ANNAPOLIS VISTA DA GAZA

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DI LAILA EL-HADDAD
Comment is free/Guardian

Anche nei momenti peggiori, c’è una cosa che non manca mai nel nostro travagliato angolo di mondo: un’altra conferenza, vertice, dichiarazione, summit, accordo. Qualcosa di risolutivo, in grado di “riportarci” su qualsiasi sentiero predeterminato al quale siamo o eravamo destinati. E di aiutarci a percorrerlo.

Poco importano le eventuali imperfezioni di questo percorso, o lo scontento che possa aver generato, sapendo cosa accade alle persone che lo mettono in dubbio; la cosa importante è andare avanti, a tutta velocità.

Su Annapolis. Ci sono stata un paio di volte. Una bella città portuale, ottimi granchi, pittoresche botteghe di antiquariato. E, naturalmente, la Marina Usa.

Dunque, cosa c’è esattamente di nuovo questa volta? Allora, se si crede ai titoli di alcuni giornali, molte cose. Come il fatto che Ehud Olmert abbia promesso di non costruire nuovi insediamenti o espropriare (nuove) terre.

Eppure, solo a settembre, Israele ha espropriato 1.100 dunam (11 ettari) di terra palestinese in Cisgiordania per consentire lo sviluppo del progetto E-1, un’area di 8 chilometri quadrati in Cisgiordania, a est di Gerusalemme dove Israele intende costruire 3.500 abitazioni, un albergo e un distretto industriale, completando l’accerchiamento di Gerusalemme con colonie ebraiche, e tagliandola fuori dal resto della Cisgiordania.

La conferenza semplicemente dà vita a nuove e sempre più superflue e intricate promesse in cui i leader israeliani possono impegnarsi e, tuttavia, in qualche modo sottrarsi. Un esercizio grandioso di offuscamento legale: non vogliamo costruire nuovi insediamenti, esproprieremo semplicemente nuove terre e le espanderemo per rispondere alla loro “crescita naturale”, fino a che assomiglieranno a città, e non colonie, e avranno la legittimazione dell’amministrazione Usa, alla ricerca di un modo per salvare la faccia. E allora prometteremo di cancellare gli avamposti.

Ogni passo nell’evoluzione dell’occupazione israeliana – insieme agli sforzi per sostenerla e al linguaggio per descriverla – è diventato sempre più sofisticato, strategico ed eufemistico.
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Israele ha promesso anche di liberare 450 prigionieri palestinesi (che hanno, per stessa ammissione di Israele, quasi completato le loro condanne) la domenica prima della conferenza, mentre altre decine di loro sono detenuti e altre migliaia restano in custodia senza accuse a carico o processo – costituendo il più alto tasso di popolazione carceraria del mondo.

Ciò nonostante, Annapolis viene annunciata come il più serio tentativo degli ultimi otto anni per “riprendere il cammino”. Secondo il portavoce del dipartimento di Stato Usa, la conferenza “mostrerà un ampio sostegno internazionale per i coraggiosi tentativi dei leader israeliani e palestinesi, e costituirà un punto di partenza per i negoziati che porteranno alla creazione di uno Stato palestinese e al raggiungimento della pace tra israeliani e palestinesi”.

Sostegno – ne deduco – che comprenderà anche armi e denaro per aiutare Abbas a liberare Gaza da Hamas una volta per tutte.

Considerato tutto ciò, quali sono le aspettative della popolazione di Gaza?
In sintesi, non molte. Tuttavia, se la storia gli ha insegnato qualcosa, è che non devono mai dire molto su qualsiasi cosa riguardo il loro destino, sia Madrid o Oslo o la Road Map. E nel momento in cui tentano di assumerne il controllo, le conseguenze gli “insegnano” che non devono provare a rifarlo.

Per citare il poeta nazionale palestinese Mahmoud Darwish, “L’assedio durerà fino a convincerci che dobbiamo scegliere un asservimento che non faccia danni, nella più completa libertà!”

Il palco è pronto, i ruoli sono gli stessi, ma gli attori sono stati cambiati. È questa la sensazione di molti a Gaza.

“L’incontro di Annapolis non porterà niente di nuovo per i palestinesi; è una riedizione di molte altre conferenze che hanno cercato di rafforzare il principio di fare concessioni in merito ai diritti nazionali palestinesi”, dice Yousef Diab, un impiegato pubblico di 35 anni.

Per Fares Akram, un giovane giornalista di Gaza, si risolverà in poco più che qualche concessione simbolica con lo scopo di isolare ulteriormente la Gaza governata da Hamas, e rafforzare il sostegno per Abbas: “Questa volta il governo israeliano è debole. Il presidente Abbas può ottenere qualche forma di sostegno alla conferenza ma il supporto sarà per la sua lotta contro Hamas. Gaza resterà nel dimenticatoio e I miglioramenti che possono venire fuori dall’incontro riguarderanno solo la Cisgiordania, mentre qui a Gaza non verrà fatto nulla”.

Fida Qishta, grafico e attivista web della turbolenta città della Striscia Rafah, non si preoccupa di pensare a cose talmente astratte e distanti e – pure – irrilevanti come Annapolis, quando la vita a Gaza è arrivata a un punto morto.

“Vorrei che tu fossi qui per vedere com’è la vita, è davvero come un essere che sta morendo. Ancora non posso credere che stiamo vivendo questo e cerco di non pensarci molto”.

Aliya Moor, madre di otto figli, aggiunge: “Siamo già morti, la sola cosa di cui abbiamo bisogno è di essere cremati, messi nella fossa e cremati. La buca è già stata scavata”.

Siamo prigionieri, mi hanno detto altri, in attesa costante nella speranza che vengano prese decisioni che determinino se vivremo o meno – in maniera sia figurata che letterale.

Esclusi i detenuti cui sono garantite certe cose, come il cibo e l’acqua e l’accesso alle cure mediche. Agli abitanti di Gaza non viene garantito niente. Al contrario, essi sono alla sbarra come il primo popolo occupato della storia a essere sotto embargo e dichiarato ostile.

“La gente vuole solo uscirne”, mi spiega un altro amico. Non importa più se con Fatah o Hamas. Questo semplicemente non importa”.

Per citare Darwish, siamo diventati un popolo in costante attesa dell’alba, nell’oscurità dei sotterranei illuminati dai nostri nemici.

Versione originale:

Laila El-Haddad
Fonte: http://commentisfree.guardian.co.uk
Link: http://commentisfree.guardian.co.uk/laila_elhaddad/2007/11/annapolis_as_seen_from_gaza.html
22.11.07

Versione italiana:

Fonte: www.osservatorioiraq.it
Link: http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=5303
22.11.07

Traduzione a cura di CARLO M. MIELE

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