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La Redazione

 

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APOCALYPSE DOWN

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A cura di Davide
Il 20 Giugno 2010
89 Views

DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

This is the end, beautiful friend, this is the end, my only friend …”
The Doors, The End, dall’album The Doors, (1967).

“Facemmo scalo in altri luoghi dai nomi farseschi in cui la gaia danza della morte e del commercio procede in un’atmosfera stantia che sa di terra, come quella di una catacomba surriscaldata…”
Joseph Conrad, Cuore di tenebra, (1902).

Ogni tanto mi prendo la briga di leggere il gossip elettoralistico, ovvero il “quanto vi piaccio” giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Lo so, è ingannare il tempo, ma tanto vale per rilassarsi un attimo, come giocare a carte.
Scorrendo, per par condicio, i sondaggi più disparati – che sono differenti soltanto per la diversa semantica utilizzata nel confezionare le medesime frasi – si nota una sostanziale stasi: qualche punticino in meno quando il Governo promulga l’ennesima legge capestro, bavaglio, trabocchetto…poi recuperato con qualche “sparata” a nove reti unificate del capocomico… e il diametralmente opposto saliscendi dell’altro comico, il Masaniello del Monte Nero. Qui, mi sa che l’unico ad esser meno comico è un comico di mestiere, ossia Beppe Grillo: sarà perché lo spirito d’ogni clown è sempre venato da un’incrinatura di tristezza?
Chissà.L’unica formazione arroccata su coriacee posizioni di pura resistenza è il partitino di Casini, ma qui è facile comprenderne la ragione: essendo più che altro dei contractors con sede Oltretevere, l’obiettivo unico è mantenere aperto l’ufficio scambi e compravendite. Il resto, viene da sé.

Il PD muove la classifica solo quando cambia segretario, come una squadra che lotta per la retrocessione, la quale ruota sulla panchina un tecnico il mese: il nuovo arrivato riunisce lo spogliatoio, magnifica premi di partita a iosa, smazza speranze e futuri di gloria per portare a casa un paio di pareggi. Poi, arrivano due sonori 3-0 (il secondo in casa) e l’allenatore fa le valigie.
L’arguzia di chi stabilì una cesura fra una stagione calcistica e l’altra – ossia non immaginò una competizione perpetua – fu quella di capire che, ogni tanto, bisogna contare i punti, porre dei paletti, condurre sugli altari gli eroi e stramazzare nella polvere i perdenti.

Così è la vita, altrimenti saremmo ancora qui a discutere se Caio Giulio Cesare – attraversando il Rubicone – avesse tradito l’impianto istituzionale Latino. Oppure se, le circostanze eccezionali nelle quali versava la repubblica, potessero concedere l’azzardo.
Per nostra fortuna, Cesare era persona viva e vegeta e Bruto poté così trasformarla in cadavere, altrimenti non ne saremmo mai usciti.

Quando, invece, sentiamo parlare del PD – sia dagli avversari che dai sostenitori – la parvenza è quella del dopo-funerale, quando si va a bere qualcosa al bar con l’amico che non si vedeva da anni e si stemperano così – la circostanza lo richiede – quattro parole sul neo-estinto. Generalmente, sono frasi pronunciate a mezza voce, con misura – quasi dei “coccodrilli” verbali – nelle quali la dolcezza sopravanza il ricordo di quando gli prestasti la “850” coupé e te la rese con il motore che andava a fuoco.
Si domandano notizie della famiglia: figli, nipoti (quella bionda, alta…già la nipote? Eh, se passa il tempo)…della situazione familiare (ah, ma quella era la prima moglie, non la seconda! Ah, ma allora…) oppure sulle vicende di natura economica. Eh, glielo avevo detto anch’io che aprire un ristorante macrobiotico proprio sul retro dell’Italsider era una scelta azzardata…ah sì? Riuscì a salvare qualcosa perché un gommista rilevò il locale per farci un autosalone? Meno male…

A volte, mentre – soli – si torna a recuperare l’auto nel parcheggio, ci si domanda cosa racconteranno gli amici al tuo funerale: testa di cavolo…che carattere di m…però, quando c’era di testa era uno spasso…no, troppo ingiusta…in fin dei conti, pur essendo per natura uno scapestrato, ha saputo tener fede alle sue responsabilità…no, banale…
Poi, si giunge all’auto, si cercano le chiavi – dove c…le metto sempre ‘ste chiavi… – e si rimanda il capitolo seguente al prossimo funerale. Sperando d’avere il tempo di concludere qualcosa – si tratta pur sempre di un’opera in divenire – prima che tocchi ad altri vergare l’epilogo.

Speriamo di non aver tediato troppo il lettore con queste funeree dissertazioni, poiché era d’altro che desideravamo parlare ma, l’unico prologo adatto al volumetto che andavamo a scrivere, ci sembrava proprio questo: il funerale. Mancato.
Si potrebbe, tanto per concludere la prefazione, dissertare sulle differenze che esistono nelle tradizioni funerarie secondo le religioni, i cieli ed i tempi d’appartenenza: in genere, le religioni monoteiste sono molto “sbrigative” nei confronti del caro estinto. Sarà la necessità di riaprire in fretta la fabbrichètta?
Altre culture, invece, sembrano conceder più tempo al caro estinto per estinguersi con calma, come se la fiammella – anche dopo il rigor mortis – non fosse del tutto scomparsa.
Ora basta, però, perché stiamo facendo tutto questo can can senza capire a quale funerale dovremo recarci, chi sarà l’estinto: soprattutto, non sappiamo quando. Un po’ di rispetto per la claque funeraria: ci vuole un po’ di tempo per trovare la cravatta nera e le uniche scarpe nere, lucide, rimaste!

Il problema del PD è proprio questo: l’essere, a tutti gli effetti, un trapassato presente. Tempo e modo incongrui per qualsiasi verbo, lo ammetterete.
Eppure, passano i mesi, gli anni e pure le stagioni…cambiano i segretari, gli attici ed i loft…e, pur essendo del tutto evidente che il partito è estinto, nessuno si prende la briga d’affiggere i manifesti mortuari. Presto, nei sondaggi, non comparirà neanche più, alla la voce “Partito Democratico”, il gradimento percentuale e verrà sostituito con un generico “Nebbia in Val Padana”.
Di regola, ai funerali, chi la fa da padrone sono gli aggettivi: “bravo” (generico, il più usato), “simpatico” (d’uso più arduo: e se l’estinto era un vero e proprio “orso”?)…e così via. “Onesto” è l’aggettivo più gettonato ai funerali dei politici, proprio per marcare la differenza abissale fra il caro estinto ed il ceto che lo espresse: l’aggettivo “passa” poiché l’unico che potrebbe ribellarsi dovrebbe essere l’officiante.
Ma, avete mai sentito un prete alzarsi e dire “E basta! Qui non c’è più religione!” Non si può, ed il giudizio divino viene – correttamente – posizionato fuori del tempo e dello spazio.

Gli aggettivi più usati per definire il PD sono “nuovo” (fa il paio con il “bravo” dei funerali), “dinamico” (il necessario ossimoro, non preoccupatevi)…talvolta viene usato “giovane” ma sta cadendo in disuso: la vittoria della sconosciuta Serracchiani in Friuli fece passare in secondo piano il nome dello sconfitto.
Cioè…del candidato ufficiale del PD…perché a “casa PD” non si giocano mai campionati, solo tornei interni, nei quali la ferocia belluina è all’ordine del giorno: quando giunge il momento d’iscrivere la squadra al campionato, sono tutti “rotti” e l’infermeria tracima tendiniti e legamenti crociati aggrovigliati e cadenti.
Il candidato sconfitto dalla giovane avvocatessa in Friuli era niente di meno che…Luigi Berlinguer! Un applauso!

Dovrebbe trattarsi dell’ex Ministro della Pubblica Istruzione, appartenente alla nobil casata dei Berlinguer sardi, ma non siamo così esperti nella decrittazione degli alberi genealogici per affermarlo con certezza, come del resto siamo incerti sulla sua età, ossia se navighi ancora verso gli ottanta (un giovane, appunto) oppure i novanta (la mezza età politica pidieddina).
E’ caduta in disuso la pratica del nepotismo diretto in politica: Bianca Berlinguer ha avuto il buon gusto di scegliere una carriera politica parallela in RAI, mentre i
figli di Massimo D’Alema sembra che, presto, entreranno a far parte dell’equipaggio di Mascalzone Latino per una futura America’s Cup.
Dobbiamo riconoscere che il buon gusto ci guadagna: come se, alla recente tornata elettorale nel Lazio, avesse partecipato anche la bis, bis, bis…nipote del grande Caio, la giovane avvocatessa Jennifer Giulio Cesare. Eh no: a tutto c’è un limite.

Siccome l’atto ufficiale di morte del PD non è stato mai presentato – dovrebbe dunque trattarsi di un caso di morte presunta, che richiede il vaglio del magistrato – il povero dott. Benjamin L. Willard sta risalendo su un battello il Po per cercare, traversando l’oramai verde Padania, elementi che gli possano servire per districare il groviglio delle origini.
Facile a dirsi, ma l’evidenza che non ci può essere morte senza nascita non poteva essere accettata così, senza approfondimenti, soprattutto da un magistrato scrupoloso come il dott. Willard, il quale sta risalendo il fiume fino a Torino per colloquiare proprio con un ex magistrato, che gli è stato indicato solo con uno pseudonimo, quello del “dott. Walter E. Kurtz”.

Il misterioso ex magistrato sarebbe a conoscenza delle origini del “mistero PD”, l’ectoplasmatico ossimoro creatosi fra il dottor Faustus di Marlowe e la nera coppia di Bergman, il Cavaliere e la Morte, ne “Il Settimo Sigillo”. L’ultimo tentativo, per tastare il polso di un ectoplasma mai morto e mai vissuto: un vero mistero.
In effetti, non s’era mai visto nella Storia tanto brigare per ottenere l’eternità politica – ottenuta al prezzo dell’anima popolare ed operaia – per poi gettarla alle ortiche in un’incessante partita a scacchi con la morte.

Mentre scorrono ai lati del battello canneti ed antichi insediamenti di battellieri, oramai abbandonati, il dott. Willard – intanto che annusa, appoggiato alla falchetta della motovedetta dei Carabinieri, l’amaro profumo del fiume – si chiede se il suo viaggio servirà a qualcosa, se Kurtz accetterà di spiegare il mistero di quel sibillino “le televisioni non sarebbero state toccate”, pronunciato proprio di fronte al nemico, una vita prima nel chiassoso parlamento di una lontanissima, pulsante Saigon.
Anche se accordi ci fossero stati – è il tormento che azzanna Willard ogni volta che cerca di prender sonno nella sua cuccetta, fra il gracchiare dell’interfono di bordo e la puzza di nafta che pervade i locali – perché renderli pubblici? Quale la ragione, politica, per urlarlo al mondo?

Ottenere benevolenza dal nemico, pur nella prostrazione della sconfitta, è l’ultima speranza – rifletteva Willard – alla quale solo chi non ha letto Von Clausewitz, Miyamoto Musashi e Sun-Tzu può credere: no, non funziona…Kurtz sarebbe solo uno stupido…non è questo il copione…
Ma, Kurtz, accetterà di parlare?

Willard non n’è così certo: il Procuratore, che gli ha affidato l’incarico, ha sottolineato più volte la delicatezza della missione – si tratta di un ex magistrato, parlamentare, Presidente della Camera… – lasciandogli però carta bianca sul come procedere. Già, “carta bianca”: e quale “carta” potrà mai usare per convincerlo a rivelare le origini?
Mentre la motovedetta approda per fare rifornimento, Willard ricorda che il Procuratore s’espresse chiaramente sulla sua missione: tornare con le tasche vuote avrebbe significato marcire per decenni in qualche Procura di provincia. Maledizione a Kurtz, all’enigma del PD, a quella rogna che gli era toccata.

Sul casotto del rifornimento di carburante, una scritta verde recita “Lega per sempre” e Willard – sono approdati sulla sponda emiliana – non può fare a meno di riflettere che, solo pochi anni prima, quelle terre erano il fulcro del potere “rosso”. No, doveva far parlare Kurtz: a tutti i costi.
Sulle prime aveva meditato di chiedere lumi ad un vecchio segretario – uno che si dilettava di “gioiose macchine da guerra” – ma aveva presto cambiato idea: l’uomo, più che un ex segretario del potente PCI, pareva la larva di se stesso. Blaterava nel vento recriminazioni per una partito “di sinistra” mai nato, ma si notava chiaramente che non contava nulla e, soprattutto, che non sapeva nulla.

La notte trascorse tranquilla e riuscì ad addormentarsi: piombò in un sonno profondo, nel quale sognò Kurtz o, almeno, quello che riteneva essere Kurtz. Quando si svegliò, aveva ancora nelle orecchie la risata di Kurtz e nelle pupille gli rimase l’immagine dei suoi occhi: due braci rosse, ardenti.
L’ufficiale lo informò che l’autovettura era pronta sul molo: salutò e sbarcò.
Il contatto era stato fissato per le nove di quella stessa mattina, presso i locali di un’associazione di canottieri: osservò l’orologio e, con sollievo, s’accorse ch’era in anticipo.
In quella mattina primaverile di Sabato, Torino stava ancora sbadigliando o cercando, a tastoni, l’orologio sul comodino: non fu necessario inserire la sirena e l’auto dei Carabinieri lo depositò silenziosamente proprio all’ingresso del circolo. L’ufficiale che lo accompagnava chiese se desiderava essere scortato all’interno, ma Willard ringraziò: «No, da qui in avanti dovrò andare da solo». Il giovane tenente non fece obiezioni.

Appena entrato, una giovane alla reception lo affiancò e gli indicò la strada: «Da questa parte, prego dott. Willard.» Benjamin non si stupì oltremodo di quell’accoglienza, l’aveva messa in conto: la segretezza era svanita nel momento stesso nel quale avevano chiesto l’incontro.
La giovane aprì la porta di uno studio avvolto nella penombra, ma non oltrepassò la soglia, facendo cenno d’entrare: una voce dall’interno, però, lo invitò ad entrare. «Venga, dott. Willard, s’accomodi.»
«Allora, ha fatto buon viaggio?» chiese Kurtz.
«Sì, grazie.» Mentre rispondeva meccanicamente, Benjamin fu colpito da quanto era diverso, il vero Kurtz, da quello che aveva immaginato.
L’uomo esile seduto nella poltrona, segaligno, vestiva un anonimo abito grigio che pareva quasi cascargli addosso, e la voce era appena un sibilo, senza toni che denotassero emozioni. Lo sguardo, che aveva immaginato focoso, era invece gelido ma pungente, indagatore, pareva quasi inarrestabile nel cercare anche il minimo particolare sulla sua persona.
«Allora, ha qualcosa da chiedermi?»

«Certo, ma non sapevo che lei era…»
«Per lei rimarrò sempre Kurtz, chiaro? Erano i patti…»
«Certo, come preferisce.»
«Immagino che sia venuto a chiedermi qualcosa del PD, dello strano PD, del partito immobile…»
«Sì, a volte sembra addirittura morente, in uno stato di catalessi…»
Kurtz sorrise: «Sì, c’è del vero in quanto afferma…catalessi…ottima definizione, però aggiungerei “apparente”: sì, è meglio…”apparente catalessi”…» ridacchiò.
«Se lo analizziamo alla luce della prassi politica comune» continuò Kurtz «potrebbe apparire una creatura vuota, proprio un ectoplasma…ma, la devo mettere in guardia, ciò è vero solo per la comune politica, per quello che la gente deve percepire…»
«Scusi, non comprendo…»

Kurtz si mostrò quasi infastidito dall’intromissione, quasi come se dovesse spiegare le cose ad uno svogliato scolaro: «Non crederà, per caso, che la vera politica sia quella che viene mostrata? Il PD che s’oppone, Berlusconi che comanda, Di Pietro che sbraita…Tremonti che fa manovre economiche, il PD che fa le barricate…»
Kurtz scoppiò in una risata e questa volta – a Benjamin – apparve quasi sguaiata e fuori posto, eppure capì che quella risata era nata con il preciso scopo d’intimidirlo, di farlo sentire come un bambino che domandava come riuscissero a volare gli aerei.
Provò a controbattere: «Ma, in una democrazia compiuta…»

«Senta» Kurtz s’avvicinò a lui, sporgendosi un poco dalla poltrona dov’era seduto «la “democrazia”, come lei la chiama, non potrebbe vivere nemmeno un secondo senza l’approvazione di chi deve
gestirla, chiaro?»
«No, non è affatto chiaro, ma il PD…quel congresso proprio qui a Torino…la scelta di correre da solo alle elezioni, poi tutto il marasma…»
«Ma quale marasma, quale marasma!» Kurtz sembrò accendersi «tutto fu programmato anzitempo…si sapeva perfettamente dove si sarebbe finiti…affidammo la creatura alla persona più idealista che si potesse trovare…credevamo che sarebbe stato in grado di reggere la parte, invece…»
«Si riferisce a Wal…»
«Sì, a lui: quell’uomo ha visto troppi film. Scambiò il PD con la brumosa visione di un suo, personale, sogno politico…vecchie affermazioni desiderate e mancate…confuse, nella bruma mattutina, un peschereccio che pescava le acciughe con il “Rex” di Fellini…si rese necessario riprendere il controllo, tornare a persone più affidabili…gli emiliani sono ottimi amministratori: peccato che la politica, per quel che veramente è, nemmeno sappiano da dove inizia…»
«Ma lei, allora…perché ritirarsi qui, quasi alle sorgenti del fiume, lontano dalla mischia…»

«Lontano dalla mischia? Ah, ma lei ha veramente un’idea originale della politica, mi complimento con l’istituzione che rappresenta!»
«La stessa nella quale lei ha lavorato a lungo!» per un attimo, a Benjamin parve di risalire la corrente.
Kurtz passò oltre, per nulla offeso dalla stoccata di Benjamin «Io, fondando Italiadecide [1] – della quale sono il Presidente [2] – sto facendo quanto di meglio posso fare per il mio Paese: perché mai, allora, saremmo riuniti nella medesima associazione io, un ex Presidente della Repubblica come Ciampi, il Sottosegretario più influente del Governo, Gianni Letta, il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il principale estensore del Trattato di Lisbona, Giuliano Amato, e tanti altri personaggi influenti dell’economia, dell’impresa e della finanza?»
«Ma, lei, militava, milita…nel partito d’opposizione…»

«E lasci queste fregnacce ai gonzi, per Dio, Willard! Non faccia il bambino!» per un attimo s’accasciò sulla poltrona, poi riprese «la vera politica è il gioco delle fondazioni, dei think tank, come li chiamano gli americani…quello che va in scena è solo la parvenza, panem et circenses…»
«E così, lei…perché rassicurò il premier sulle televisioni?»

«Io non rassicurai proprio nessuno, perché non c’era nessuno che doveva essere rassicurato: confermai, semplicemente – e dovevo farlo pubblicamente, altrimenti non avrebbe avuto valore – la fedeltà al sistema di governo che va avanti da molti anni, un metodo condiviso di gestione della politica “la qualità delle politiche pubbliche”: ha letto l’incipit di Italiadecide? Ha capito, adesso?»
«Credo di no, o forse sì…ma se ho capito bene, allora, tutto…»
«Tutto acquista senso soltanto se si capisce il gioco delle fondazioni: perché, allora, dovremmo condividere gli stessi obiettivi di Italiadecide io e Ciampi, Letta, Tremonti ed Amato? Poiché la fondazione è colei che garantirà, sempre, la continuità del sistema di governo, qualsiasi coalizione salga al potere!
Osservi cosa sta succedendo per la questione nucleare: per uno Scajola che diventa impresentabile, è pronto un Chicco Testa a scendere in pista. Oppure, Scajola fu acchiappato con le mani nella marmellata proprio per far posto ad uno dei nostri: a scelta. Non lo trova divertente? »
«No, non mi diverte affatto: tutto questo, ovviamente, per il bene della nazione.» Aggiunse Benjamin.
«Ovviamente.»

«Un’ultima domanda: la sua lunga militanza nel PCI, allora, che senso ha avuto? Cosa rappresenta, oggi?»
«La sostanziale continuità» fu la risposta, asciutta come uno uadi del deserto.
«Come…continuità?»
Kurtz parve, per l’ennesima volta, spazientito dal comportamento di Benjamin. Sbuffò, poi si decise a rispondere.

«Il PCI fu sempre, dalla sua sostanziale accettazione del sistema parlamentare borghese, una componente del sistema, non la sua controparte. Se lei ricorda Kautsky ed il dibattito con la Luxemburg, già allora parve chiaro che la scelta socialdemocratica non avrebbe mai posto in essere il dilemma della gestione del potere.
Con quella scelta – sembrerà un paradosso detto da me, ma la Luxemburg aveva ragione – la socialdemocrazia tedesca si poneva in modo subalterno rispetto alla classe dominante, la borghesia. Poiché, proprio da Marx – e molti di noi Marx l’hanno studiato seriamente, non come i penosi epigoni della sinistra “radicale” oggi di moda – giunge la sentenza sulla dinamica delle classi: non possono esistere situazioni compromissorie – salvo per brevi periodi, si pensi a Lenin ed ai menscevichi – giacché la classe dominante è quella che detiene le reali leve del potere politico, finanziario, militare. Ovviamente, nessuna classe dominante regalerà ad altri il potere che detiene: pena la negazione di se stessa. Questo fu l’abbaglio di Kautsky.»
«Ma, allora, Lenin…» Benjamin si rese conto che, più che uscire, le parole gli sfuggivano oramai dalle labbra.

«Il fallimento della rivoluzione bolscevica era chiaro da decenni, ma gli eventi dell’89 posero fine a quel teatrino che fingeva essere l’URSS uno sterminato paese socialista. Nella realtà, tutti gli sforzi della dirigenza bolscevica furono diretti a creare una borghesia interna al PCUS: potremmo forse passarla – ma con un dubbio azzardo – come una borghesia “rivoluzionaria”, ma pur sempre una borghesia. E, questo, spezza una lancia in favore delle argomentazioni di Kautsky. Non è lo stesso processo che sta avvenendo in Cina?»
«Certo, ma in Italia…»
«In Italia, il PCI occupò semplicemente il posto – potremmo affermare – della dirigenza kautskiana tedesca del primo Novecento: “organizzarsi ed attendere”, ricorda l’ammonimento di Kautsky? Poi, con la fine dell’URSS e le “aperture” cinesi, divenne chiaro che non esisteva un’alternativa al potere della borghesia. Dunque, farne parte non è un peccato mortale: si tratta soltanto di seguire la corrente della Storia.»
«Ma le iniziative, gli slogan, il PD d’oggi…»

«Ma li guardi. Varano “imponenti” lotte d’opposizione d’Estate, mentre per i rimanenti nove mesi si squagliano come neve al sole. Tante chiacchiere, ma su Pomigliano una posizione chiara non l’hanno. Ed è normale che così sia: sono soltanto un’appendice del pensiero socialdemocratico borghese, mentre alla loro sinistra è pronta, all’occorrenza, la speculare e sterile “vena” barricadiera.
In fin dei conti, il PD e l’IDV servono soltanto a tenere occupate le masse che potrebbero – ma sono piuttosto scettico anche su quel “potrebbero” – elaborare nuove strategie per mettere in crisi il potere della borghesia. Niente di nuovo sotto il sole, mi creda: solo più facce della borghesia che dialogano fra di loro, per capire come gestire al meglio i loro interessi.»
«La speranza di una nuova stagione…è dunque solo tale?»

«Sì, è così» Kurtz parve rabbuiarsi «la borghesia è oggi così forte da permettersi persino un restyling coloniale. Nessuno è in grado d’opporre un pensiero ed una strategia, credibili e vincenti, alla polimorfa struttura della borghesia internazionale finanziaria: il fatto che creino in continuazione bolle speculative e, al loro frangersi, scarichino i debiti sui bilanci degli Stati, non le dice nulla? E, badi bene, in ogni Stato è la borghesia nazionale a stabilire chi pagherà lo scotto: sicuramente, non i borghesi!»
«E la Storia?»

«La Storia, la Storia…la Storia registra gli eventi, li valuta e li approfondisce con la storiografia, li espone…ma solo delle mutate condizioni economiche e di pensiero potrebbero provocare grandi rivolgimenti…non ne vedo all’orizzonte…non si tratta di mere questioni organizzative: una clas
se dirigente nasce da un pensiero e da una prassi condivise e credibili, non azzannandosi sui giornali e su Internet!» Kurtz scosse il capo.
«Per questo s’è rifugiato qui, quasi alle sorgenti del fiume?»
«Sì, e se qualcuno volesse giungere fin qui per mostrarmi il contrario, non dovrebbe salire solo e, soprattutto, con una misera borsa zeppa di carte sotto il braccio: lei, è la dimostrazione lampante che i tempi non sono maturi, che l’impotenza è totale.»

Cadde un silenzio tagliente come una lama di Damasco, mentre Kurtz lo fissava con quegli occhi freddi e pungenti, ancor peggiori di quelli che aveva sognato sulla motovedetta.
«Bene dott. Willard, ora devo andare: ho un appuntamento a mezzogiorno, un pranzo di lavoro con la dirigenza FIAT…»
«Certo, sarà molto occupato…la saluto.»
Tornò la segretaria e lo accompagnò all’esterno, dove attendeva l’auto dei Carabinieri. Il giovane tenente gli andò incontro, ma Benjamin sentiva di non potersene ancora andare così, come se nulla fosse: era ancora troppo sconvolto da quel che aveva udito.
Fece cenno d’attenderlo ancora pochi istanti.

Scese al fiume, che distava pochi passi, e s’accoccolò sulla riva. Al lato opposto, sul viale scorrevano le automobili. Una donna, sul balcone di un palazzo, con il battipanni scuoteva un tappeto. In strada, due giovani in bicicletta si chiamavano l’un l’altro.
Tutti e quanti – i ragazzi, la donna, gli automobilisti – credevano di vivere in una democrazia, un posto dove depositando una scheda nell’urna si decideva qualcosa. Invece, era dovuto salire fin lassù, quasi alle sorgenti del fiume, per sentirsi dire che non esisteva nulla del genere e che, se qualcuno desiderava metterlo in dubbio, non doveva certo presentarsi con una borsa zeppa d’inutile cartaccia.
Se, invece, qualcuno desiderava proprio tentare l’azzardo, non solo si sarebbe dovuto organizzare per bene, bensì avrebbe dovuto elaborare una strategia ed una prassi per attuarla.
Dopo il colloquio con Kurtz, quel posto in provincia, baluginato dal Procuratore quando gli affidò l’indagine, gli parve dietro l’angolo: avrebbe avuto, anch’egli, tutto il tempo per “organizzarsi ed attendere”.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/06/apocalypse-down.html
20.06.2010

[1] Vedi: http://www.italiadecide.it/
[2] Vedi: http://www.italiadecide.it/Documents.asp?DocumentID=449

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

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