DI ALESSIO MANNINO
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Per colpa di una Lega da un pezzo vendutasi alla partitocrazia, e per effetto dell’irresponsabilità generalizzata di classe politica e società civile una specchio dell’altra, di federalismo non si parla più. Il principio federale, almeno secondo me, significa riappropriazione della sovranità decisionale su ciò che riguarda me e la mia comunità locale, principio che autonomizza e responsabilizza, rendendo la cittadinanza non una parola vuota ma un esercizio concreto. Il concetto chiave è “comunità”: soltanto in uno spazio giocoforza limitato e localizzato ciò che è comune – il bene comune – ha un senso, è praticabile, è doveroso.La logica comunitaria è per definizione fondata sul bene comune, cioè sull’idea che esista un interesse essenziale valido per tutti e per ciascuno, che a sua volta si rende visibile tramite una serie di beni comuni sostanziali, al plurale. Ma questo vantaggio che accomuna un certo gruppo di uomini e donne può essere identificato, al giorno d’oggi, solo a patto che lo si delimiti, cioè si faccia il contrario di ciò che fa la globalizzazione estendendo illimitatamente, all’infinito, diritti, doveri, possibilità, agi e disagi. Trovando il limite del proprio campo d’azione nel passato della propria storia e nel presente delle proprie esigenze, una singola comunità forma sé stessa. Il singolo individuo non si vedrà più come cellula solitaria, uguale da New York a Bombay, ma tornerà a sentirsi depositario di un destino in quanto parte della propria, unica localizzazione.
E allora, più che di federalismo, si dovrebbe più correttamente parlare di localismo. Il paradigma perfetto di un localismo sano, non razzista ma neppure scioccamente egualitarista, si può trovare nella seguente formula: è cittadino con pieni diritti chi si prende cura del luogo che abita. Non tutti i residenti possono dirsi veri cittadini se non hanno una coscienza di luogo e non la mettono in pratica con la partecipazione attiva alle decisioni. Patrioti della propria città, della propria valle, del proprio monte, della propria regione storica e naturale: ecco i buoni localisti. Chi si estrania come se ciò che lo circonda non lo riguardasse dovrebbe perdere, ad esempio, i diritti politici, mantenendo soltanto quelli civili e sociali. L’utopia concreta del progetto locale ricomincerebbe dall’esigenza di riappropriarsi del territorio, che spunta in ogni dove quando l’esigenza opposta, quella puramente economica (per esempio delle grandi opere come la Tav), minaccia l’autonomia e l’esistenza stessa delle poleis locali. Finora, è soltanto da contrasti violenti di questo tipo che è emersa per reazione la consapevolezza di vivere in piccole patrie. La svolta è trasformarla in proposta politica permanente. Qualche suggerimento in questa direzione ci viene dal bioregionalismo, ossia dal riconoscimento della presenza di bioregioni, ecosistemi territoriali delimitati da caratteristiche date dalla natura e dalla storia. Di qui la riorganizzazione amministrativa in senso bioregionale, con apposite unioni di Comuni; la tendenziale chiusura dei cicli dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia, dell’alimentazione all’interno delle unità bioregionali; un’economia il più possibile locale, basata su filiere circoscritte, su una mobilità ridotta al minimo e sul recupero e ripopolamento della campagna agricola.
Il partito della comunità locale c’è già, almeno in potenza. La sua base è costituita da contadini, artigiani, piccole e medie imprese non internazionalizzate e l’intera galassia sociale di coloro che avrebbero tutto da guadagnare da un abbandono della morsa globalizzatrice («piccoli agricoltori, allevatori, ortofrutticoltori che vendono direttamente, consumatori preoccupati, proprietari e impiegati di piccoli negozi, piccole banche e altre piccole finanziarie, gente che lavora in proprio, comunità religiose e gente di chiesa che hanno a cuore la tutela delle tradizioni e delle identità dei loro posti», Wendell Berry, Salvare la comunità, in A. Magnaghi, “Il progetto locale”, Bollati Boringhieri, 2011).
In Italia, su circa 8 mila Comuni, 5828 hanno meno di cinquemila abitanti, il numero che Platone prendeva come valore ideale per la sua Repubblica. E infatti l’obbiettivo massimo non può che essere scomporre il territorio, comprese le grandi città, in aree sufficientemente piccole da rendere praticabile la partecipazione all’autogoverno. Che è il significato di fondo del localismo, cuore di un vero federalismo.
Alessio Mannino
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2.06.2013
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