BIOTERRORISMO – CI SI PREPARA A COMBATTERE LA PROSSIMA GUERRA

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blankDI DAVID A. RELMAN, M.D.
(Traduzione di Bettio Curzio di Soccorso Popolare di Padova)

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la minaccia di bioterrorismo – per la potenzialità dell’avvelenamento delle forniture di latte con tossine botuliniche, per la ipotetica disseminazione di vaiolo da parte di terroristi auto-contagiatisi, per la possibilità di diffusione massiccia di spore di antrace attraverso aerosol nelle metropolitane, ed anche per la rievocazione dello spettro di un uso malefico del virus ricombinato dell’influenza del 1918.
Queste preoccupazioni hanno avuto conseguenze importanti per i programmi della ricerca biomedica e per gli ambienti normativi, dando priorità ai finanziamenti delle ricerche di biodifesa.  Nell’anno fiscale 2003, era stato assegnato un miliardo e mezzo di dollari per la ricerca sulla biodifesa agli Istituti Nazionali di Sanità (NIH). Questi denari per la nuova ricerca, che sono stati riassegnati annualmente, ora corrispondono approssimativamente per un terzo del budget assegnato all’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive (NIAID) dei NIH. Sebbene una parte di questi fondi siano destinati allo studio di malattie infettive emergenti, è stata posta un’attenzione senza precedenti ai patogeni che generalmente producono morbi non comuni. Per esempio, l’entità di fondi assegnati ai NIH per i lavori sulla Francisella tularensis è accresciuta da 4 milioni nel 2001 a 71 milioni di dollari nel 2003, sebbene negli Stati Uniti vi siano solo dai 100 ai 150 casi di tularemia all’anno; nell’ottobre 2005 venivano assegnati al NIAID 60 milioni di dollari per il lavoro su nuovi vaccini per la tularemia.(Tularemia: malattia infettiva diffusa fra i roditori, conigli, ratti, scoiattoli, ecc. e trasmissibile per morso all’uomo, che provoca forti febbri e tumefazioni dei linfonodi.)

Inoltre, la preoccupazione del governo per il bioterrorismo ha portato a nuove limitazioni federali sulla manipolazione degli agenti patogeni infettivi; queste normative hanno ostacolato sia la possibilità dei ricercatori USA a partecipare a collaborazioni internazionali, sia gli sforzi per la preparazione in questo paese di scienziati stranieri.  Tutti questi cambiamenti riflettono un radicale spostamento nel clima politico e sociale, uno spostamento evidenziato nel 2004 dalla carcerazione nelle prigioni federali, con l’accusa di manipolazione illecita di Yersinia pestis, del Dr. Thomas Butler, capo del reparto malattie infettive alla Texas Tech University ed un esperto in peste. 

Questa accresciuta preoccupazione per il bioterrorismo risulta ben fondata? Se questa è giustificata, come possiamo destinare nel modo migliore le nostre risorse intellettuali, tecniche e finanziarie, dati gli imminenti pericoli derivati dall’influenza aviaria e da altre minacce naturali? Su quali principi dobbiamo basarci per costruire una strategia di biodifesa?

Gli artefici della politica, che valutano la probabilità e i pericoli di bioterrorismo, tendono a cercare indicazioni da un passato di estesi programmi di armi biologiche sponsorizzati dallo stato, che usavano processi a scala industriale, accentuavano il controllo di qualità e basavano le loro proiezioni di utilizzo su una dottrina militare tradizionale. I fautori di questi programmi, che consideravano allora gli agenti biologici come credibili armi strategiche, pensavano che solo alcuni agenti particolari avessero il più grande potenziale per l’uso e vedevano la tecnologia per la preparazione e la diffusione di questi agenti come una componente essenziale di un programma di armamenti.     

Ma noi non possiamo accettare che la logica del passato, che sottendeva i programmi di guerra biologica, informi a futuri usi distorti le scienze della vita. Invece, gli insegnamenti di questa storia possono essere pericolosamente fuorvianti. Primo, la teoria che solo alcuni agenti particolari costituiscano una plausibile minaccia è ampiamente un artefatto di programmi di armamenti pre-datati rispetto alle nostre attuali conoscenze di biologia molecolare, e che avevano scelto gli agenti sulla base delle loro proprietà naturali e delle limitate informazioni tecniche allora disponibili dagli esperti. Fra gli agenti che rimangono oggi sull’elenco delle minacce biologiche, l’antrace e il vaiolo costituiscono ancora armi particolarmente di tutto rilievo, ma, dato il progresso nell’ambito scientifico e tecnologico, il numero di agenti preoccupanti è grandemente in espansione.  

Inoltre, processi industriali di larga scala non sono necessari per lo sviluppo di potenti armi biologiche. I mezzi per la diffusione di agenti patogeni sotto controllate condizioni diventano sempre più accessibili a chiunque. Anche i nostri tradizionali concetti di loro “utilizzazione come arma” sono fuorvianti: la natura fornisce i meccanismi per l’immagazzinamento e la conservazione di molti agenti infettivi che possono essere manipolati attraverso l’ingegneria biologica e genetica, ad esempio intensificando la virulenza di organismi che naturalmente si riproducono per spore.  Le scienze dei materiali e delle nanodimensioni, — in progresso è la tecnologia dell’incapsulamento — forniranno nuovi modi di raccolta e conservazione di tali agenti. E gli agenti che si possono auto-riprodurre, e che risultano altamente trasmissibili da uomo a uomo, come i virus del vaiolo e dell’influenza, necessitano di piccole o addirittura di nessuna alterazione per essere disseminati in modo efficiente da terroristi. 

  
Nemmeno dovremmo presumere, sulla base della storia, che quando vengono usati deliberatamente e con premeditazione agenti biologici, questi siano in grado di procurare solamente danni relativamente limitati. I vasti programmi sulle armi biologiche dell’ultimo XX secolo non si sono mai appieno sviluppati.  E le utilizzazioni di tali armi da parte di gruppi modesti, come quello del culto di Aum Shinrikyo ,sono state abbastanza non sofisticate, ben lontane dall’esempio di quello che possono fare, pur con moderazione, oggi gruppi ben informati. Le conseguenze potrebbero essere molto più terribili, ad esempio, di quelle che si sono avute con le spore di antrace messe in circolazione nel 2001 negli USA tramite servizio postale, se queste venissero messe in diffusione attraverso vie più efficaci. La tecnologia e la scienza di domani presenteranno un nuovo panorama con caratteristiche che sono sia preoccupanti che rassicuranti: i metodi e i reagenti usati per la ricombinazione di un nuovo virus, ad esempio, possono anche essere usati per la produzione di un vaccino contro di esso.

Rapidamente stanno venendo alla luce nuove intuizioni sui sistemi biologici, e nuovi strumenti per la manipolazione di questi sistemi continuano ad essere sviluppati.(1,2) Attualmente, l’informazione viene diffusa globalmente, molte importanti procedure richiedono tanto minori risorse rispetto ad un tempo, e molta tecnologia delle scienze biologiche è stata miniaturizzata. Oggi, ognuno dotato di istruzione medio alta può usare protocolli ampiamente disponibili e kits preconfezionati per modificare la sequenza di un gene o sostituire geni all’interno di un microrganismo; uno può anche acquistare dei bioreattori piccoli, di facile uso, autosufficienti per la riproduzione di virus e di microrganismi. Questi progressi continuano ad abbassare le barriere allo sviluppo di armi biologiche.( 3,4)

Finora, la natura è stata il più efficace bioterrorista. Comunque, in futuro, le capacità degli sperimentatori di creare diversità genetiche o molecolari non presenti nel mondo naturale, ad esempio con l’uso di tecnologie di riproduzione molecolare, e di selezionare tratti distintivi associati alla virulenza, possono dare come risultato nuovi agenti biologici con potenzialità precedentemente sconosciute. Sebbene questi agenti non possano sopravvivere a lungo nell’ambiente naturale e vengano, da un punto di vista evolutivo, rigettati come competitori scarsamente idonei, possono risultare estremamente distruttivi durante il loro tempo di vita. 

Per progettare una robusta strategia biodifensiva, la sfida chiave sarà quella di definire l’equilibrio ottimale fra difese fisse e flessibili. La Linea Maginot, costruita dai Francesi negli anni Trenta del secolo scorso, risulta utile come simbolo di difese statiche designate a proteggere contro minacce conosciute.  Sebbene queste elaborate fortificazioni abbiano concesso qualche tempo ai Francesi, l’esercito Tedesco in avanzata le ha superate con una manovra avvolgente. Allo stesso modo, la creazione di difese statiche può essere giustificata per minacce biologiche palesi, imminenti e potenzialmente catastrofiche, come il virus dell’influenza aviaria e importanti batteri farmaco-resistenti, del tipo Staphylococcus aureus, o come l’antrace e il vaiolo.
Comunque, per la vasta gamma delle altre potenziali minacce, noi dobbiamo investire ancor più in difese flessibili, dinamiche, che dipenderanno dall’integrazione scientifica, da nuove intuizioni sui sistemi biologici e dal progresso tecnologico. Noi abbiamo bisogno di metodi e tecnologie che possono produrre diagnostiche, terapie e profilassi efficaci contro agenti infettivi nuovi o mutanti, nello spazio di giorni o, al massimo, settimane dalla loro caratterizzazione.

Gli elenchi degli agenti specifici e l’esame critico degli avvenimenti del passato possono inibire il pensiero creativo su strumenti generali e generici approcci per un mondo dinamico. Un piano robusto di biodifesa deve essere anticipatore, flessibile, e in grado di fornire una pronta risposta. Dovrebbe utilizzare tecnologie trasversali e concetti scientifici interdisciplinari, e usare piattaforme e metodi di estesa applicazione, di sostanziale larga scala. Esempi comprendono l’uso di tecnologie “lab-on-a-chip” (laboratorio su micro-circuiti integrati), basate su progressi nella microfluidica, per una diagnostica rapida, sensibile, allo scopo di pronta cura; di approcci computazionali per prevedere interazioni farmaco-leganti; di strumenti genomici come microdisposizioni e selezione ampia di genomi per antigeni di protezione; sistemi automatizzati di robotica per un rapido screening di farmaci ad elevata produttività e per l’aumento progressivo della produzione di vaccini. Gli sforzi per comprendere la virulenza microbica dovrebbero enfatizzare gli studi dei meccanismi e delle strutture che sono condivisi da una varietà di agenti. 

Data l’importanza di un pronto intervento, dovrebbe essere posta una maggiore attenzione sugli approcci ad una diagnostica delle affezioni immediata e specifica. Abbiamo bisogno ora di tali strumenti per le malattie naturalmente causate da microrganismi, anche solo per ridurre l’uso inappropriato di antibiotici. Ad esempio,   analisi di un gran numero di risposte alle infezioni, in cui venga usata la spettroscopia di massa avanzata o la tecnologia microsequenziale del DNA per valutare campioni ad abbondanza proteica o modelli genomici  di trascrizione, possono portare a nuove  possibilità diagnostiche di affezioni presintomatiche e di prevedere conseguenze cliniche o risposte alle terapie. I NIH, i Centri per il Controllo sulle Malattie e la Prevenzione, il Dipartimento della Sicurezza Interna, in risposta al piano strategico federale per la difesa contro le armi biologiche sottolineato dalla Direttiva Presidenziale 10 sulla Sicurezza Interna, ed altre agenzie hanno discusso queste necessità, (5) ma gli investimenti per queste larghe prese di posizione sono stati insufficienti. Questi impegni  richiederanno rafforzamenti delle nostre infrastrutture di sanità pubblica, specialmente in termini di personale, di comunicazioni e di capacità di balzi in avanti. Scienziati e clinici dovranno giocare un ruolo maggiore nella pianificazione delle biodifese, nell’articolazione delle necessità, nella formulazione delle politiche e nella valutazione delle future minacce.

Spesso si dice che le forze militari vengano addestrate per combattere l’ultima guerra, non la prossima guerra. Lo stesso può essere vero per i funzionari della sanità pubblica e per gli scienziati che lavorano per rafforzare le infrastrutture di sanità pubblica.  Ma data la velocità dei cambiamenti nelle scienze biologiche, non possiamo essere costretti da vincoli del passato, nemmeno da difficoltà incrementali, a breve termine. Recenti investimenti nella difesa biologica offrono vantaggi potenzialmente immensi, se guidati da prospettive creative, orientate verso il futuro. Ora è giunto il tempo di dare inizio alla messa in opera di investimenti seri, sostenuti nel campo scientifico e tecnologico, attraverso cui possiamo costruire difese agili contro uno spettro sempre in evoluzione di minaccia biologica.

David A. Relman, M.D.
Fonte: http://content.nejm.org
Link: http://content.nejm.org/cgi/content/full/354/2/113?query=TOC

New England Journal of Medecine    Volume 354:113-115 12 gennaio 2006 Number 2
12.01.06

Traduzione a cura di Bettio Curzio di Soccorso Popolare di Padova

Fonte informativa

Il Dr.Relman è professore associato presso i Dipartimenti di Medicina e Microbiologia ed Immunologia dell’Università di Stanford University, Stanford, California, direttore del reparto malattie infettive del Sistema di Cure per la Salute di Palo Alto in relazione ai Veterani, Palo Alto, California, e membro del Direttivo Nazionale di Consulenza Scientifica sulla Biosicurezza. Un’intervista con il Dr. Relman a www.nejm.org.

Riferimenti

1) Segal E, Friedman N, Kaminski N, Regev A, Koller D. From signatures to models: understanding cancer using microarrays. Nat Genet 2005;37:Suppl:S38-S45. [CrossRef][ISI][Medline]

2) Tully T, Bourtchouladze R, Scott R, Tallman J. Targeting the CREB pathway for memory enhancers. Nat Rev Drug Discov 2003;2:267-277. [CrossRef][ISI][Medline]

3) Petro JB, Relman DA. Understanding threats to scientific openness. Science2003;302:1898-1898. [Abstract/Full Text]

4) Petro JB, Plasse TR, McNulty JA. Biotechnology: impact on biological warfare and biodefense. Biosecur Bioterror 2003;1:161-168. [CrossRef][Medline]

5) Hirschberg R, La Montagne J, Fauci AS. Biomedical research — an integral component of national security. N Engl J Med 2004;350:2119-2121. [Full Text]

 

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