ANCHE IN VIETNAM L'AFFLUENZA AL VOTO ERA STATA BUONA

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Nessun tipo di interpretazione strumentale per quanto articolata può riuscire a
nascondere l’ostilità degli Iracheni nei confronti dell’occupazione degli Stati
Uniti

DI SAMI RAMADANI

Il 4 Settembre 1967 il New York Times pubblicò la
storia vivace e celebrativa sulle elezioni presidenziali che erano state
organizzate dal regime fantoccio Sud Vietnamita al culmine della guerra in
Vietnam. Sotto il titolo “Gli Stati Uniti incoraggiati dal voto in Vietnam: I
funzionari parlano di una affluenza al voto dell’83% malgrado il terrore dei
Vietcong “, il giornale riportava che gli Americani “Erano rimasti sorpresi e
rincuorati” dalle dimensioni dell’affluenza alle urne “malgrado la campagna
terroristica condotta dai Vietcong allo scopo di impedire il voto “.
Un’elezione riuscita, continuava, “è stata lungamente vista come il punto
chiave nella politica del presidente Johnson di incoraggiare lo sviluppo dei
processi costituzionali nel Vietnam del Sud”. Gli echi della propaganda di
questo fine settimana sulle elezioni in Iraq paiono tanto vicini a tutto questo
da parere come irreali.Con la valanga di interpretazioni e letture che sono state date all‚evento e che
si sono susseguite senza sosta nei giorni scorsi, potreste pure essere perdonati
se pensaste che il 30 Gennaio 2005 l’occupazione dell’Iraq guidata dagli Stati
Uniti si è conclusa e che la gente Irachena ha guadagnato la propria libertà e
i propri diritti democratici. Questa è stata una campagna dai molti strati,
rievocativa del delirio prebellico sulle Armi di Distruzione di Massa e delle
fantasie sui fiori che gli Iracheni stavano raccogliendo da gettare alle forze
invasori. Come potreste far quadrare la parola democrazia, libera e corretta,
con la realtà brutale dell’occupazione, la legge marziale, una commissione
elettorale nominata dagli Stati Uniti e candidati segreti, una realtà alla
quale raramente è stato permesso di mettersi sulla strada dell‚ingannevole
campagna per promuovere le elezioni.

Se è la verità ad essere la prima vittima della guerra, in un’elezione
controllata dall‚occupazione a venir sacrificata per prima è qualunque cifra
che si possa ritenere affidabile. Il secondo strato della propaganda era stato
appunto designato allo scopo di convincerci che una stragrande maggioranza degli
Iracheni ha partecipato al voto. L’annuncio che è stato dato inizialmente di una
partecipazione alle elezioni del 72% è andato velocemente retrocedendo al 57% di
coloro che erano registrati per votare. Così che viene da chiedersi, ma quale è
la percentuale della popolazione adulta che era registrata per il voto?
L’ambasciatore Iracheno a Londra non è stato in grado di illuminarmi al
riguardo. Infatti, come confermato da fonti delle Nazioni Unite, non è stato
tenuto alcun registro o pubblicata alcuna lista degli elettori – tutto quello
che ci viene raccontato è che circa 14 milioni di persone erano autorizzate a
votare. Il sud Iracheno, più religioso di quanto non sia Baghdad, ha risposto
positivamente alla posizione presa dal Grand Ayatollah Al-Sistani: mettere a
nudo il bluff degli Stati Uniti e votare per una lista che si è proclamata
essere ostile all’occupazione. I sostenitori di Sistani hanno dichiarato che il
voto di Domenica è stato il primo passo per cacciare fuori dal paese gli
occupanti. Durante i prossimi mesi queste dichiarazioni verranno messe a dura
prova. Nel frattempo il movimento popolare di Moqtada Al-Sadr, che ha rifiutato
le elezioni definendole una finzione, è probabile che faccia ritorno alla
propria aperta resistenza all’occupazione.

Il grande voto nel Kurdistan riflette soprattutto la richiesta della gente Curda
per la autodeterminazione nazionale. La amministrazione degli Stati Uniti fino
ad ora è riuscita a tenere a bada queste pressioni. La recente proposta
avanzata da Henry Kissinger di dividere l’Iraq in tre differenti stati riflette
uno spostamento importante fra le figure più influenti negli Stati Uniti che,
guidati da Kissinger come Segretario di Stato, avevano abbandonato i Curdi
negli anni 70 e agito come intermediari in un affare fra Saddam e lo Shah
dell’Iran.

Domenica scorsa George Bush e Tony Blair hanno fatto discorsi eroici con i quali
hanno insinuato che gli Iracheni hanno votato per approvare l’occupazione.
Coloro che insistono che gli Stati Uniti sono disperatamente alla ricerca di
una uscita strategica dall’Iraq, stanno interpretando erroneamente le loro
intenzioni. I fatti concreti, compresa la costruzione di enormi basi militari
in Iraq, indicano che gli Stati Uniti stanno dandosi da fare per installare e
sostenere un regime fantoccio di lunga durata. Per questo motivo, la presenza
militare guidata dagli Stati Uniti continuerà, con tutto ciò che questo
richieda in termini di massacro e distruzione.

Nella rincorsa alle elezioni, gran parte dei media occidentali si sono dati da
fare per presentarle come se fossero un duello alla Œmezzogiorno di fuoco‚ fra
il terrorista Zarqawi e la gente Irachena, con le forze di occupazione a fare
del loro meglio per permettere alla gente di sconfiggere il diabolico assassino
Giordano con una gamba sola. In realtà, la violenza settaria nello stile di
Zarqawi non è solo condannata dagli Iracheni attraverso tutto lo spettro
politico, compresi i sostenitori della resistenza, ma è ampiamente vista come
un utile strumento verso il quale le autorità di occupazione chiudono un
occhio. Tali interpretazioni vengono rifiutate dagli stranieri, ma il record di
John Negroponte, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Baghdad, nel sostegno a
gruppi dediti al terrore nell‚America Centrale durante gli anni 80 ha fornito
ampio credito a questo tipo di timori, come hanno poi fatto i reportage di
Seymour Hersh sulle squadre assassine del Pentagono e sull’entusiasmo per
“l’opzione El Salvador”.

Un’analisi onesta della mappa sociale e politica dell’Iraq rivela che gli
Iracheni sono sempre più uniti nella loro determinazione a porre fine a questa
occupazione. Sia che abbiano partecipato o che abbiano boicottato
l’esercitazione di Domenica scorsa, questo legame politico presto si
riaffermerà – tanto come fece in Vietnam – malgrado le differenze tattiche e
malgrado i tentativi dell’occupazione degli Stati Uniti di dominare gli
Iracheni infiammando divisioni settarie ed etniche. è un rifugiato politico del precedente regime di Saddam Hussein ed
è un docente universitario all’Università Metropolitana di Londra.
E-mail:[email protected]
Fonte:http://www.guardian.co.uk/
2.01.05

Pubblicato anche su www.peacelink.it

Tradotto da Melektro per www.peacelink.it

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