BOB GELDOF: IL TUO TEMPO E' FINITO. VATTENE PER FAVORE

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Causale: Raccolta fondi

DI LEO HENGHES E KWEZI TABARO

counterpunch.org

Lasciamo respirare (e cantare) l’Africa!

Questa settimana verrà ripubblicata su CD l’ultima versione di Band Aid della famosa canzone di beneficenza ‘Do they know it’s Christmas’ (Lo sanno che è natale? ndt)

Registrata per la prima volta nel 1984 per innalzare la consapevolezza sulla fame in Etiopia, la canzone è diventata uno dei single più venduti di tutti i tempi nel Regno Unito. Una seconda versione è uscita nel 2004, ed ora abbiamo la terza nel 2014.

Guidato dal musicista irlandese Bob Geldof, Band Aid ha rivoluzionato il modo in cui le opere di beneficenza raccolgono fondi, ha ispirato altre iniziative come “We are the World” e “Live 8”, ed ha avuto un sensibile impatto sulla percezione dell’Africa da perte del pubblico inglese.

Il testo della canzone ha sempre suscitato polemiche, ma questa nuova versione ha delle parti che sono state riscritte per focalizzare l’attenzione sull’attuale crisi di Ebola, che è il motivo per cui stanno raccogliendo fondi.

“IL TUO TEMPO E’ FINITO, VATTENE !”

Bob Geldof non è mai stato avvezzo a giri di parole. Il suo “consiglio”, del 2005, per il Presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha scatenato una rivolta a Kampala. Ma ora, a quasi una decade di distanza, l’eco di quelle stesse parole lo starà perseguitando come un piovoso lunedi mattina.

E’ il 2014. Il tempo di Band Aid è finito. Andatevene.

Qui non si mettono in dubbio le vostre buone intenzioni – anche se potremmo farlo con alcuni dei vostri cantanti che non hanno mai lasciato un centesimo in beneficenza e cercano ogni occasione per non pagare le tasse – o il vostro impatto. Infatti ci sentiamo ispirati dall’irriverenza con cui contestate lo status quo e dalle particolari azioni nell’affrontare disastri, fallimenti istituzionali e fasi di ristagno in generale. Band Aid ha fatto delle buone raccolte fondi e posto l’attenzione su diversi problemi a suo tempo. Non dovremmo essere troppo lontani dalla verità dicendo che ha rivoluzionato il modo in cui le celebrità si accostano alla beneficenza – forse addirittura che ha reso “cool” il settore dello sviluppo.

Ma era anche ignorante, accondiscendente e, se non razzista, generalizzante nei confronti di un continente intero.

Oggi il testo, che era anacronistico nel 1984, risulta offensivo: “E non nevicherà questo Natale in Africa/ Il regalo più grande che riceveranno sarà la vita/ Oh, dove niente cresce , non piove mai, e non scorre fiume ”.

Precisiamo i fatti prima di muovere verso i veri problemi. 1) In alcune parti dell’Africa nevica, 2) L’Africa ha, oltre ad altre cose, il Nilo, il Congo e lo Zambezi e (copiose) piogge tropicali e 3) la maggioranza degli africani lavora nell’agricoltura, che, di norma, richiede che si raccolga qualcosa, una volta ogni tanto.

Geldof and co. lo sanno ora – hanno riscritto addirittura il testo questa volta (al contrario del 2004). Non è questo il punto.

Il problema è che Band Aid perpetua un mito dell’Africa. I mito del “sole che brucia”, dell’africano che non può aspirare a niente di meglio delle mera sopravvivenza. Aggiustare leggermente le parole non cambierà ciò che è stato scolpito nelle coscienze di tanti ascoltatori.

I miti sono potenti. Il sogno americano alimenta un ottimismo che sembra essere passato indenne a due grandi crash finanziari. Il mito Ariano ha portato all’uccisione di 6 milioni di persone. Il filo conduttore tra questi due esempi è che viene usata solo la parte di verità che beneficia i narratori.

Nel caso di Band Aid, la mezza verità è che la condizione è davvero atroce per alcuni. Tutti amano un po di melodramma – “dove l’unica acqua che scorre sono le amare spine delle lacrime”. E l’idea che le cose vanno così male che non ci si accorge nemmeno del Natale è un bel sentimento tragico. Il Natale sembra sempre portare con sè una misteriosa malinconia.

Ma, quando il soggetto è un altro essere umano – non Romeo e Giulietta – il narratore dovrebbe tentare di essere oggettivo nei confronti dell’individuo interessato, cioè fornendo un contesto alla situazione.

Band Aid non chiarisce neanche chi sia il soggetto.

Nel 1984 era il nord dell’Etiopia – tranne per Band Aid, era l’Africa. Nel 2004, sembrava essere il Darfur. Oggi sono la Sierra Leone, la Liberia e la Guinea colpite dal virus Ebola – o l’ “Africa Occidentale” secondo Band Aid 30. Potrebbero essere interessati a imparare che l’Africa Occidentale comprende 18 stati. Ma non preoccupatevi – è Natale anche per tutti loro!
Il contesto viene completamente ignorato quando, “un mondo di incertezza e paura” (una delle strofe sopravvissute al taglio del 2014) mostra palesemente il desiderio di evocare orrore tra gli ascoltatori.

In poche parole Band Aid, evitando di fornire un contesto, sta manipolando l’immagine delle persone che vuole ritrarre (africani in genere o persone in una qualche crisi – non ne siamo sicuri) in modo da ottenere una reazione dall’ascoltatore.

Ora, potreste affermare che il contesto non ha un’alta priorità in una canzone pop di 4 minuti. Dopotutto stanno solo cercando di guadagnare qualche soldo per aiutare persone che ne hanno un gran bisogno. E nel 1984 saremmo stati inclini a concordare con voi (se eravamo già nati).

Ma Band Aid non è più solo una canzone pop. E’ diventata un’icona culturale, uno dei primi punti di riferimento per la consapevolezza dei britannici (e non solo) riguardo al continente africano.

Inizialmente chiunque avrebbe dovuto inorridire di fronte a ciò. Geldof ci avrebbe dovuto proporre uno delle sue specialità oratoriali tipo: “come possiamo lasciare che accada tutto ciò?”. E i leader africani si sarebbero dovuto unire per combattere quella negatività che pervade la percezione del continente.

Invece abbiamo Band Aid 30. E una generazione di britannici evitano l’Africa tutti insieme o adottano una visione fatta di fango, baracche, malaria e atteggiamenti messianici. E magari qualche leone – sotto il mitico sole che brucia. Buon Natale.

“ASCOLTA IL MONDO”

Questa canzone non ha solo acquisito un significato culturale allarmante, ma durante gli ultimi 30 anni il paesaggio globale è anche cambiato drammaticamente. Curiosamente, Band Aid potrebbe aver colto nel segno nella nuova strofa: “Ascolta il Mondo” (Feel the World ndt)

Già, più ci pensi e più ha senso. 30 anni fa, ci saremmo abbassati e avremmo toccato il suolo a questo invito. Oggi cerchiamo nelle nostre tasche, sblocchiamo gli schermi dei nostri tablet e tweettiamo su #BandAid30 o qualsiasi cosa irrompe sul web stamattina.

Possiamo usare Twitter, Whatsapp, Facebook, Skype, Snapchat, qualsiasi cosa, ovunque, con chiunque, istantaneamente, per “sentire il Mondo”.

E, meravigliosamente, è proprio qui la soluzione agli orrori che Geldof ha combattuto in maniera così belligerante con le menzogne degli ultimi 30 anni, non semplicemente donando dei fondi. Dalla fame e i cambiamenti climatici all’Ebola e le ingiustizie perpetrate dalla finanza transnazionale, questi sono problemi che non vengono risolti con qualche decina di milioni di dollari raccolte da musicisti valorosi. Queste sono questioni complesse con conseguenze semplicemente orribili. C’è bisogno di molto più che denaro. In effetti il denaro da solo può fare più male che bene, sostenendo la nascita di dittature che spingono deliberatamente alla fame il proprio popolo.
Quello di cui abbiamo veramente bisogno è una governance sostenibile e competente.

Oggi la global governance sembra essere progredita dal 1984 un pò come la musica britannica natalizia. Ma non doveva essere per forza così. Più “ascoltiamo il mondo”, più in nostri leader saranno inclini a lavorare per l’umanità, invece che per la loro tribù nazionale. E più i nostri leader rappresentano interessi globali, non nazionali, e più presto si agirà collettivamente per contrastare i problemi che ci riguardano tutti.

Già, paradossalmente, più “sentiamo il mondo” e più “lo sanno, loro, che è Natale?” diventano inappropriati. Non possiamo sentire il mondo se crediamo al mito del Sole Cocente. Sono due cose incompatibili. Più ci relazioniamo con gli altri, più scopriamo le bugie che stanno dietro gli stereotipi. Più ripetiamo questi stereotipi, meno ci relazioniamo alle vere persone. Non bisogna fare domande banali (e culturalmente opinabili) su di “loro”, basta cliccare quà e là e chiedere a uno dei più di 50 milioni di africani su Facebook.

In soldoni: non raggiungeremo quel tipo di azione collettiva di cui abbiamo bisogno finchè non cominceremo a lavorare l’uno con l’altro, e non cominceremo mai a lavorare insieme finchè non smetteremo di pensare e cantare di “loro” e “noi”. Non si può essere salvatori e amici contemporaneamente. Il Natale non è solo tuo, lo sai no?

“LASCIATE RESPIRARE L’AFRICA”

Questo sono state le parole di Geldof nel suo discorso del 2005. E concordiamo. Non lasciamo che l’Africa, per invertire la mitologia del sole che brucia, debba spendere più soldi di quanti Band Aid nel tiri su perpetuando questo mito. Lasciamo godere all’Africa la sua bellezza e la sua diversità. Lasciamo che l’africa festeggi con tutto il suo potenziale giovanile.

Ma vogliamo andare oltre: lasciamo che l’Africa parli alla pari degli altri continenti. Riconosciamo che sono gli africani a combattere l’Ebola e non solo gli emaciati beneficiari. Riconosciamo gli eroi, come il dr. Matthew Lukwiya che ha condotto gli sforzi per tamponare un’epidemia di Ebola nei primi anni 2000 contraendo poi la malattia dai suo pazienti e morendo in seguito. Forniamo ai professionisti medici che viaggino per l’Africa combattendo questa epidemia la stessa attenzione che ricevono quelli americani o inglesi.

E se veramente vogliamo fare una canzone per raccogliere fondi, non cantiamo dell’Africa ma cantiamo con gli africani. Invitiamoli alle jam session. Approfittiamo di questa collaborazione creativa. Scriviamo una nuova canzone insieme, creando qualcosa di veramente bello.

Lasciamo cantare l’Africa.

Leo Henghes è il direttore dello UNITED – una comunità globale di studenti uniti per un’azione sociale efficace.

Kwezi Tabaro è uno studentre della Makerere University e co-fondatore di Vote Issues – un gruppo di azione civico studentesco

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2014/12/19/bob-geldof-your-time-is-up-please-go-away/

19/21.12.2014

Tradotto per Comedonchisciotte.org da STRONICO

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