DI BINOY KAMPMARK
counterpunch.org
Quando si è diffusa la notizia della morte di un cane poliziotto, un pastore belga di nome Diesel, avvenuta alla fine di un ultimo atto di resistenza da parte di alcuni sospetti militanti dell’ Isis a St. Denis, la filiera industriale, che fa leva sui sentimenti per vendere, ha tempestato il web con hashtag come #Jesuischien. Secondo Jean-Michel Fauvergue che ha diretto l’assalto della polizia, “non c’erano dubbi sul fatto che l’intervento di Diesel avrebbe salvato le vite agli agenti.”
L’opportunità politica di sfruttare questa morte era troppo buona per lasciarsela sfuggire, così la solidarietà canina si è espressa attraverso il ministro degli interni russo che ha donato alla polizia parigina un nuovo cane di nome Dobrynya, che ha debitamente sciolto il cuore dei francesi.
Questi animali soffrono puntualmente dell’assenza di dignità dell’essere umano. ”Diesel”, è stato riferito, “si è distinto nella sua carriera con la polizia ed è stato decorato con svariate medaglie al merito”. I titoli dei giornali si sono così immaginati in maniera piuttosto cinica cani “in giro per il mondo” che davano il loro tributo all’eroe canino morto sul campo.
Numerosi proprietari di cani, senza secondi fini, hanno postato su varie piattaforme sociali, foto di cani su due zampe che indossavano la bandiera francese. Uno tra questi, un beagle, mastica un pezzo di carta con scritto il nome di Diesel, il tutto ricoperto con cuori tricolori. Altri “cani da battaglia” hanno fatto la loro comparsa fotografica e fotogenica sui media. Loro sicuramente hanno vissuto esperienze analoghe.
Tale comportamento ha provocato sprazzi di rabbia in quelle aree del mondo dove le prodezze animali vengono considerate meno importanti delle vite umane. Gli attivisti di Boko Haram sono attualmente impegnati in una campagna di attacchi suicidi su obbiettivi civili. E mentre Diesel registrava il picco di notorietà su Twitter, la Nigeria doveva ancora riprendersi dagli attacchi che hanno causato duemila vittime e che, al contrario, suscitarono poco scalpore.
Alcuni critici vi hanno colto un’ inquietante rivelazione. L’opinionista abituale per RT, Catherine Shakdam, ha affermato che, “C’è molto da ridire su una società che piange più per la morte di un cane poliziotto che per l’instabilità dei suoi confini geografici e problemi etnici”. Toni simili anche da parte di Ben Norton, giornalista di Salon, che crede che l’apprezzamento per la vita di un cane poliziotto francese la dica lunga sulla nostra costante perdita di umanità.
Empatia e dolore proporzionato non vanno mai di pari passo. Le atrocità sono distribuite iniquamente e generano riflessione. La coscienza umana non è capace di concentrarsi su più cose contemporaneamente e, questa attenzione è culturalmente e contestualmente limitata. La sorte del nostro vicino di casa è probabilmente più importante di un bambino che soffre in Africa, anche se spesso diamo l’illusione che ci importi veramente delle vite degli africani, magari come vittime che soffrono sì, ma sicuramente non come veri esseri umani.
Nelle società amanti degli animali le vite dei cani contano. L’addomesticamento di questo animale l’ ha reso un compagno e servitore incondizionato. Nell’arte e nella letteratura , il cane rappresenta la fedeltà assoluta verso padroni spesso brutali.
L’ex presidente francese Charles de Gaulle dichiarò che, man mano che conosceva meglio gli esseri umani, si trovò ad amare sempre di più i cani. Sigmund Freud rivolse spesso il suo sguardo psico-analitico, a volte deviato, sulla questione. Egli vedeva i cani con un amore incondizionato verso gli amici ma capaci di mordere i nemici “a differenza degli umani che sono incapaci di amore puro e confondono l’amore con l’odio nelle loro relazioni.”
Era ovvio che la morte di un cane poliziotto in prima fila con le forze di sicurezza, avrebbe creato una stretta al cuore in una situazione già satura dopo gli eventi di Parigi. Potrebbe apparire insensibile e addirittura spietato, ma tali atti di commemorazione di animali morti sotto il fuoco nemico generano fissazioni.
Tralasciando l’apparente selettività geografica ed etnica della “Dieselmania”, andrebbero spese due parole per i milioni di animali che hanno servito l’uomo e la sua follia in guerre e conflitti. Sicuramente a nessuno di loro è stato chiesto se volevano essere bombardati o uccisi in battaglie a cui nemmeno le loro controparti umane sapevano spesso dare un senso. In un certo modo, l’altro lato di questo episodio al saccarosio, pone in secondo piano l’elevato numero di animali vittime di padroni bipedi impegnati ad ammazzarsi l’un l’altro.
Bisognerebbe essere sinceramente preoccupati del fatto che la vita e la morte di Diesel siano state usate a scopo patriottico. Questo istinto di commemorazione aveva già avuto luogo in passato, presumibilmente per contrastare l’ insensibiltà degli esseri umani nei confronti dei loro colleghi e compagni di guerra. Eppure questa tendenza rischia di santificare la battaglia che ha causato la morte dell’ animale.
In un meticoloso articolo sul Political Research Quarterly (2012) Steven Johnson afferma che “Il patriottismo diventa una minaccia non solo per la democrazia, ma per la vita stessa.” Riguardo alla discussione sui sacrifici del regno animale, Johnson afferma che tale minaccia “trova la sua espressione in una nuova forma di memoria civica dedicata agli animali.”
E’ da prendere seriamente in considerazione il ribaltamento dei ruoli proposto da Johnson. Gli animali vengono reclutati per morire a servizio del patriottismo umano, non animale. Massacrati, menomati e consumati, essi sono vittime silenziose che finiscono per essere riverite. In questo caso, essi diventano agenti consapevoli in nome della loro stessa specie. “In tempo di guerra animali come cani, cavalli, elefanti e muli sono obbligati a dare il loro contributo.” Ciò li rende servitori usa e getta in nome del paese, “non malgrado l’amore patriottico da loro professato, ma proprio a causa di esso”.
Per quanto riguarda Diesel, peccato per la guerra e peccato per la sua sorte, egli non era un essere umano mandato in guerra a servizio di un credo nazionalistico o patriottico che non capiva. Si potrebbe affermare con convinzione che Diesel sia la vera vittima. Verranno inscritte targhe e verrà eretta una statua in suo onore anche se, come affermava l’ ex veterano e veterinario William W. Putney, i cani non si costruiscono monumenti quando muoiono.
Fonte: www.counterpunch.org/
Link: http://www.counterpunch.org/2015/11/24/animals-in-conflict-diesel-dobrynya-and-sentimental-security/
24.11.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MAYA D’AMICO