata citata in giudizio con l’accusa di violazione di diritto d’autore, violazione di impegni contrattuali e concorrenza sleale per aver copiato e rivenduto allo Stato il software open source per lo scrutinio elettronico sviluppato dalla Ales Srl, una piccola società di Cagliari (che lo ha ideato e utilizzato per la prima volta in Italia, a proprie spese, in occasione delle politiche 2001, con l’autorizzazione del ministero dell’Interno).

Lo scrutinio elettronico è il primo passo verso il voto elettronico? Intanto sono due cose diverse. Nel primo caso al termine delle elezioni un operatore informatico inserisce manualmente i dati delle schede cartacee in un pc e poi le trasmette per via telematica a un centro nazionale; nel caso del voto elettronico, invece, gli elettori votano tramite touch screen o lettore a scansione ottica: un sistema già introdotto in India, Venezuela, Estonia, Brasile e soprattutto in Usa, dove, a distanza di un anno e mezzo, è ancora difficile appurare la correttezza democratica delle presidenziali del novembre 2004, mentre è già accertata la clamorosa manipolazione di quelle del 2000 (vedi Michael Moore).

Al termine di una giornata elettorale caratterizzata da disordine e approssimazione – spesso causati dalle stesse macchine elettroniche – dopo le operazioni di spoglio, si è registrata una forte discordanza tra gli exit poll, che davano lo sfidante John Kerry vincente per 5 milioni di voti, e il risultato finale che ha confermato Bush presidente con uno scarto di più di 3 milioni. Una differenza di 8 milioni di voti: per gli statistici, un margine di errore altamente improbabile.

E infatti dopo le domande di qualche parlamentare (in particolare John Conyers, deputato democratico del Michigan) e alcune inchieste giornalistiche è emerso che le macchine del voto elettronico hanno completamente alterato le reali indicazioni dei cittadini: in molti Stati decine di migliaia di preferenze per Kerry sono state cancellate o assegnate ai candidati di altri partiti; spesso è mancata la coincidenza tra numero di voti e numero di votanti e in alcune contee sono state registrate affluenze record del 124 per cento. Fino al vaudeville: in una contea dell’Ohio ci sono stati 638 voti, Kerry ne ha presi 260, Bush 4.258. È una coincidenza il fatto che gli errori degli exit poll si siano verificati solo e soltanto in quei distretti dove non esistevano schede cartacee su cui controllare i risultati elettronici ?

È questo il sistema di voto che s’intende importare in Italia? Cosa voleva dire il ministro Stanca quando, nel giugno 2004, dichiarava a Repubblica che “il voto elettronico è un’opportunità matura dal punto di vista tecnico. Sono gli elettori a non essere pronti”? Cosa intende dire il direttore generale di Innovazione Italia Marco Monti, quando afferma che lo scrutinio elettronico elimina “la necessità di trasportare fisicamente la carta” (Monthly Vision, Finanza e Mercati, marzo 2006)? È un caso che le multinazionali scelte dal governo per la gestione dello scrutinio elettronico italiano siano le stesse che in Usa gestiscono le operazioni di voto elettronico e che, in Italia come altrove, fanno pressione sulle istituzioni per accelerare i processi di privatizzazione dei servizi pubblici e in particolare delle elezioni? Stiamo importando il sistema elettorale americano, conflitti di interessi compresi.

Quanto costa la privatizzazione delle elezioni? Lo stanziamento previsto dallo Stato per le prossime politiche è di 34 milioni di euro, ma la sperimentazione riguarda solo quattro regioni (Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna). Quando si passerà alla totalità del territorio nazionale sarà quintuplicato, cioè 170 milioni di euro. Senza considerare che il turn-over tecnologico rende un pc già obsoleto dopo pochi anni, e che comunque i registri cartacei e molti costi tradizionali non saranno eliminati (il contrario significherebbe infatti la fine di ogni controllo).

Insomma le elezioni sono diventate un affare, sempre più appetibile ad ogni tornata. Un valore economico che si aggiunge all’evidente importanza politica, in un contesto di oscure commistioni tra società selezionate e potere esecutivo: è normale che il responsabile del Public Sector dell’Accenture sia il figlio del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu? Senza contare poi che la procedura di selezione di tali società passa per Innovazione Italia, azienda posseduta da Sviluppo Italia: alla guida della prima vi è Andrea Mancinelli, capo di Gabinetto del ministro Stanca (fino al 2001 presidente dell’Ibm, una delle aggiudicatarie dell’appalto del 2004), mentre il direttore generale della seconda è Roberto Spingardi, che ha ricoperto a lungo ruoli cruciali all’interno della Fininvest e ha partecipato attivamente alla nascita di Forza Italia.

Siamo contro la modernità? Niente affatto. Il problema è che il mercato delle elezioni è questione troppo poco trasparente. Dopo l’acqua, l’energia, l’etere televisivo, i trasporti e altri beni di inalienabile valore pubblico, il vorace processo di privatizzazione di beni e servizi sta inghiottendo anche il processo elettorale. Dobbiamo affidare la nostra democrazia a società delle Bermuda, pronte a barattare una vittoria elettorale con un appalto?

Giulietto Chiesa e Francesco De Carlo
24.03.06
Megachip settimanale
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