DI CARLO BERTANI
Nella calura agostana, verrebbe la voglia d’abbandonarsi a buoni romanzi o stuzzicanti saggi, al fresco di un pino o al riparo dell’ombrellone. Già, perché Agosto è una sorta di sospensione del tempo, per tutti.
Per chi è in vacanza, che – al mare, ai monti o semplicemente nella quiete di casa – cerca refrigerio e si domanda “come sarà” la ripresa dell’attività a Settembre e per la classe politica, la quale ha terminato il duro “tour de force” di Luglio, e s’appresta a lasciare alle “seconde linee” i palazzi del potere per la gestione della “normale amministrazione”.
Riflettiamo che, oramai, i “frutti” della politica prendono forma soltanto a Luglio – centro destra o centro sinistra, PD +/– L – perché è il momento nel quale possono contare sul maggior disinteresse degli italiani.
Non è certo un caso che la controriforma Damiano sulle pensioni sia stata varata il 23 Luglio del 2007, o che il parossistico DM 112 del 2008 sia stato emanato pressappoco nello stesso periodo.La presentazione della manovra economica triennale il 6 di Agosto del 2008 – nella nuova deontologia del politico italiano – è praticamente perfetta.
Lor signori hanno a disposizione fior di sondaggisti, sociologi, analisti, pennivendoli e quant’altro, i quali hanno un solo e preciso obiettivo: sapere per tempo quale sarà il momento nel quale coglieranno gli italiani con le mutande abbassate. Luglio e Agosto, con il caldo e le vacanze, sono perfetti.
Dopo, tutto diventa uno scherzetto e si può tirare il fiato per un altro anno, nel quale i fancazzisti al potere, mascherati da indefessi lavoratori (ricordiamo che Brunetta è stato uno dei più assenteisti parlamentari europei italiani…), si divertiranno con le solite passeggiate sui loro media, sui loro panfili, nelle discrete “case” di coca & “veline”. Sarebbe meglio stendere un pietoso velario sulla loro pochezza, se i frutti delle loro inconsulte ed irragionevoli azioni non precipitassero nella realtà, in questa realtà – la nostra – che nemmeno conoscono e che pretendono di governare.
Perciò, ho chiuso il bel romanzo che stavo leggendo e mi sono proiettato nel futuro: nel 200…chissà quando?
No, al prossimo Settembre: basta ed avanza.
Questo andazzo a dir poco schizoide – per il quale, oramai, in Europa ci considerano dei fessi o degli ignavi – va avanti perché milioni d’italiani, nonostante il malaugurio che ci precipitano addosso, tentano, provano, continuano a credere che le cose possano andare avanti applicando il vecchio buon senso. Ossia, cercano ancora di metterci una pezza, e si mettono pure d’impegno. Fino a quando ce la faranno?
Da dieci anni a questa parte – almeno per la scuola, che un po’ conosco – siamo precipitati in un tourbillon di riforme gattopardesche, circolari che negavano quanto affermato l’anno prima, innovazioni ed abrogazioni assurde e repentine: il tutto, ha il liquido sapore del nulla. Perché?
Mi torna allora alla mente che si pecca in pensieri, parole, opere ed omissioni: ora, sulle prime tre, non penso che ci siano dubbi. In ogni modo, qualche esempio è necessario segnalarlo.
Il “pensiero” che il “nano” Alitalia – se messo a confronto con le grandi compagnie planetarie – potesse permettersi il lusso di due “hub”, Fiumicino e Malpensa, è stato alla base del tracollo della compagnia, inutile girarci attorno. Proprio un bel “pensiero”.
Mentre le altre compagnie cercano di ridurre i costi utilizzando magari lo stesso, grande aeroporto, Alitalia – per soddisfare interessi di bottega “padani” – si è svenata con la duplicazione delle strutture. Una “pensata” da Pico della Mirandola. Difatti, oggi sono nella m…e non sanno come cavarsela. Ci salverà ALIgresti.
Le “parole” di Maria Stella Gelmini – che “90 Conservatori, in Italia, sono davvero troppi” – sono un’esternazione che riteniamo solo frutto di un colpo di sole: perciò, non ne faremo colpa alla ragazza. Si sa: i ragazzi vanno alla spiaggia con la gran voglia di un tuffo ristoratore, e dimenticano il cappellino di paglia a casa. Comprendiamo.
90 Conservatori sono, in media, meno di uno per Provincia: già seguire le lezioni – riflettiamo che la stragrande maggioranza degli allievi frequenta in parallelo un istituto superiore – avendo il Conservatorio a decine di chilometri, non è uno scherzo. Qualora le decine iniziassero a superare il centinaio, addio violinisti e clarinettisti. Nel Paese della musica, che ha come prima fonte di reddito il turismo, non tutti abitano nei pressi di Santa Cecilia.
Nella pianificazione “organica” delle varie riforme e controriforme, qualcuno aveva pensato di far iniziare il percorso musicale dopo la maturità: bellissima idea. A 19 anni, s’inizia a studiare pianoforte o trombone, così in 3-6 anni tutto è concluso e li mettiamo in orchestra. Insomma, come all’Università, oppure – se hai i soldi – studia privatamente.
Chissà perché, invece, generazioni di pedagogisti e musicisti avevano pianificato – da decenni se non da secoli – un percorso più consono all’età degli studenti, i quali iniziano spesso presto perché attratti dalla passione per la musica, per uno strumento musicale. Non sappiamo cosa risponda Maria Stella: forse, non ci aveva mai pensato, oppure ci sta meditando adesso, che ha finalmente trovato il cappellino.
E veniamo infine alle opere.
Le “opere” sono in gran parte contenute nel DM 112 – chi s’aspetta il “ritorno” del Tremonti “gran giustiziere di poveri e derelitti” può, a mio avviso, darsi appuntamento alle calende greche – perché questo decreto è la vera Finanziaria in pectore.
Lo ha ammesso anche il Gran Capo del PD + L, e solo qualche sparuto leghista lobotomizzato s’ostina ancora a credere alla Robin Tax, giacché anche gli allievi delle Elementari hanno compreso che si tratta di una penosa partita di giro: da ENEL ed ENI, a forte partecipazione statale, di nuovo allo Stato. Il solito trucco di Tremonti.
E poi: lo “spezzatino” di precedenti leggi e decreti di spesa (tipico il caso dell’edilizia), con lo scopo di non prevedere un euro in più di quanto già c’era, ma di presentarlo sulle reti nazionali con la novità eccelsa. E, gli italiani, la bevono.
In quel decreto, non ci sono soltanto gli arresti domiciliari per i pubblici dipendenti malati, i pre-pensionamenti ad personam (cosa sono, un “premio fedeltà” elettorale?), le ampie previsioni di spesa per nuove “consulenze” (per gli “amici degli amici”, ovvio), l’esercito nelle strade (a fare che?!? Siamo diventati la Colombia? Ma allora ditelo…), la sottrazione al giudice del lavoro della potestà di decidere se un dipendente, dopo le innumerevoli “forche caudine” della legge Biagi/30, abbia finalmente diritto ad un lavoro stabile…in quel decreto c’è di più.
C’è la sostanziale affermazione, da parte di un ceto politico, di voler sopravvivere a se stesso, costi quel che costi: non importa se Atene cadrà in rovina, ciò che conta è che non si metta in dubbio la sua oligarchia.
Ciò che invece manca completamente – ecco il peccato d’omissione – è l’analisi della situazione italiana per quello che è, e qualche timida – per carità, di più non potremmo aspettarci dai +/- L – proposta. Suggeriremmo, a fronte della comunicazione del Presidente del Consiglio che il “gettito IVA è calato del 7%”, di prender atto di cosa significa questo dato.
Vuol dire che, proprio nel periodo delle vacanze estive, gli italiani consumano soltanto più lo stretto necessario, come la maggior parte delle famiglie sta attuando, con aumenti dell’inflazione che iniziano a farci temere una deriva Argentina. Presto arriveranno i “conti” della stagione turistica e saranno – come avviene da anni – muri del pianto: Spagna e Croazia ringraziano.
L’aumento dell’inflazione in presenza di un calo dei consumi ha un nome: stagflazione, la tanto temuta “bestia nera” degli economisti. Significa che l
’aumento dei prezzi non è più legato alla domanda, bensì sopravviene per altre cause: energia, ma anche improduttività/irrazionalità degli apparati produttivi e fatiscenza delle amministrazioni (e della classe politica).
La stagflazione è un fenomeno che non si governa più con le alchimie finanziarie – siano esse i pessimi decreti o le “rassicurazioni” della BCE – poiché significa che il male non è più limitato ai corollari dell’economia, bensì si è sostanziato – come un’aggressiva metastasi – nel corpo sociale.
D’altro canto, la pessima “pezza” degli accordi salariali del 1993 – la bella trovata della cosiddetta “inflazione programmata” – che consentirono al duopolio classe politica/imprenditoriale di gestire l’aumento dell’inflazione come più loro aggradava, sta esalando il “canto del cigno”.
Se l’inflazione ufficiale sale oltre il 4%, se quella “percepita” – che non è il frutto di una anomala “percezione”, bensì è l’inflazione calcolata sui beni di prima necessità – raggiunge e supera oramai il 6%, come si possono rinnovare dei contratti (e le pensioni) con valori intorno al 2%?
Il risultato è ovvio: contrazione dei consumi e maggior povertà. Quello che “preoccupava” Berlusconi prima della partenza per l’amata Sardegna: meno male che lui si “preoccupa” per noi. E, finite le “angustie”, cosa farà? Ah, saperlo…
Per venire a capo di una tale situazione, servirebbero riforme che lor signori definiscono “strutturali” ma che – guarda a caso – nel loro lessico significano ancor più “tagli” nei confronti degli italiani e maggiori prebende per loro, +/- L che siano. Le quali, produrranno solo maggior povertà per noi.
Se, da almeno 15 anni, non si fa che spostare ricchezza dal lavoro alla finanza, se, per sostenere questa perversione è necessario avere un ceto politico/imprenditoriale ed un’informazione completamente affidabile, se, per garantire la fedeltà assoluta bisogna concedere ampi privilegi a questi ceti, dove prendere le risorse?
Impoverendo tutti i lavoratori, siano essi pubblici o privati: uno alla volta, secondo se governa un +/- L, oppure seguendo le opportunità del momento.
Vogliamo raccontarci, fuori dei denti, qual è il macigno che pesa sull’economia italiana? E’ un macigno “bifronte”, come il dio Giano dell’antichità.
La faccia più facilmente percepibile è quella di una società stanca e demotivata – tante volte emersa dalle analisi dell’ISTAT, dell’EURISPES, del CENSIS, ecc – ossia di un corpo sociale frammentato da anni di continue, insulse riforme del nulla, le quali altro non sono state che privazioni di diritti. Salvo per i pochi che continuano ad incrementare il mercato di Ferrari e Lamborghini: il 10% della popolazione italiana, possiede il 45% della ricchezza nazionale. Siamo diventati un popolo di mezzadri.
La frammentazione nasce da decenni d’addestramento mediatico, nel quale ciascuno è stato messo di fronte a quella che propagandavano come l’unica soluzione praticabile: essere tutti contro tutti, ovvero avrai di più solo se troveremo il modo di toglierlo a qualcun altro.
In questo modo, hanno fregato per bene i lavoratori dipendenti additandoli come privilegiati, mentre gli autonomi sono stati “messi in riga” con gli studi di settore. Quindi, la bagarre delle categorie: tassisti da “liberalizzare”, notai da “inutilizzare”, dipendenti pubblici “fannulloni”, autonomi “evasori”, ecc. Un gioco al massacro.
Poi, le menzogne: la vera “emergenza” è la criminalità, di qui la soluzione “di facciata” d’inviare l’esercito nelle strade, senza riflettere che i militari non sono certo addestrati per quei compiti. Una modesta “pensata” post-elettorale di La Russa: niente di serio, verrebbe da pensare. La decisione di Alemanno d’armare i Vigili Urbani (che, peraltro, in gran parte già lo sono) va nella stessa direzione: solo “pensate” post elettorali, o il tentativo di militarizzare l’Italia per prevenire proteste e disordini? Un colpo di stato strisciante e non dichiarato?
Riflettiamo che, con l’approvazione “elitaria” del trattato di Lisbona, potranno sparare in caso di “sommossa”. E chi definisce cos’è una “sommossa”? Un corteo che protesta? Se non avessimo già visto i pessimi risultati della Legge Reale, potremmo anche fidarci, ma c’è chi non ha memoria corta, e ricorda le centinaia di morti ammazzati dalle “Forze dell’Ordine” nelle piazze italiane. Gente che non aveva nulla a che fare con il terrorismo, sia chiaro.
Se c’è un’emergenza, in Italia, è quella degli infortuni sul lavoro: perché abbiamo centinaia di morti l’anno in più di Francia e Germania? Se gli incidenti sul lavoro superano – per numero – le vittime della criminalità, perché solo questa è da ritenere un pericolo? Poiché, in questo modo, si fa credere che il “nemico” sia un altro, non la protervia dei ritmi ossessivi della produzione. Confindustria ringrazia, ed invia un fiore ai soldatini nelle strade: per i “normali”, rimane il dubbio di sapere non a che ora si torna dal lavoro, bensì se si torna.
Anni di questo pessimo andazzo ci hanno ridotti ad una pletora di penosi tele-dipendenti, curiosi solo di sapere qual è stata l’ultima “velina” approdata sul divano del potente di turno. Intanto, ci portavano via anche le mutande.
Oggi, questa umanità dolente non fa che guardarsi in cagnesco: al Nord sperano in una riforma federale che li arricchisca a scapito del Sud, mentre il Sud s’affida sempre di più ai circuiti del malaffare controllati dalla criminalità organizzata, in un perfido gioco del “tanto peggio, tanto meglio.”
Sgombriamo anche il campo da salvezze “federali”, poiché uno spostamento di ricchezza del 10% circa, dal Sud verso il Nord (conforme al PIL delle varie aree), non sarebbe tollerabile e scatenerebbe scenari balcanici. Questi non sono “miraggi” agostani: quando il sen. Miglio prefigurò una soluzione del genere, gli fu risposto che “l’esercito italiano è composto in larga parte da meridionali”. Perciò, la Lega s’accontenterà del solito piatto di lenticchie: ben “venduto” sui media, ovviamente.
Riflettiamo, però, che appena un anno prima della “disgrazia” che s’abbatté sui Balcani, la gente continuava a non credere possibile quello che sarebbe avvenuto: a Sarajevo e Mostar la vita procedeva come sempre, solo con sempre meno soldi in tasca. Particolare agghiacciante.
La faccia nascosta del macigno – che si guardano bene dall’evidenziare – è che la struttura politico/amministrativa italiana è fra le più costose del pianeta; se si tocca questo tasto, hanno già pronta la contromisura: “qualunquismo”.
Non è qualunquismo e nemmeno anti-politica chiedere conto dei costi di una struttura inutilmente replicata su ben cinque livelli – Stato, Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane/Circoscrizioni – più tutti gli apparatcik collegati, i “consulenti”, i “gestori” degli enti, i propinqui, ecc: questa, signori miei, è soltanto politica. Quella vera.
Perché siamo fra i pochi ad avere un sistema bicamerale? Non ce l’hanno la Francia, la Spagna e la Germania. Ce l’hanno Gran Bretagna, USA e Russia, ma con altri numeri, compensi e finalità rispetto alla perfetta duplicazione dei compiti del Parlamento italiano. Non potrebbe bastare la sola Camera?
Abbiamo poi 20 “parlamentini” regionali e circa 110 provinciali: quanto costano? Qui, le cifre sono difficili da valutare: sono molto bravi a stendere bilanci, soprattutto se ricchi di “pieghe”.
I “parlamentari” regionali hanno stipendi di poco inferiori a quelli nazionali, ma sono almeno un altro migliaio. Quelli provinciali guadagnano un po’ di meno, ma sono ancor più. Cosa ci danno in cambio, di reale, Regioni e Province? E’ migliorata o peggiorata la situazione con la riforma regionale del 1970?
Esistono oramai Comuni con 200 o meno abitanti, ma anche i comuni sotto i 2000
abitanti hanno poco senso: non sarebbe meglio accorpare queste realtà per dotarle di una struttura più “esile”, e di maggiori mezzi per le esigenze della popolazione?
Qui, bisogna fare un distinguo.
La rabbia, contro l’incongruità dell’apparato amministrativo, finisce spesso per accomunare dipendenti e politici: è pur vero che esistono sacche di nepotismo, ma è altrettanto vero che negli uffici giudiziari e negli ospedali c’è scarsità di personale. E chi ha gonfiato a dismisura gli apparati amministrativi, a scapito di quelli tecnico/operativi? Sempre loro, che dovevano piazzare qualcuno in cambio del voto: si vedano, ad esempio, i “cognomi” dei dipendenti RAI. Adesso, ai loro accoliti, regalano anche 5 anni di prepensionamento.
Non serve sparare nel mucchio, come fa Brunetta, per mera audience (non è un mistero che si tratta oramai di una guerra aperta contro Tremonti, per soffiargli domani il posto): se si vuole iniziare a risistemare l’apparato dello Stato e delle autonomie locali, è da loro che bisogna partire, non dai bidelli o dagli uscieri.
Aggiungendo al danno la beffa di definire “fannulloni” persone che lavorano, mica fancazzisti come loro.
Se le sole comunità montane costano – un semplice calcolo effettuato sulle imposte che le finanziano, ossia quelle sull’acqua potabile – all’incirca 200-300 milioni di euro l’anno, a quanto ammonta il “prelievo” di grandi enti come le Regioni? Miliardi di euro l’anno?
Per la sola sanità “regionale” si stimano circa 100 miliardi di euro: se è credibile (e molte, recenti inchieste lo confermano) il noto “teorema di Craxi” – ovvero il 30% in tangenti – a quanto ammonta il fiume carsico che inghiottono? Vogliamo ricordare gli strapuntini colmi di lingotti d’oro – frutto di tangenti – trovati a casa di Duilio Poggiolini, direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità?
Poi, attenzione, si “fanno le unghie” con le riforme pensionistiche che risparmiano un miliardo l’anno, strombazzando ai quattro venti la non “ineludibilità” dei provvedimenti – con il risultato di mantenere i vecchietti al lavoro ed i giovani a casa – ma nessuno ricorda che si tratta pressappoco della cifra che ogni anno elargiscono alla stampa, da loro sovvenzionata e controllata.
E’ inutile continuare a fare mille ipotesi sulla “specificità” italiana, sul perché abbiamo un debito pubblico colossale: ci saranno pure le truffe sulla moneta, ma senza una cura da cavallo – questa volta per lor signori – non se ne esce.
Dobbiamo smetterla di litigare come i polli di Renzo fra chi dispone di 1000 e chi di 2000 euro, per scatenare inutili rabbie che sollazzano lor signori, i quali se la ridono di noi che litighiamo e ci tosano ancor più: dobbiamo tornare a scoprire i nostri legami comunitari, ed affermare che non si può campare con meno di 2000 euro a famiglia. Se c’è da dimagrire, che dimagriscano loro.
C’è poco da sperare anche dalla cosiddetta “economia reale”, poiché abbiamo già perso chimica ed elettronica (Gardini e De Benedetti) e, con la vendita di STET (controllata Telecom, Tronchetti Provera) a Lehman Brother, siamo fuori anche dal settore dei satelliti commerciali quando, agli albori di quel mondo, l’Italia era dietro solo ad USA ed URSS: oggi, hanno satelliti commerciali quasi tutti, Egitto e Turchia compresi[1].
Nel settore delle nuove tecnologie energetiche non siamo mai entrati: ci dilettiamo con l’antiquariato e le cavolate che spara Scajola, ovvero le centrali nucleari.
Il calo della produzione industriale del 4,4% su base annua, e la crescita zero del recente trimestre, confermano in pieno la crisi: produciamo sempre di meno beni innovativi, richiesti sui mercati internazionali.
Qualcuno non scambi il dato per una auspicabile decrescita: siamo semplicemente un Paese che si sta fermando, senza menti pensanti in cabina di regia. Non un treno che decide, scientemente, di rallentare per viaggiar meglio, bensì un convoglio che s’arresta in piena campagna.
Fuori da tutti i settori tecnologici che contano, con la ricerca dimenticata – ricordiamo la penosa nomina come sottosegretario (non bastava la “ragazzina” Gelmini) di un certo Pizza all’Istruzione, Università e Ricerca, ossia di un uomo che ha avuto il solo merito di mettere nel cassetto il simbolo della DC e di regalarlo a Berlusconi – non ci rimarrà che far concorrenza al Bangladesh sui beni di “largo consumo”. Una battaglia persa in partenza: ci consoleremo con ‘sta “Pizza”.
A Settembre, apriremo gli occhi su una nuova realtà: iniziamo a considerare tassi d’inflazione superiori al 5% e governi che, non potendo negare le oligarchie, dovranno ulteriormente tagliare servizi e stipendi, oppure aumentare la pressione fiscale. Di là delle opportunità di facciata, perseguiranno entrambe le vie, +/- L che siano, ma s’inizierà ad incidere nella carne, non sulla pelle: l’Argentina è vicina.
Noi – di là delle opportunità di facciata – dovremo tirare ancor più la cinghia: +/- un altro buco, fin quando non decideremo di spararli tutti su Marte (tanto, c’è acqua, afferma la NASA!) con un calcio ben assestato.
Alternative, non ne esistono: o iniziamo a riflettere sul come organizzarci – smettendo le inutili gazzarre che ci oppongono strumentalmente gli uni agli altri – oppure un futuro da “cartoneros” attende i nostri figli.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2008/08/attenzione-il-giocattolo-sta-per.html
8.08.08
[1] Fonte: Repubblica, 30 Luglio 2008.