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di Alessandra Gargano Mc Leod
La soluzione di Bill Gates al riscaldamento globale è il ritorno alle centrali nucleari. Il co-fondatore di Microsoft nelle prossime settimane cercherà di convincere il Congresso americano a finanziare con miliardi di dollari per il prossimo decennio il suo progetto pilota per la realizzazione di un nuovo tipo di reattore nucleare “più efficiente, ecologico e sicuro”. Gates ha scritto una lettera al Congresso per chiedere un’audizione: “Il nucleare è ideale per combattere il cambiamento climatico perché è la sola fonte di energia ‘carbon-free’. Il problema dei reattori nucleari attuali, come il rischio di incidenti, può essere risolto attraverso l’innovazione”, ha scritto nella lettera ai deputati e ai senatori americani l’ex numero uno di Microsoft.
Per innovazione dovrebbe forse intendersi la transizione digitale? È questa quindi una delle “mission” della transizione ambientale, in Italia, voluta da Grillo e promossa dal Governo Draghi?
Nel 2006 l’imprenditore ha fondato e finanziato una startup che ha chiamato “TerraPower” per la progettazione, la ricerca e il design di nuovi reattori nucleari. La società ha 150 dipendenti ed ha sede a Bellevue, vicino a Seattle, nello stato di Washington. Nella lettera inviata al Congresso, riportata dal Washington Post, l’imprenditore sostiene che “l’uranio-235 ‘bruciato’ nei reattori convenzionali raffreddati ad acqua, può essere utilizzato per accendere il resto della candela, bruciando l’uranio impoverito-238, che viene trattato come rifiuto”. Questo tipo di nuovo reattore, secondo Gates, dovrebbe essere posizionato nel sottosuolo e vi potrebbe restare una sessantina di anni, senza la necessità di essere rialimentato. Non mancano le critiche alla sua proposta, anche in ambito accademico, a una strada che sarebbe ancora piena di ostacoli, in termini di tecnologia e sicurezza.
Ai parlamentari Gates ha scritto di essere pronto da subito a finanziare il suo progetto per un reattore di nuova generazione con un miliardo di dollari, e propone di raccogliere un altro miliardo di fondi tra capitali privati e finanziamenti federali.
La centrale nucleare o termonucleare, è una centrale elettrica che genera vapore in condizioni di temperatura e pressione elevati per produrre elettricità sfruttando il calore prodotto da una reazione di fissione nucleare. L’energia nucleare, ritenuta pulita poiché a bassa emissione di anidride carbonica, è stata a lungo considerata come una strada percorribile per combattere l’effetto serra e dunque una possibile soluzione al problema del surriscaldamento globale. In realtà, le centrali nucleari si sono rivelate nel tempo molto pericolose dimostrando non solo di non essere in grado di ridurre la concentrazione dei gas serra nell’atmosfera ma facendo evidenziare innumerevoli problemi di sicurezza, dalle emissioni radioattive allo smaltimento delle scorie.
Proprio per questo motivo, se nel corso degli anni la strada del nucleare è stata percorsa da molti paesi tra cui Gran Bretagna e Francia, nel tempo altri, tra cui l’Italia, decisero di chiudere del tutto gli impianti. Lo sviluppo del nucleare, introdotto negli anni Cinquanta, si è, infatti, interrotto negli anni Ottanta e Novanta per problemi di sicurezza, degenerati in alcuni gravi incidenti, come quelli di Three Miles Island nel 1979 in Pennsylvania e di Cernobyl nell’ex Unione Sovietica nel 1986.
Sebbene una ripresa si sia verificata negli anni Duemila, oggi il nucleare è una risorsa troppo dispendiosa ma soprattutto estremamente dannosa per l’uomo e per l’ambiente.
Ma al famoso filantropo tuttologo qualcosa sfugge… Ad esempio i rischi e le conseguenze dell’impatto ambientale di una centrale nucleare possono essere tanti, e l’innovazione robotica non potrà arginarli tutti, vediamo di seguito perché: sebbene alcune procedure costruttive e tecniche siano state affinate nel tempo, i rischi connessi al funzionamento di una centrale nucleare sono ancora molto elevati e sembrano essere destinati a non cessare nel tempo.
Il problema principale legato alla produzione di energia da nucleare è legato alle scorie radioattive ossia al combustibile nucleare residuo prodotto dalle centrali nucleari di fissione. A differenza delle centrali termoelettriche, che producono fumi, questi impianti emettono isotopi, ossia atomi altamente instabili e difficili da smaltire che perdurano nel tempo e producono radiazioni molto pericolose per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Le scorie nucleari, infatti, restando radioattive anche per migliaia di anni, possono causare pericolosi disastri ambientali e danni irreparabili per l’uomo, ad esempio malattie come la leucemia e gravi patologie del sistema nervoso. In prossimità degli impianti sono state, inoltre, rilevate alte percentuali di malattie congenite nei bambini ed un preoccupante aumento degli aborti spontanei o feti malformati. Negli USA molte di queste scorie sono illegalmente e delle volte legalmente, ma dannosamente, gettate nei bacini. Tali scorie finiscono nei mari o nell’aria per effetto dell’evaporazione, e ricadono comunque, nelle acque dei mari e nella terra sotto forma di pioggia, provocando l’insorgenza di malattie talvolta anche incurabili.
Ciò avviene presumibilmente a causa del fatto che i materiali prodotti dallo sfruttamento dell’energia nucleare emettono radiazioni alfa, beta e gamma, responsabili di alterare il patrimonio genetico delle cellule e dunque di arrecare gravi danni ai tessuti, di qui la proliferazione di malattie quali il cancro e patologie genetiche ereditarie. Oltre ad avere un impatto negativo da un punto di vista paesaggistico, gli impianti nucleari occupano aree territoriali molto estese che prevedono, dunque, l’allontanamento della fauna e implicano la scomparsa di eventuali edifici presenti. Per quanto una delle modalità per evitare le dannose conseguenze che la produzione di energia nucleare implica sia la collocazione degli impianti in zone poco popolate, ciò non sembra essere sufficiente ad evitarne i rischi. Lo dimostrano gli innumerevoli incidenti verificatisi negli anni, a seguito dei quali gli elementi radioattivi, trasportati dai venti, hanno potuto raggiungere aree collocate anche a migliaia di chilometri di distanza, disperdendosi rapidamente nell’ambiente.
Uno dei problemi più importanti, e purtroppo ancora irrisolto, legato al funzionamento in sicurezza degli impianti nucleari riguarda proprio il difficile trattamento delle scorie radioattive prodotte da una centrale nucleare e la possibilità di reperire spazi adeguati a depositarle dopo averle trattate. Gli isotopi radioattivi richiederebbero un deposito controllato dai 500 ai 700 anni, nel caso del plutonio si parla addirittura di centinaia di migliaia di anni. Oltre alla radioattività di questi impianti e i rischi ad essa collegati, un altro dei pericoli alla base degli incidenti è rappresentato dalla frequente contaminazione dei liquidi di raffreddamento. Questi fattori hanno contribuito a causare incidenti di gravissima entità ritenuti prima impossibili, quelli di Three Mile Island e Chernobyl sono due evidenti esempi.
L’impatto ambientale di questi disastri è stato strettamente correlato alla distanza dal sito dell’incidente, secondo il criterio di radioprotezione. Maggiore è la distanza minore è il rischio, questo è ciò che è stato drasticamente rilevato in occasione dell’incidente di Cernobyl del 1986, che provocò conseguenze disastrose in tutta l’Europa. Per quanto tale nube radioattiva abbia percorso un’area così vasta e la zona circoscritta alla centrale fosse stata rapidamente evacuata, ancora oggi le aree circostanti non sono accessibili, confermando il grave problema della permanenza delle scorie radioattive nel tempo.
Ciò è essenzialmente dovuto anche alla tipologia delle emissioni radioattive, che si possono differenziare in due categorie principali, quelle a lunga e lunghissima vita e quelle con una vita breve o brevissima. Alla prima tipologia appartengono uranio e plutonio, che tendono a concentrarsi nelle immediate vicinanze di un impianto nucleare, della seconda categoria fanno invece parte elementi radioattivi leggeri come cesio, iodio e prodotti di fissione, che, al contrario, si disperdono più facilmente nell’aria e su ampie distanze. Durante il volo, tuttavia, si disperde una buona parte di radioattività, pertanto ciò può essere la spiegazione del fatto che all’aumentare della distanza dal luogo dell’incidente, tende a diminuire il rischio di radioattività.
Oltre ai disastri ambientali verificatisi in seguito agli incidenti nucleari, l’impatto negativo delle centrali nucleari è legato anche all’uso civile dell’energia nucleare. L’estrazione e l’arricchimento dell’uranio, ad esempio, oltre a generare pericolosi fenomeni di radioattività genera un eccessivo dispendio di risorse idriche ed energetiche nella produzione del combustibile nucleare. Da non trascurare, infine, il problema dello stoccaggio delle scorie nucleari e del loro trasporto, che espone a gravi rischi l’ambiente e l’intera umanità. L’impatto ambientale di una centrale nucleare non può essere dunque del tutto contenuto, in quanto è necessario intervenire in modo strategico sulla sicurezza degli impianti ma soprattutto mettere a punto una strategia per ridurre i rischi legati all’accumulo delle scorie di fissione, che ancora per millenni conserveranno la loro radioattività.
Per Bill, centrali termonucleari indispensabili per far correre insieme al Corona e alla sterlina americana, anche la Svolta Green, convinto che l’innovazione tecnologica ci salverà da tutti i mali che la stessa (appannaggio del Capitale) ci arreca, a noi esseri umani e all’ecosistema che ci ospita: la maratona continua imperterrita!
Pubblicato il 26.02.2021