DI GIULIETTO CHIESA
Arrivano i cinesi! E’ ormai il panico, o quasi. La Cina è ormai nelle nostre case, a cominciare dai suoi giocattoli per finire con la produzione dell’acciaio. La Cina, con il suo miliardo e 300 milioni di cinesi, influenza i mercati del pianeta. Anzi, molto di più, ne determina i comportamenti. La Cina è ormai ai primissimi posti in tutti gl’indicatori economici fondamentali. La Cina è fatta di cinesi, cioè di gente che lavora sodo, che lavora bene, e che si fa pagare così poco da battere ogni concorrenza.
In Cina non ci sono sindacati. La Cina sta succhiando risorse da tutte le direzioni; per questo sale il costo delle materie prime. La Cina ha un sacco di soldi e compra ormai senza badare a spese. Cioè rovina i mercati.
E poi, ancora: la Cina è un paese comunista. La Cina è un paese senza libertà. In Cina c’è la pena di morte. La Cina è armata. E sta diventando minacciosa. Questi sono i concetti che dilagano ormai dalle pagine dei giornali e che affollano i notiziari dell’occidente e dell’oriente.
Insomma è arrivato un elefante nella cristalleria e tutti si preoccupano che non rompa il servizio di piatti. Il bello è che i più preoccupati sembrano essere quelli che, fino a ieri, inneggiavano alla globalizzazione e al libero mercato senza se e senza ma. Eccoli accontentati: il libero mercato ha prodotto anche questa Cina, insieme all’Africa che va in pezzi e a miliardi di individui che muoiono di stenti e di malattie nei cinque continenti del pianeta. Sì, d’accordo, replicano i neo-liberisti dell’altro ieri, ma la Cina è un concorrente sleale. Dicono che non rispetta la proprietà intellettuale e che milioni di DVD illegali stanno invadendo il mondo. Dicono che i lavoratori cinesi sono pagati troppo poco e, quindi, i bassissimi prezzi dei loro prodotti invadono i mercati mondiali sbaragliando la concorrenza. Dicono che il governo cinese aiuta le esportazioni cinesi sgravando di tasse gli esportatori. Dicono che le imprese cinesi non si curano dell’ambiente, inquinano a tutto spiano, mentre le nostre imprese sono costrette dalle leggi a filtrare i fumi, a riciclare le acque. Dicono che i lavoratori cinesi muoiono per infortuni sul lavoro dieci volte di più di quelli europei, perchè non c’è una tutela della salute dei lavoratori. E anche questa tutela costa.
Praticamente è tutto vero. Ma, nello stesso tempo, la Cina entra nell’organizzazione Mondiale del Commercio, con il plauso generale. Quando l’ha chiesto tutti, in occidente, hanno pensato: bene, benissimo, così potremo costringerla a sottostare alle regole definite da tutti noi. Ma il suo ingresso non significa che le regole saranno rispettate oggi, e nemmeno domani. Ci vuole del tempo e, in questo tempo – per fare solo un esempio – l’industria tessile di interi paesi, anche in Europa, può essere ridotta in cenere.
D’altro canto che fare? Nessuno riesce più a immaginare l’economia mondiale senza la Cina. L’elefante si muove nella cristalleria con la sua immensa mole e senza troppe precauzioni, ma se improvvisamente uscisse (ipotesi comunque improbabile, per ora), i mercati cadrebbero nel panico. Le imprese occidentali che, a migliaia, sono andate a “de-localizzarsi” (cioè si sono trasferite laggiù) non potrebbero più produrre, anche loro a basso prezzo, le loro merci. Per fare un esempio concreto: il “made in Italy” adesso si fa in parte cospicua in Cina. Chiudi la Cina e il “made in Italy” si troverebbe in un mare di guai, con l’euro alle stelle e il dollaro in cantina.
C’è chi grida: imponiamo dei dazi all’entrata! Fermiamo le merci cinesi! Ma non si può più fare, perchè se la Cina facesse altrettanto tutti i nostri mercati ne subirebbero danni tremendi.
Insomma dobbiamo convivere con la Cina. Ma ne abbiamo paura. E c’è soprattutto una cosa che non ci piace. Per meglio dire che non piace soprattutto agli Stati Uniti: il fatto che la Cina è ormai l’unico paese del mondo che può prendere decisioni senza chiedere preventivamente il consenso dell’Impero. E un Impero che non riesce a mettere il guinzaglio a tutti i suoi sudditi non è un Impero.
Giulietto Chiesa
Fonte.www.giuliettochiesa.it
17.03.05
del 17 marzo 2005, in uscita sul settimanale russo Kompania