Difatti, lo studio di
Kelly M. Greenhill pubblicato in volume dalla Cornell University Press nel giugno 2011, e precedentemente oggetto di un
articolo pubblicato nel 2008 sulla rivista specializzata “Civil Wars” (vol. 10, n. 1, pagine 6-21), è in grado di togliere ogni residuo dubbio sul fatto che siamo di fronte ad una nuova arma non convenzionale, quella che l’autrice chiama
“arma di migrazione di massa”.
Greenhill individua ed analizza più di cinquanta esempi di dispiegamento di quest’arma a partire dal 1953 e riassunti nelle tabelle che seguono, più di metà dei quali riuscirono ad ottenere lo scopo prefissato. Un risultato entusiasmante, commenta l’autrice, se si pensa che la percentuale di successo delle operazioni militari e diplomatiche convenzionali di coercizione impiegate ad esempio dagli Stati Uniti va dal 19 al 37,5%. Da come si evince dalle tabelle seguenti, l’arma è stata utilizzata sempre più di frequente e da una moltitudine di interessi internazionali e sovranazionali. Era del resto già opinione condivisa nel mondo scientifico che il massiccio afflusso di migranti dall’Est europeo e dalla DDR nella Germania Occidentale avesse contribuito alla caduta del Muro di Berlino ed accelerato la riunificazione tedesca. Prerequisito questo della futura unificazione germanocentrica dell’Europa attraverso la moneta unica. Dato che potrebbe fornirci utili indizi sull’identità dei possibili mandanti, o challengers, come li chiama Greenhill, della crisi attuale.
L’autrice ritiene che l’arma di migrazione di massa venga utilizzata a scopo punitivo per influenzare il comportamento e la politica dei paesi bersaglio, sfruttando a proprio vantaggio interessi interni al paese e giocando sui costi che ricadrebbero sulla popolazione civile locale. A differenza dei risultati che si ottengono convenzionalmente attraverso le armi ed il dispiegamento della forza militare, nel caso della migrazione organizzata ad hoc, l’uso della minaccia della bomba demografica è in grado di ottenere, nel paese target, scopi che convenzionalmente non potrebbero essere raggiunti.
L’arma di migrazione di massa rientra quindi a tutti gli effetti nel campo delle operazioni psicologiche e, aggiungo, nel set di strumenti dei fautori ed esecutori della Shock Economy.
Come spiega Greenhill, di fronte ad un improvviso afflusso di migranti, gli stati che fino a quel momento hanno predicato l’accoglienza senza condizioni vengono posti di fronte ad un ricatto morale: difendere i propri cittadini ed entrare in contraddizione con i propri principi di apertura e tolleranza, oppure rimanere coerenti ad essi, andando però contro gli interessi dei propri cittadini?
Proprio per le loro caratteristiche liberali e democratiche, i paesi occidentali sono i più vulnerabili al ricatto dell’arma di migrazione di massa e, difatti, i casi analizzati da Greenhill dimostrano che, nonostante il problema abbia riguardato anche paesi illiberali, i primi sono stati i più tradizionalmente bersagliati. Addirittura, secondo Greenhill, l’arma di migrazione di massa sarebbe addirittura l’arma perfetta per sottomettere gli stati a democrazia liberale. Ai voleri di chi democratico non è, evidentemente.
L’arma tuttavia, per il fatto di utilizzare persone (che ne subiscono in primis gli effetti devastanti) e non strumenti di precisione, non è sempre infallibile e può ottenere effetti indesiderati o addirittura ritorcersi contro l’aggressore. Perché, secondo Greenhill, la sua efficacia dipende dalla reazione dei paesi aggrediti rispetto all’aggressione. L’arma avrà successo, in pratica, se i paesi target giudicheranno inferiori i costi della resa rispetto a quelli della resistenza ad oltranza.
Se ha ragione Greenhill, in base ai dati da lei raccolti analizzando i precedenti storici, venendo all’attualità, dove è in corso uno dei più fenomenali impieghi a tenaglia dell’arma di migrazione di massa ai danni dell’Europa, potremmo ipotizzare che avrà più possibilità di resistere uno stato forte, anche economicamente e sovrano (ad esempio l’Ungheria di Orbán) di un altro debole e privato di sovranità (pensate all’aggressione in corso alle isole greche, ad un paese già stremato dall’austerità economica imposta dalla UE).
Secondo questo modello infatti, gli stati governati da partiti politici orientati ideologicamente al multiculturalismo ed all’internazionalismo se non palesemente antinazionalisti saranno più propensi a volere e dovere cedere al ricatto.
Secondo l’autrice, gli interessi imperiali internazionali e sovranazionali che utilizzano l’arma di migrazione di massa sfruttano le contraddizioni e gli interessi (anche materiali) politici ed economici interni e contrapposti della nazione bersaglio, blandendoli e, possiamo ipotizzare, concedendo loro le briciole della torta, forzandoli ad andare contro le norme e le leggi, utilizzando al contempo veri e propri ricatti verso quegli attori politici che resistono all’aggressione. Ogni riferimento alla caduta di Berlusconi nel 2011 è puramente casuale (?)
Non è straordinario? Non vi si stanno sturando le meningi come le orecchie quando saliamo di quota in montagna?
Vi fischiano pure le orecchie? Bene. Ricordate il caso delle ondate migratorie dall’Albania nel 1990-1991, riportate anche da Greenhill nella tabella 1., e come furono risolte allora, mediante la concessione di aiuti e soprattutto la reazione ferma di una classe politica che non ammainò immediatamente bandiera bianca ma riconobbe il ricatto ed agì di conseguenza? Altri tempi.
Avete ancora dubbi? Per capire quanto questo studio sia importante per analizzare l’attualità in corso, e vi rimando al testo per tutti gli eventuali approfondimenti, guardiamo ai paesi maggiormente oggetto di attacco migratorio ed alle sue possibili motivazioni:
1) Francia. Perché il Front National rappresenta una forma di resistenza nazionale non solo alle ondate migratorie ma alle politiche di austerità imposte dalla UE ed è molto probabile che ottenga la vittoria alle prossime elezioni presidenziali del 2017. (Crisi di Calais).
2) Gran Bretagna. Per la difesa dell’interesse nazionale, risalente, riguardo alla problematica dell’euro, ai tempi dell’ultimo governo della signora Thatcher, strenua oppositrice della moneta unica in quanto strumento di cessione di sovranità e, ma questo i nostri partitodemocratici non lo capiscono ancora, antidemocratico. Per la minaccia di Brexit, ovvero di uscita del Regno Unito dalla UE, paventata dal governo conservatore di Cameron. (Crisi di Calais)
3) Italia. Per la crescente insofferenza dell’opinione pubblica nei confronti della moneta unica, le politiche di austerità recessiva, la crisi economica e la minaccia rappresentata dall’aumento di consenso verso i partiti nazionalisti come la Lega Nord, di protesta tour court o in sospetto di gatekeeping come il M5S a svantaggio dei partiti “collaborazionisti”. Per gli amanti dei ricorsi storici, questa crisi dei barconi is the new Sbarco in Sicilia.
4) Ungheria e Repubblica Ceca. Per l’opposizione dei presidenti Orban e Zeman alla UE, la ritrosia ad entrare nella moneta unica, la dimostrazione che, al di fuori della UE e della sua moneta capestro, le economie sono libere di crescere. (Crisi dei profughi siriani)
5)
Austria. Per la minaccia rappresentata dai movimenti e partiti nazionalisti e le minacce di uscita dall’euro che si concretizzano in
iniziative referendarie che ottengono grande successo popolare. (Crisi dei profughi siriani).
6) Grecia. Per essere il paese a maggior rischio di uscita forzata per sopravvivenza dalla moneta unica, ma anche per essere al contempo il paese più debole del fronte, governato da un partito debole e collaborazionista minacciato anch’esso dalla crescita in consenso dei partiti nazionalisti. (Crisi dei profughi siriani.)
Se non è una guerra continentale, se non mondiale, questa, non saprei come definirla.
Chi sono i possibili challengers? Alcuni sono facilmente riconoscibili, senza escludere la presenza di altri attori in seconda fila o dietro le quinte. Facciamo qualche ipotesi sui primattori immediatamente riconoscibili.
Gli Stati Uniti, o meglio, l’Entità economico-militare che ha preso il potere negli Stati Uniti all’inizio del millennio, che vuole imporre i suoi trattati economico-strategici con il TTIP, inseguire la sua agenda militare di dominio del “nuovo secolo americano” e nascondere i disastri planetari delle crisi provocate dalla sua finanza neoplastica. Che questa Entità inoltre stia disinvoltamente utilizzando il revanchismo islamico e le sue mire di Reconquista sull’Europa in maniera che definire sciagurata, se non folle, è poco, è più che un sospetto. Vedi il ruolo enigmatico dell’IS.
Israele: che sarebbe ben contenta –
Netanyahu l’ha detto più volte espressamente – di vedere gli ebrei che vivono nei paesi liberi e democratici d’Europa costretti a trasferirsi, dietro la minaccia dell’ondata migratoria islamica, nella cittadella del fallimento del sionismo, per tentare di mantenerlo ancora in vita. Ancora più vicini alla bocca del Moloch, per giunta! Una cittadella che dimostra la validità del modello di Greenhill perché, a parte la dotazione nucleare tattica che ha sempre il suo perché e dà rispetto in società, resiste difendendo gli interessi dei suoi cittadini e respingendo, anche con la forza, i migranti. A ragione, aggiungo.
La Germania, che cerca di nascondere la pelliccia del lupo mercantilista sotto il cappuccetto rosso della Madre Coraggio salvatrice dei profughi siriani. A lei il meglio, a voi gli scarti. E quanto è bbuona la Merkel.
L’Unione Europea. Una costruzione artificiale, antidemocratica, antiparlamentare ed illiberale che serve gli interessi locali (il mercantilismo della Germania) ed intercontinentali (sottomissione all’agenda neocon), alla quale è permesso dai suoi protettori di nascondere il proprio fallimento e prossima decomposizione angariando i paesi deboli della periferia sud con lo strumento della moneta unica e della Banca Centrale.
Non è escluso che a questi attori se ne possano aggiungere altri come
la Russia, la Cina, i BRICS, i paesi arabi ed altri, e che coloro che vengono definiti challengers siano in realtà le maglie di una rete molto più complessa di interessi sovranazionali, prettamente finanziari, che è difficile racchiudere entro etichette nazionali e che manovrano ed utilizzano, al fine della diffusione della propaganda e della fornitura di agenti esecutivi,
organismi internazionali, governativi e non governativi, gruppi di pressione, mezzi di informazione, ecc.
V’ho fatto la pirreviù. Riuscite adesso a cogliere appieno il simbolismo di questa immagine: la bandiera, la retorica, il marketing,
perché proprio Vienna, e a sentire il tanfo insopportabile di falsità?
Barbara Tamperi
Fonte: http://ilblogdilameduck.blogspot.it/
5.09.2015