DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.it
Sembra una maledizione, eppure è e sarà soltanto rubricato come un “incidente sul lavoro”, quale – a rigor di logica – è. Non ci sono dietrologie da affrontare né misteriosi mandanti – anche se la “Messina” sembra coinvolta (ricordiamo la “Jolly Rosso”) in affari poco chiari sui litorali calabresi, dei quali si narrò qualche anno fa – sui quali poi scese il silenzio: era tutta colpa di un mercantile/passeggeri affondato da un U-Boot durante la Prima Guerra Mondiale. Così riferì l’allora ministro Prestigiacomo e tutti s’arresero all’evidenza dei fatti, ovvero che c’era un solo relitto al largo delle coste calabre: erano sei? E chi lo dice? Un pentito inaffidabile.
Ma torniamo a Genova.
Una nave parte a macchina indietro e deve fare, ovviamente, manovra invertendo il moto dell’elica per mettere la prua verso il mare aperto: è una nave da 74.000 tonnellate, mica una barchetta.
Dove lo fa?
A 100 metri dalla torre di controllo dei piloti. A quella distanza avviene il drammatico dialogo fra il comandante di un rimorchiatore ed il pilota a bordo della “Jolly Nero”, riportato dal “Secolo XIX”:
Dal rimorchiatore: “Non avete più acqua” (sta a significare “siete quasi a terra”)
Dalla Jolly: “Non ho la macchina”.
Qui, ci può essere un dubbio: o la macchina s’era (per misteriose ragioni) arrestata oppure, più probabilmente, l’invertitore di marcia non aveva “ingranato”.
L’invertitore di moto è un meccanismo che consente, mantenendo uguale il senso di rotazione del motore, d’invertire il senso di rotazione dell’elica: semplificando, la “marcia indietro”.
Questi invertitori (spesso, sulle piccole barche) sono meccanismi robusti, ma che vanno usati in un certo modo: non è prudente azionarli da “avanti mezza” ad “indietro mezza” improvvisamente. Può andar bene, ma il rischio è quello di ritrovarsi con una pioggia d’ingranaggi in coperta ed uno “sgaragnac” che non tradisce nulla di buono.
Prudentemente, il motore va messo al minimo, s’aziona l’invertitore e poi si regolano i giri del motore.
Questo vale per le piccole barche: sulle grandi navi i comandi sono tutti oleodinamici (il comando azionato in plancia agisce su una pompa, che invia l’olio nelle tubolature in modo da ottenere l’effetto desiderato) e questo potrebbe essere un altro fattore da valutare per l’incidente.
Ci torna alla mente l’episodio della Amoco Cadiz (Bretagna, 1978), la quale – durante un fortunale – ruppe proprio il comando oleodinamico del timone: si ruppe una tubolatura nel locale agghiaccio timone. Cos’era successo?
I primi automatismi in campo navale erano proprio i sensori che misuravano la pressione dell’olio nei circuiti: rompendosi un tubo, la pressione scendeva e la pompa – azionata da un circuito automatico – “inviava” olio idraulico. Quando l’olio fu esaurito, da qualche parte s’accese una spia: era troppo tardi.
Va detto che le condizioni del mare erano proibitive e questo per capire l’ansia – e magari la disattenzione – dell’equipaggio.
A Genova tutto era tranquillo. Una domanda viene spontanea: perché ritenere “corretta” una manovra che porta la poppa di un simile bestione a cento metri (mezza gomena!) dalla torre di controllo dei piloti? Eppure, le procedure sono state “corrette” – affermano le autorità – e non ne dubitiamo.
Il problema, allora, è linguistico: “corretto” è sinonimo di “giusto”? Non mi pare.
Sarà “corretta”, ma sono manovre che contengono sempre – per le distanze e le masse in gioco – un inaccettabile fattore di rischio. Ecco la procedura di attracco a Multedo (Genova) per una petroliera di 300.000 tonnellate che sale, con rotta NNE, da Gibilterra verso Genova:
– Prima di Savona si riduce la velocità fino ad 8 nodi;
– Al traverso di Savona si stacca la macchina;
– Al traverso di Arenzano si dà un quarto, poi mezza macchina indietro, con la nave che avanza ancora a 3 nodi;
– Giunti quasi a Multedo la nave ha ancora un abbrivio di un nodo in marcia avanti, ma a quel punto il più è fatto.
Come potrete notare, sono mezzi che hanno un’inerzia spaventosa: 3,5 nodi a cento metri dalla banchina?!? “Corretto”?!?
Infine, apriamo una vecchia pagina che vale la pena d’andare a rivedere: il disastro della “Haven”, 1991.
A parte una “curiosità” – che non sapremo mai se relegarla nell’ambito della “casualità” – la Haven s’incendiò di fronte a Genova esattamente 15 ore (ore, non giorni!) dopo la tragedia del Moby Prince, avvenuta la sera prima a Livorno.
Che caso.
Per giorni e giorni, a Savona, fummo testimoni del più grave disastro ambientale del Mediterraneo: una striscia di fumo nero, pestilenziale, correva in cielo da Genova fin verso la lontana Francia.
Eppure, la Haven aveva superato i collaudi di routine pochi mesi prima. “Corretti”, ovvio.
Già, e qui s’incontra un altro attore di tanta “correttezza”: il RINA, Registro Navale Italiano al quale, ciclicamente sono affidati i collaudi delle imbarcazioni. Insomma, come la revisione delle autovetture.
Solo che qui i soldi in gioco sono tanti, mica devi solo cambiare un fanalino!
Secondo voi, dove vivono gli ispettori del RINA? Nella case popolari oppure nelle più lussuose ville?
Chi ha orecchie per intendere intenda, io mi fermo qui.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it/
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2013/05/ancora-una-volta.html
9.05.2013