Da Bunker Hill a Baghdad Dispaccio di Pinter per Obama
DI MIKE WHITNEY
informationclearinghouse.info
Venite a vedere il sangue nelle strade.
Venite a vedere
il sangue nelle strade.
Venite a vedere il sangue
nelle strade!
Poesia di Pablo Neruda
All’incirca un mese prima dell’annuncio della candidatura di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, l’ex consigliere della sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski è apparso al Charlie Rose Show della PBS dove gli è stato chiesto se secondo lui Obama potesse essere una buona scelta come presidente. Brzezinski ha fatto una pausa, ha guardato Rose di sottecchi e ha risposto, “Pensa solo al simbolismo”. Subito dopo queste parole, Brzezinski e Rose si sono messi a ridere come per una battuta per pochi.
Naturalmente, Brzezinski aveva ragione. Obama era la scelta perfetta per la presidenza. Non per la sua esperienza. Non ne aveva affatto. Era stato senatore per due anni e il suo curriculum era così breve da poter stare sul retro di una scatola di fiammiferi.
Tuttavia Obama aveva ciò che Brzezinski & Co. stavano cercando: il simbolismo, il genere di simbolismo capace di creare una connessione tra lui e persone di tutto il mondo che avevano l’impressione che uno di loro era finalmente riuscito a raggiungere la vetta. Meglio ancora, Obama era un populista carismatico in grado di riempire gli stadi di fan adoranti e dare un volto benevolo agli interventi dell’America in Afghanistan e in Iraq. Brzezinski non poteva sperare in meglio. Dopo otto anni passati a trascinare il “marchio America” nel fango, il Paese avrebbe finalmente ottenuto l’urgente lifting di cui aveva tanto bisogno e avrebbe cominciato a risanare la propria immagine ammaccata di nazione indispensabile nel mondo.
Per la sinistra, Obama è stato un fiasco totale. Ha inasprito la guerra in Afghanistan, ha intensificato i bombardamenti transfrontalieri in Pakistan, ha esitato a parlare di persecuzione dei crimini di guerra, ha rifiutato di fare pressioni sui membri della Camera dei Rappresentanti per facilitare l’organizzazione dei lavoratori (EFCA – Employee Free Choice Act), e si è circondato di rappresentanti del mondo bancario che hanno affidato 12,8 trilioni di dollari alle cure di istituti finanziari d’investimento senza alcuna assicurazione rispetto alla restituzione di tale denaro. A parte un trascurabile decreto sulle cellule staminali, Obama non ha fatto assolutamente nulla per confermare le sue credenziali di progressista. La verità è che Obama non è né progressista né conservatore; è semplicemente un oratore che sa essere di ispirazione e un bravo politico privo di forti convinzioni rispetto ad alcunché. Se mai raggiungerà la grandezza, sarà per essere stato spinto in una crisi che non poteva evitare e aver agito, riluttante, nell’interesse del popolo americano. Questa è una possibilità che sussiste tuttora, sebbene sembri sempre meno probabile ogni giorno che passa.
I leader stranieri sono chiaramente sollevati dall’uscita di scena di George W. Bush, e sembrano disposti a dare ad Obama ogni opportunità di riparare relazioni e prendere le distanze dal passato. Ma Obama si è sforzato poco per ricambiare o dimostrare un serio impegno rispetto ad un reale cambiamento. L’enfasi sembra vertere sulle pubbliche relazioni più che sulla politica; su sfarzose occasioni per farsi fotografare, discorsi grandiosi, viaggetti da una capitale all’altra, piuttosto che sul porre fine alle intromissioni e al militarismo cronici degli Stati Uniti. Dov’è l’arrosto? O tutto si riduce a vacua ostentazione?
Ora, nessuno è ancora pronto a considerare Obama un fallimento, ma questi deve dimostrare di essere l’uomo giusto adottando provvedimenti per fermare la macchina bellica e tenere a freno le élite aziendali e il parassita bancario. Ma è davvero possibile per un uomo solo – per quanto benintenzionato – cambiare il corso di una nazione e resistere al branco di malviventi che muovono i fili da dietro le quinte? Ricordiamoci che la storia americana fatta di interventismo violento, guerre senza provocazione, rivoluzioni colorate e colpi di stato, ha un lungo pedigree che va da Bunker Hill fino a Baghdad. Questo fiume di sangue non ha preso l’avvio con George Bush e non finirà con Barack Obama. Ogni generazione ha prodotto la propria litania di crimini, da Wounded Knee a Nagasaki a My Lai a Falluja. Nel discorso pronunciato da Harold Pinter in occasione dell’assegnazione del premio Nobel, il drammaturgo evoca un caso che riassume il modello di ostilità che è stato riprodotto, ancora e ancora, ovunque i mandarini di Washington abbiano rilevato un’opposizione al loro pugno di ferro.
Harold Pinter, discorso di accettazione del premio Nobel.
“In Nicaragua, gli Stati Uniti sostennero la brutale dittatura di Somoza per oltre 40 anni. Nel 1979 il popolo nicaraguense, guidato dai sandinisti, rovesciò questo regime; fu una rivoluzione popolare straordinaria.
I sandinisti non erano perfetti. Avevano una buona dose di arroganza e la loro filosofia politica conteneva diversi elementi contraddittori. Ma erano intelligenti, razionali e civili. Si proponevano di creare una società stabile, decorosa e pluralista. Fu abolita la pena di morte. Centinaia di migliaia di contadini indigenti furono strappati all’invisibilità in cui vivevano. Oltre 100mila famiglie ricevettero terreni. Furono costruite duemila scuole. Un’eccezionale campagna di alfabetizzazione ridusse l’analfabetismo nel Paese a meno di un settimo. Furono istituite istruzione e assistenza sanitaria gratuite. La mortalità infantile fu ridotta di un terzo. La poliomelite fu debellata.
Gli Stati Uniti denunciarono questi successi come sovversione marxista-leninista. Dal punto di vista del governo statunitense, si trattava di un precedente pericoloso. Se al Nicaragua si fosse permesso di stabilire norme basilari di giustizia sociale ed economica, se gli si fosse permesso di elevare gli standard di assistenza sanitaria e di istruzione, di conquistare l’unità sociale e l’orgoglio nazionale, i Paesi confinanti si sarebbero posti le stesse domande e avrebbero agito nello stesso modo. A quel tempo, c’è da dire, vi era una tenace opposizione allo status quo in El Salvador.
Poco fa ho parlato di ‘un affresco di menzogne’ che ci circonda. Il presidente Reagan soleva definire il Nicaragua come una ‘segreta totalitaria’. Quest’espressione fu in genere accolta dai media, e di certo dal governo britannico, come un’osservazione esatta ed equa. Ma di fatto, durante il governo sandinista, non si registrarono squadroni della morte. Non si registrarono torture. Non si registrarono episodi di brutalità militare sistematica o ufficiale. Nessun prete fu assassinato in Nicaragua. In effetti, al governo c’erano tre preti, due gesuiti e un missionario della Società di Maryknoll. Le prigioni totalitarie erano in realtà lì accanto, in El Salvador e Guatemala. Gli Stati Uniti avevano abbattuto il governo democraticamente eletto del Guatemala nel 1954 e si stima che oltre 200mila persone siano rimaste vittima delle dittature militari che si sono susseguite.
Sei dei più esimi gesuiti al mondo furono ferocemente assassinati all’Università Centroamericana di San Salvador nel 1989 da un battaglione del reggimento Atcatl addestrato a Fort Benning, Georgia, USA. L’arcivescovo Romero – uomo estremamente coraggioso – fu ucciso mentre diceva messa. Secondo le stime, morirono 75mila persone. Perché furono uccise? Furono uccise perché credevano nella possibilità e nella necessità di una vita migliore. Questa convinzione li qualificò immediatamente come comunisti. Morirono perché osarono mettere in discussione lo status quo, quell’infinito acrocoro fatto di povertà, malattia, degrado e oppressione, che costituiva il loro diritto di nascita.
Alla fine gli Stati Uniti abbatterono il governo sandinista. Ci vollero anni e molta resistenza, ma l’implacabile persecuzione economica e 30mila morti alla fine minarono lo spirito dei Nicaraguensi. Erano di nuovo esausti ed indigenti. Fu il ritorno nel Paese delle case da gioco. La fine dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione gratuite. Il ritorno, vendicativo, delle grandi aziende. La ‘democrazia’ aveva prevalso.
Ma questa ‘politica’ non fu affatto limitata all’America Centrale. Fu portata avanti in tutto il mondo. Fu infinita. Ed è come se nulla di tutto questo sia mai accaduto.
Gli Stati Uniti sostennero e in molti casi ingenerarono tutte le dittature militari di destra nel mondo a partire dal Secondo Dopoguerra. Mi riferisco a Indonesia, Grecia, Uruguay, Brasile, Paraguay, Haiti, Turchia, Filippine, Guatemala, El Salvador e, naturalmente, Cile. L’orrore che gli Stati Uniti inflissero al Cile nel 1973 non potrà mai essere espiato e non potrà mai essere perdonato.
In tutti questi Paesi si verificarono centinaia di migliaia di morti. Si verificarono davvero? E possono essere in tutti i casi attribuite alla politica estera statunitense? La risposta è affermativa in entrambi i casi: si verificarono e sono attribuibili alla politica estera americana. Ma sembra che non sia così”.
Il discorso di Pinter è un tetro atto di accusa contro la politica estera statunitense; una politica che ora si cela dietro la facciata da rock star di Barack Obama. Nulla è cambiato e, forse, nulla cambierà. La medesima campagna barbara che ha prosperato con Bush è passata ad Obama intatta. Ovunque vi sia resistenza alle ambizioni statunitensi, lì è il nemico. Non importa se si tratta di marxisti a Bogotà, nazionalisti in Kosovo, bolivariani a Caracas, miliziani shiiti a Beirut, islamici moderati a Mogadiscio o quaccheri a Toledo. Sono tutti nemici, ognuno di loro, e li si deve affrontare.
Obama non è uno stupido; sa che lo stanno usando. Sa di non essere stato scelto per le sue opinioni illuminate sull’assistenza sanitaria e sulle cellule staminali. È stato scelto perché gli uomini in carica avevano bisogno di un nuovo uomo-immagine dietro cui nascondersi per portare avanti le loro attività illecite. Obama non è tanto un comandante supremo, ma piuttosto un abile prestigiatore che distoglie l’attenzione dalla guerra clandestina che continua inesorabilmente con o senza il suo consenso. Ancora Pinter dice:
“I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, continui, feroci, spietati, ma solo in pochissimi ne hanno davvero parlato. Bisogna riconoscerlo all’America. Ha esercitato una manipolazione alquanto clinica del potere in tutto il mondo mascherandosi da forza del bene universale. Un numero di ipnosi eccezionale, persino arguto, di enorme successo… Uno stratagemma scintillante”.
Si consideri come si sono modellate le notizie per far sembrare che le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan fossero effettuate per altruismo. Di conseguenza, la guerra in Afghanistan è divenuta l’”Operazione libertà infinita”, con l’enfasi sulla generosità disinteressata del bombardare un Paese fino all’oblio e riportare al potere violenti signori della guerra. La stessa strategia è stata usata per l’invasione dell’Iraq, celebrata come la “liberazione da un brutale dittatore”. Liberazione che è costata la vita ad oltre un milione di Iracheni e l’esodo di quattro milioni di profughi. Eppure, nessuno all’ONU o nella cosiddetta comunità internazionale ha fatto pressioni affinché gli U.S.A. fossero allontanati dal Consiglio di Sicurezza o affinché i loro leader fossero perseguiti per crimini di guerra. Ciò testimonia il successo dei media statunitensi nel sorreggere quell’“affresco di menzogne” di cui parla Pinter. Con Obama al governo, la farsa è solo peggiorata. Le notizie sulla guerra sono cessate del tutto. Guerra? Quale guerra? Ciò che importa ora sono gli allegri scambi di battute tra Obama e Jay Reno, o le braccia ben proporzionate di Michelle, o l’adorabile cane de agua portoghese di Malia. L’America è di nuovo tutta intera. Che riprendano le uccisioni.
Pinter: “Cos’è successo alla nostra sensibilità morale? L’abbiamo mai avuta? Cosa significano queste parole? Si riferiscono forse ad un termine usato molto di raro oggigiorno, coscienza? Una coscienza che non ha a che fare solo con i nostri atti ma anche con la responsabilità che condividiamo per gli atti altrui? è forse morto tutto questo? Si consideri la Baia di Guantanamo. Centinaia di persone sono state trattenute senza accusa per oltre tre anni, senza alcuna rappresentanza legale o diritto di difesa, tecnicamente trattenute per sempre. Questa struttura completamente illegittima è mantenuta in totale spregio della Convenzione di Ginevra. La cosiddetta ‘comunità internazionale’ non solo la tollera, ma se ne ricorda solo a stento. Questo oltraggio criminale è stato commesso da un Paese che si dichiara ‘leader del mondo libero’. Pensiamo mai agli abitanti della Baia di Guantanamo? Cosa ne dicono i media? Fanno la loro comparsa ogni tanto, con un trafiletto a pagina sei. Sono stati spediti in una terra di nessuno da cui potrebbero non fare mai ritorno. Attualmente molti stanno facendo lo sciopero della fame, e sono alimentati forzatamente, e tra essi vi sono residenti del Regno Unito. Non c’è cautela nelle procedure di alimentazione forzata. Nessun sedativo o anestetico. Solo un tubo ficcato nel naso e in gola. La gente vomita sangue. Questa è tortura. Cos’ha da dire in proposito il Segretario agli affari esteri britannico? Nulla. Cos’ha da dire in proposito il Primo ministro britannico? Nulla. Perché no? Perché gli Stati Uniti hanno detto: criticare la nostra condotta a Guantanamo costituisce un atto ostile. O siete con noi o siete contro di noi”.
Obama non deve risolvere i problemi del mondo. Non deve invertire il riscaldamento globale né rallentare il picco del petrolio, curare l’AIDS o mettere fine alla fame nel mondo. Tutto ciò che deve fare è soddisfare i requisiti minimi del suo lavoro di presidente, ovvero portare giustizia al suo popolo. Ecco perché processare Bush per crimini di guerra è più importante di qualsiasi altra questione in calendario. La giustizia viene prima di tutto il resto; è il filo che tiene insieme il tessuto sociale. Giustizia per le vittime che sono state uccise nelle loro case con le loro famiglie, mentre dormivano o stavano a cena. Giustizia per la gente bombardata durante le feste di matrimonio o mentre andava al lavoro o era alla moschea a pregare Dio. Questo è ciò che la gente vuole da Obama. Giustizia, niente di più. Il Reverendo Martin Luther King disse, “L’arco dell’universo morale è lungo, ma si piega verso la giustizia”. Sta ad Obama seguire quell’arco e fare almeno un passo sulla via della legalità, dell’assunzione di responsabilità e della giustizia.
Pinter: “Quante persone bisogna uccidere per meritare la qualifica di stragista o criminale di guerra? Centomila? Più che sufficienti, direi. Perciò è legittimo che Bush e Blair siano chiamati a rispondere di fronte alla Corte Penale Internazionale”.
È molto poco probabile che un nero con un passato nell’organizzazione di comunità creda veramente che espandere la guerra in Afghanistan sia la cosa giusta da fare. E non è probabile neppure che egli sostenga le intercettazioni, il giro di vite sugli immigrati, le sanzioni a chi vende marijuana terapeutica, trilioni di dollari per salvare le banche o interrogatori “potenziati”. Sta semplicemente leggendo il copione che gli è stato fornito. Ma con l’aggravarsi della crisi economica, la progressiva radicalizzazione del Paese e l’aumento dell’instabilità politica, quel copione sarà da buttare. Obama avrà moltissime opportunità di scrollarsi di dosso i burattinai e dimostrare di che stoffa è veramente fatto. Forse, dopo tutto, è un grand’uomo.
Pinter: “Quando guardiamo in uno specchio pensiamo che l’immagine di fronte a noi sia fedele, ma se ci spostiamo di un millimetro l’immagine cambia. In realtà stiamo guardando infinite immagini riflesse. Talvolta, tuttavia, uno scrittore quello specchio lo deve infrangere, perché è dall’altro lato che la verità ci fissa negli occhi”.
Avanti, Barack. Infrangi lo specchio.
Mike Whitney
Fonte: http://informationclearinghouse.info
Link: http://informationclearinghouse.info/article22499.htm
27.04.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN