DI JAMES PETRAS
Global Research
La struttura di potere del sistema imperiale mondiale può meglio essere compresa attraverso una classificazione delle nazioni secondo la loro organizzazione politica, economica, diplomatica e militare.
Introduzione:
Il sistema imperiale è molto più complesso di quello a cui comunemente si fa riferimento come “Impero USA”. L’Impero Statunitense, con la sua rete diffusa di investimenti finanziari, di basi militari, di corporations multinazionali e di stati vassalli, è semplicemente lil componente più importante del sistema imperiale globale. (1)
Ciò nondimeno, risulta eccessivamente semplicistico trascurare le complesse gerarchie, le architetture, gli stati satelliti e le clientele che definiscono l’attuale sistema imperiale. (2)
Per capire l’impero e l’imperialismo di oggi ci viene richiesto di guardare al sistema complesso e mutevole delle stratificazioni imperiali.La Gerarchia Imperiale
La struttura di potere del sistema mondiale imperiale può meglio essere compresa attraverso una classificazione delle nazioni secondo la loro organizzazione politica, economica, diplomatica e militare. Quello che segue è lo schema di questo sistema:
I. Gerarchia dell’Impero (dall’alto verso il basso)
A. Stati Centrali Imperiali (CIS)
B. Potenze Imperiali di recente Emergenti (NEIP)
C. Regimi Vassalli Semi-autonomi (SACR)
D. Regimi Vassalli Collaboratori (CCR)
II. Stati Indipendenti:
A. Rivoluzionari
Cuba e Venezuela
B. Nazionalisti
Sudan, Iran, Zimbabwe, Corea del Nord
III. Aree di contrasti e Regimi in Transizione
Resistenze armate, regimi eletti, movimenti sociali
Al vertice del sistema imperiale stanno gli stati imperiali la cui potenza si proietta su larga scala, le cui classi dirigenti dominano i mercati degli investimenti finanziari e che sono invasivi delle economie del resto del mondo. All’apice del sistema imperiale stanno gli USA, l’Unione Europea (anche questa con tante stratificazioni) e il Giappone. Sotto la loro guida, gli Stati Uniti hanno istituito reti “di stati a seguito dell’impero” (in larga misura egemoni regionalmente) e stati satelliti o vassalli che frequentemente agiscono come surrogati di forze militari.
Gli stati imperiali agiscono di concerto per abbattere gli ostacoli alla loro penetrazione e alla loro presa di controllo, mentre allo stesso tempo, sono in competizione per acquisire vantaggi per gli interessi del loro stesso stato e delle loro multinazionali.
Subito sotto i principali stati imperiali, si trovano le potenze imperiali di recente emergenti (NEIP), vale a dire la Cina, India, Canada, Russia ed Australia.
Gli stati NEIP sono soggetti sì alla penetrazione imperiale, ma si espandono a loro volta verso regioni e paesi confinanti e d’oltremare, in via di sviluppo, ricchi di materie prime e di risorse estrattive. I NEIP sono vincolati agli stati ad impero centrale (CIS) attraverso joint ventures al loro stesso interno, e nel contempo sono in competizione crescente per il controllo delle materie prime nei paesi sottosviluppati. Abitualmente, questi stati “seguono le orme” delle potenze imperiali, e in molti casi traggono profitto dai conflitti per migliorare la loro stessa posizione.
Ad esempio, l’espansione oltremare della Cina e dell’India punta tutto sugli investimenti riguardanti i minerali estrattivi e nei settori energetici, per rifornire di energia la loro industrializzazione interna, in modo del tutto simile alle antiche (1880-1950) pratiche imperiali degli USA e dell’Europa. In modo analogo, la Cina investe nei paesi Africani, che sono in conflitto con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, proprio come gli USA hanno sviluppato legami con regimi anti-coloniali (Algeria, Kenya e l’Africa francofona) in conflitto con i loro ex dominatori coloniali Europei degli anni Cinquanta e Sessanta.
A seguire, nella gerarchia del sistema imperiale arrivano i “regimi vassalli semi-autonomi”(SACR). Questi includono il Brasile, la Corea del Sud, il Sud Africa, Taiwan, Argentina, l’Arabia Saudita, il Cile e di recente la Bolivia. Questi stati possiedono a loro sostegno una sostanziale base economica nazionale, attraverso la proprietà
pubblica e privata di settori economici chiave. Questi stati sono governati da regimi che aspirano a mercati diversificati, benché altamente dipendenti dalle esportazioni verso gli stati imperiali emergenti. D’altro canto, questi stati sono grandemente dipendenti dalla protezione militare degli stati imperiali (Taiwan, la Corea del Sud e l’Arabia Saudita) e mettono a disposizione basi militari regionali per operazioni imperiali.
Molti sono esportatori di risorse essenziali (Arabia Saudita, Cile, Nigeria e la Bolivia) e spartiscono entrate e profitti con le multinazionali degli stati imperiali. Questi inglobano paesi che rapidamente si sono industrializzati (Taiwan e la Corea del Sud), e stati che esportano nell’ambito agro-minerale (Brasile, Argentina e Cile).
Gli stati ricchi di petrolio intrattengono stretti legami con quei settori che regolano i sistemi finanziari dei paesi imperiali ed investono pesantemente nei mercati immobiliari, in meccanismi finanziari e in buoni del Tesoro, finanziando così i deficits negli USA ed in Inghilterra. .
Su questioni essenziali, come le guerre imperiali in Medio Oriente, l’invasione di Haiti, quelle relative a regimi destabilizzanti in Africa, come l’appoggio a politiche globali neo-liberiste e prese di controllo imperiali di settori strategici, questi stati collaborano con gli stati dominanti appartenenti ai CIS e alle NEIP. Nondimeno, a causa degli interessi di elites potenti e in qualche caso di efficaci movimenti sociali nazionali, i SACR entrano in limitati conflitti con le potenze imperiali.
Ad esempio, il Brasile, il Cile e l’Argentina contrastano i tentativi degli USA di insidiare il governo nazionalista Venezuelano. Questi governi intrattengono con il Venezuela vantaggiose relazioni commerciali, nel campo dell’energia e degli investimenti. Per giunta, non desiderano avvalorare golpe militari, cosa che potrebbe minacciare la loro stessa autorità e legittimazione agli occhi di un elettorato favorevole al Presidente Chavez.
Mentre dal punto di vista strutturale sono profondamente integrati nel sistema imperiale, i regimi SACR mantengono un grado di autonomia nel formulare la loro politica estera ed interna, anche se possono entrare in conflitto o in competizione con gli interessi imperiali. Malgrado la loro “relativa autonomia”, questi regimi forniscono anche
mercenari militari e politici al servizio delle nazioni imperiali. Questo viene ben illustrato nel caso di Haiti. Successivamente all’invasione Statunitense e dopo il rovesciamento del governo regolarmente eletto di Aristide nel 2004, gli USA sono riusciti ad assicurare una forza di occupazione attraverso i regimi dal completo vassallaggio o vassalli in modo “semi-autonomo”. Il Presidente Lula del Brasile ha inviato il contingente più importante.
Un Generale Brasiliano è stato messo al comando dell’intera forza militare. Il Cileno Gabriel Valdez ha assunto la direzione dell’amministrazione di occupazione delle Nazioni Unite, come funzionario superiore a sovrintendere la sanguinosa repressione dei movimenti di resistenza Haitiani. Altri stati satelliti “semi- autonomi”, come l’Uruguay e la Bolivia, hanno contribuito con i loro contingenti militari in aggiunta a militari provenienti da regimi a pieno vassallaggio come quelli di Panama, Paraguay, Colombia e Perù. Sempre nel caso di Haiti, il Presidente Evo Morales giustificava la collaborazione militare continuativa della Bolivia con gli USA sotto
la sua presidenza, con il citare il suo ruolo di “rafforzamento della pace”, sapendo bene che tra il dicembre del 2006 e il febbraio 2007 le ragioni della povertà Haitiana erano state stracciate durante l’invasione totale dell’ONU delle baraccopoli più misere e più densamente popolate di Haiti.
Il punto teorico cruciale è che, dato che la situazione corrente di Washington è condizionata da due guerre nel Medio Oriente e in Asia Occidentale, gli USA fanno assegnamento sui loro satelliti per controllare e reprimere nelle altre parti del mondo i movimenti antimperialisti.
In Somalia, come in Haiti, è avvenuta una invasione di mercenari dall’Etiopia, addestrati, finanziati, armati e guidati da consiglieri militari Statunitensi. Subito dopo, durante l’occupazione, Washington è subentrata a salvaguardare i suoi vassalli Africani, (mediante la cosiddetta Organizzazione dell’Unità Africana attraverso l’azione di
un tirapiedi della Casa Bianca, il portavoce dell’Esercito Ugandese, Capitano Paddy Ankunda), inviando un esercito mercenario di occupazione per appoggiare il suo impopolare cliente, il governatore della Somalia e signore della guerra. Malgrado l’opposizione del suo Parlamento, l’Uganda sta inviando 1500 mercenari, e con questi sono in arrivo contingenti dalla Nigeria, Burundi, Ghana e Malawi.
Al fondo della scala gerarchica imperiale stanno i regimi vassalli collaboratori (CCR). Questi comprendono l’Egitto, la Giordania, gli Stati del Golfo, Stati del Centro America e delle Isole Caraibiche, l’Asse degli Stati Sub-Sahariani (ASS) (vale a dire il Kenya, Uganda, Etiopia, Rwanda e Ghana), la Colombia, il Perù, il Paraguay, il
Messico, Stati dell’Europa dell’Est (inclusi o no nell’Unione Europea), Stati dell’ex Unione Sovietica (Georgia, Ucraina, Kazakhstan, Lettonia, etc), le Filippine, l’Indonesia, il Nord Africa e il Pakistan.
Questi paesi sono governati da elites politiche autoritarie, che dipendono dal potere imperiale o dagli stati di tipo NEIP per armamenti e supporto finanziario e politico. Costoro mettono a disposizione larghe opportunità per lo sfruttamento e l’esportazione di materie prime essenziali. A differenza dei SACR, le esportazioni dai regimi satelliti hanno scarso valore aggiunto, visto che i processi industriali con l’uso delle materie prime avvengono nei paesi imperiali, particolarmente nei NEIP.
A dirigere i CCR sono le elites predatrici, parassite, compradore e cleptocratiche, che mancano di qualsiasi vocazione imprenditoriale.
Costoro frequentemente forniscono soldati mercenari a servire i paesi imperiali che intervengono, conquistano, occupano ed impongono regimi clientelari nei paesi presi di mira. Quindi, i regimi clientelari diventano collaboratori in subordine delle potenze imperiali nel saccheggio delle ricchezze, nello sfruttamento di milioni di lavoratori e nello spostamento di masse contadine e conseguente distruzione dell’ambiente.
La struttura del sistema imperiale si fonda sul potere delle classi dominanti ad esercitare e a progettare il potere dello stato e del mercato, a mantenere il controllo delle relazioni di sfruttamento classista in casa e all’estero, e ad organizzare eserciti mercenari mediante i loro stati vassalli. Guidati e comandati da ufficiali imperiali, gli eserciti mercenari collaborano nel distruggere i movimenti popolari autonomi e nazionalisti e gli stati indipendenti.
I regimi satelliti costituiscono una rete di collegamento essenziale a sostenere le potenze imperiali. Questi regimi sono complemento alle forze di occupazione imperiali, favorendo l’estrazione delle materie prime. Senza i “mercenari di colore”, le potenze imperiali dovrebbero estendere e allargare in modo eccessivo le loro stesse forze
militari, provocando così alti livelli di opposizione interna, ed all’esterno una resistenza sempre più in aumento a guerre manifeste di ri-colonizzazione. Inoltre, i mercenari clientelari sono meno costosi in termini finanziari e riducono le perdite di soldati imperiali.
Questi sono i termini eufemisticamente usati per descrivere queste forze militari mercenarie satellitari: fra gli altri, Nazioni Unite, Organizzazione degli Stati americani ed Organizzazione dei ‘peacekeepers’ dell’Unità Africana, la ‘Coalizione dei Volonterosi’.
In molti casi, un gruppo ristretto di ufficiali di alto grado, bianchi ed imperiali, comandano ufficiali inferiori e soldati di colore degli eserciti mercenari.
Stati Indipendenti e Movimenti
Il sistema imperiale, mentre si pone a cavalcioni sul globo e penetra in profondità all’interno delle società, delle economie e degli stati, non è ne’ onnipotente ne’ onnisciente.
Sfide al sistema imperiale arrivano da due fonti: gli stati relativamente indipendenti e i movimenti forti socialmente e politicamente.
Gli stati “indipendenti” sono regimi che si oppongono e per questo sono presi di mira dagli stati imperiali. Questi “indipendenti” includono il Venezuela, Cuba, l’Iran, la Corea del Nord, il Sudan e lo Zimbabwe. Quello che caratterizza questi regimi come ‘indipendenti’ è la loro volontà di respingere le politiche delle potenze imperiali, e in particolar modo gli interventi militari imperiali. Inoltre respingono le pretese imperialiste di accesso incondizionato ai mercati, di risorse e di basi militari.
Questi regimi si differenziano notevolmente in termini di politiche sociali, dall’entità del sostegno popolare, dalle loro identità secolari-religiose, dallo sviluppo economico e dalla consistenza nell’opporsi alle aggressioni imperialiste.
Tutti fanno fronte a minacce militari e/o a programmi destabilizzanti, volti a rimpiazzare i governi indipendenti con regimi fantoccio.
Aree di contrasti
Le gerarchie e le strutture imperiali sono basate sulle relazioni di classe e nazionali di potere. Questo significa che il mantenimento dell’intero sistema si regge sulle classi dirigenti che dominano le popolazioni sottostanti – una situazione densa di problematiche, data la disparità di distribuzione di costi e benefici tra governanti e governati.
Attualmente, in numerosi paesi, resistenze armate di massa e movimenti sociali sfidano il sistema imperiale. Le aree di contrasti includono: Iraq, Afghanistan, Colombia, Somalia, Palestina, Sudan e Libano, dove resistenze armate stanno cercando di abbattere i vassalli imperiali. Siti di opposizione di massa comprendono la Bolivia, Ecuador, Venezuela ed Iran, dove le potenze imperiali sono decise a scalzare regimi indipendenti di recente elezione. Movimenti sociali su larga scala, organizzati per combattere i regimi clientelari e i protettori dell’impero, sono apparsi di recente in Messico, Palestina, Libano, Cina, Ecuador e in molti altri paesi.
All’interno degli stati imperiali esiste un’opposizione di massa contro guerre specifiche e contro le politiche imperiali, ma questa opposizione viene esercita solo da piccoli e deboli movimenti antimperialisti.
L’Anomalia: Israele nel Sistema Imperiale
Israele è sicuramente una potenza colonialista, in possesso del quarto o quinto arsenale nucleare più fornito, ed è il secondo più rilevante esportatore di armi nel mondo.
Comunque, il suo tipo di popolazione, la sua espansione territoriale e la sua economia sono sparute rispetto alle potenze imperiali e alle potenze imperiali di recente emergenti. Malgrado queste limitazioni, Israele esercita un potere supremo nell’influenzare la direzione della politica di guerra degli Stati Uniti in Medio Oriente attraverso un potente apparato politico Sionista, che permea lo Stato, i mezzi di informazione di massa, i settori delle elites economiche e la società civile. (3a) Attraverso l’influenza politica diretta di Israele nella produzione della politica estera degli USA, come pure attraverso la sua collaborazione militare esterna con i regimi dittatoriali vassalli dell’impero, Israele può essere considerata parte della configurazione delle potenze imperiali, malgrado i suoi limiti demografici, la quasi universalistica condizione di paria della sua diplomazia, e la sua economia sostenuta dall’esterno.
Regimi in Transizione
Il sistema imperiale è decisamente asimmetrico, in costante disequilibrio e quindi in cambiamento costante – così guerre, contese di classe e nazionali esplodono e crisi economiche abbattono regimi e portano al potere nuove forze politiche.
In tempi recenti abbiamo assistito alla rapida mutazione della Russia, che dal ruolo di contendente egemonico mondiale (prima del 1989) si è trasformata in uno stato imperiale vassallo sottoposto ad un saccheggio mai visto in precedenza (1991-1999), fino all’attuale posizione di stato imperiale di recente emergente.
Sebbene la Russia costituisca uno dei casi più drammatici di cambiamenti rapidi e profondi nel sistema imperiale mondiale, altre esperienze storiche esemplificano l’importanza di cambiamenti politici e sociali nel dare forma al sistema imperiale mondiale attraverso la rete di relazioni fra i paesi.
La Cina e il Vietnam, ex stati baluardi indipendenti antimperialisti, hanno visto l’ascesa di elites liberal-capitaliste, lo smantellamento delle loro economie socialiste e l’incorporazione della Cina nelle potenze imperiali di recente emergenti e il Vietnam trasformato in un regime vassallo semi-autonomo.
Le più importanti mutazioni durante gli anni Ottanta e Novanta si sono realizzate con la trasformazione di stati indipendenti antimperialisti in regimi imperiali satelliti. Nell’emisfero Occidentale, queste transizioni sono avvenute in Nicaragua, Cile, Bolivia, Argentina, Giamaica e Grenada. In Africa, in Angola, Mozambico, Guinea Bissau, Algeria, Etiopia e Libia, tutti stati convertiti in regimi clientelari cleptocratici. In Asia processi simili sono in corso nell’Indocina.
A causa delle disastrose conseguenze delle politiche centrate sull’imperialismo amministrate da regimi satelliti, il primo decennio del nuovo millennio è stato testimone di una serie di agitazioni popolari di massa e di cambiamenti di regime, in particolar modo nell’America Latina.
Insurrezioni popolari in Argentina e in Bolivia hanno provocato spostamenti di regime da situazioni di vassallaggio a quelle di satelliti semi-autonomi. In Venezuela, dopo un fallito colpo di stato ed una campagna di destabilizzazione, il regime di Chavez si è trasformato decisamente da regime clientelare semi-autonomo ad una posizione indipendente antimperialista.
Continuando i conflitti tra stati imperiali ed antimperialisti, tra regimi satelliti e movimenti nazionalisti, tra stati imperiali e stati imperiali di recente emergenti, allora muterà la struttura del sistema imperiale. I risultati di questi conflitti produrranno nuove coalizioni fra le principali forze che compongono la gerarchia imperiale e i loro avversari. Quello che risulta chiaro da queste considerazioni è che non esiste un unico onnipotente “stato imperiale” che unilateralmente definisce il sistema internazionale o
quello imperiale.
Anche lo stato imperiale più potente si dimostra incapace di unilateralismo (o con i vassalli e con i partners imperiali) quando deve sbaragliare o solamente contenere la resistenza popolare anti- coloniale in Iraq o in Afghanistan.
I successi più rilevanti dalla politica imperiale si sono realizzati quando gli stati imperiali sono stati in grado di mettere in campo forze militari dei regimi semi-autonomi o vassalli, assicurando così una copertura regionale (OAS, OAU e NATO) o dell’ONU, a legittimare le loro conquiste. Le elites collaborazioniste degli stati satelliti
o semi- indipendenti sono collegamenti essenziali a mantenere e consolidare il sistema imperiale e, in particolare, l’Impero Statunitense.
Un caso specifico è l’intervento degli USA in Somalia con il conseguente rovesciamento del regime Islamico.
Il caso della Somalia: maschere nere – facce bianche
La recente invasione della Somalia da parte dell’Etiopia (nel dicembre 2006) e il rovesciamento dell’Unione delle Corti Islamiche, che de-facto governavano, e l’imposizione di un sedicente “governo di transizione” di signori della guerra è un eccellente caso per studiare la centralità dei regimi collaborazionisti nel sostenere l’espansione dell’Impero USA.
Dal 1991, con la caduta del governo di Siad Barre, fino a metà del 2006, la Somalia è stata devastata da conflitti e faide fra signori della guerra con basi in domini feudatari controllati dai clan. (3) Durante l’invasione USA/ONU e l’occupazione temporanea di Mogadiscio, a metà degli anni Novanta, sono avvenuti massacri di più di 10.000 civili Somali, e l’uccisione e il ferimento di poche dozzine di soldati USA/ONU. (4)
Durante gli anni Novanta che vedevano l’assenza di ogni forma di legalità, piccoli gruppi locali, i cui leaders più tardi davano luogo all’Unione delle Corti Islamiche (ICU), cominciarono ad organizzarsi in strutture di natura comunitaria contro i saccheggi dei signori della guerra. Il loro successo derivava dalla costruzione di movimenti di natura comunitaria, che contrastavano le fedeltà tribali e di clan; l’ICU cominciò a mettere fuori gioco i signori della guerra, dando un taglio ai pagamenti estorsivi imposti sui commerci e sulle famiglie. (5)
Nel giugno 2006, questa libera coalizione di preti Islamici, giuristi, lavoratori, forze di sicurezza e commercianti cacciava dalla capitale Mogadiscio i più potenti signori della guerra. L’ICU guadagnava l’appoggio più ampio fra una moltitudine di venditori dei mercati e della gente di commercio. Nella totale assenza di qualcosa che assomigliasse ad un governo, l’ICU cominciò a fornire sicurezza, il governo della legge e la protezione delle famiglie e delle proprietà contro i criminali predatori. (6)
Una rete estensiva di centri e programmi per l’assicurazione dello stato sociale, cliniche sanitarie, mense gratuite per i poveri e scuole elementari venivano costituite per servire il grande numero di profughi, contadini sradicati dalle loro terre e i poveri delle città.
Questo accrebbe l’appoggio popolare in favore dell’ICU.
Dopo aver mandato via l’ultimo dei signori della guerra da Mogadiscio e dal resto del paese, l’ICU insediava un governo de- facto, che veniva riconosciuto e ben accettato dalla stragrande maggioranza dei Somali e il consenso rivestiva il 90% della popolazione. (7a) Ad ogni buon conto, anche coloro che erano contrari all’ICU facevano notare che il popolo Somalo dava il benvenuto alla fine della legge dei signori della guerra e al ristabilirsi della legalità e dell’ordine, sotto il controllo dell’ICU.
I fondamenti del consenso popolare per le Corti Islamiche durante il loro breve periodo di governo, dal giugno al dicembre 2006, poggiavano su diversi fattori.
L’ICU aveva messo in atto un’amministrazione abbastanza onesta, che aveva messo fine al regime di corruzione e di estorsioni dei signori della guerra.
La sicurezza personale e le proprietà private venivano protette, i sequestri arbitrari e i rapimenti da parte dei signori della guerra e dei loro criminali armati erano terminati.
L’ICU è un movimento esteso multitendenziale, che include Islamisti moderati e radicali, politici civili e combattenti armati, liberali e populisti, elettoralisti e assolutisti. (7) Cosa più importante, le Corti hanno avuto successo nell’unificare il paese e nel creare qualche parvenza di nazione, superando la frammentazione dei clan.
Nel processo di unificazione del paese, il governo delle Corti Islamiche ha riaffermato la sovranità Somala e l’opposizione all’intervento imperialista Statunitense in Medio Oriente ed in particolare nel Corno d’Africa attraverso il suo regime vassallo, l’Etiopia.
Intervento USA: le Nazioni Unite, l’occupazione militare, i signori della guerra e i mandatari
La storia recente dei tentativi degli Stati Uniti per incorporare la Somalia nella loro rete di stati vassalli Africani ha avuto inizio durante i primi anni Novanta, sotto la Presidenza Clinton. (8)
Mentre molti commentatori attualmente e giustamente fanno riferimento a Bush come ad un ossessionato fomentatore guerrafondaio a causa delle sue guerre in Iraq e in Afghanistan, costoro dimenticano che il Presidente Clinton, a suo tempo, si era impegnato in diverse azioni belliche simultanee e sequenziali in Somalia, Iraq, Sudan e contro la Jugoslavia.
Le azioni militari e gli embarghi di Clinton hanno ucciso e mutilato migliaia di Somali, hanno prodotto 500.000 morti solo di bambini Iracheni, e causato fra i civili nei Balcani migliaia di morti e feriti.
Clinton ha ordinato la distruzione del più importante stabilimento farmaceutico del Sudan, che produceva vaccini indispensabili e farmaci essenziali sia per gli uomini che per il bestiame, procurando una drammatica carenza di questi vaccini e di trattamenti fondamentali. (9)
Il Presidente Clinton aveva inviato nel 1994 migliaia di soldati USA in Somalia ad occupare il paese, sotto la fattispecie di “missione umanitaria”. (10)
Washington interveniva per favorire quei signori della guerra compiacenti con gli USA contro gli altri, contro il parere dei comandanti Italiani delle truppe ONU in Somalia.
Due dozzine di militari USA rimanevano uccisi in un tentativo di assassinio mal congegnato, e i loro corpi mutilati venivano trascinati per le strade della capitale Somala da una folla inferocita. Washington inviava navi portaelicotteri, che bombardavano pesantemente le aree popolate di Mogadiscio, ammazzando e mutilando per rappresaglia migliaia di civili.
Alla fine, gli USA furono costretti al ritiro delle loro forze armate, visto che l’opinione pubblica e del Congresso si era capovolta in modo schiacciante contro la piccola guerra caotica di Clinton. Anche le Nazioni Unite, che non avevano più bisogno di fornire una copertura all’intervento Statunitense, si ritirarono.
La politica di Clinton virava verso la protezione di un sottoinsieme di signori della guerra, vassalli degli USA, contro gli altri, una politica che è continuata sotto l’Amministrazione Bush. L’attuale ‘Presidente’ del regime fantoccio degli USA, soprannominato “Governo Federale di Transizione (TFG)”, è Abdullahi Yusuf.
Costui è un veterano signore della guerra, profondamente coinvolto nella corruzione e in tutti i saccheggi illegali che hanno caratterizzato la Somalia dal1991 fino al 2006. (12) Per tutti gli anni Novanta, Yusuf è stato Presidente del sedicente stato autonomo separatista del Puntland.
Malgrado il sostegno finanziario degli USA e dell’Etiopia, Abdullahi Yusuf e la comunella dei suoi signori della guerra finalmente nel giugno 2006 sono stati cacciati da Mogadiscio e dall’intera parte centro-meridionale del paese.
Yusuf trovava rifugio e veniva messo all’angolo in una sola città di provincia sul confine con l’Etiopia e mancava di qualsiasi base sociale di appoggio, anche da parte di molti clan di signori della guerra ancora presenti nella capitale.(13) Alcuni signori della guerra avevano ritirato il loro sostegno a Yusuf e avevano accettato le proposte dell’ICU di disarmarsi e di integrarsi nella società Somala, con la sottolineatura del fatto che il fantoccio di Washington, isolato e indegno, non poteva più essere considerato un fattore reale politico o militare in Somalia.
Tuttavia, Washington si assicurava una risoluzione dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU che riconosceva al signore della guerra Yusuf, nella minuscola enclave di Baidoa, il governo legittimo. Questo avveniva malgrado il fatto che l’esistenza del TFG dipendesse dalla presenza di un contingente di diverse centinaia di mercenari Etiopi finanziati dagli Stati Uniti.
Appena le truppe dell’ICU mossero verso occidente per espellere Yusuf dalla sua ridotta sul confine – comprendente meno del 5% del paese – gli USA aumentarono i loro finanziamenti per il regime dittatoriale di Meles Zenawi in Etiopia per l’invasione della Somalia. (14) Malgrado gli impedimenti, un gran numero di consiglieri militari USA hanno preparato i mercenari Etiopi per un’invasione della Somalia su larga scala, per terra e per via aerea, in modo da rimettere al potere il loro signore della guerra fantoccio Yusuf.
Meles Zenawi, il dittatore dell’Etiopia, dipende in modo pesante dagli armamenti USA per le forze di polizia e per l’esercito, dai prestiti finanziari e dai consiglieri Statunitensi, per conservare il potere per il suo regime, che si fonda sulla base etnica ‘Tigrayan’, e per resistere su un’area contesa con la Somalia.
Il gruppo etnico Tigrayan rappresenta meno del 10% della popolazione multi etnica dell’Etiopia. Meles ha dovuto affrontare la crescente opposizione armata da parte dei movimenti di liberazione Oromo ed Olandese. (15)
Il suo regime veniva disprezzato dalla popolazione degli Amhara, influente nella capitale, per aver truccato le elezioni nel maggio 2005, per avere fatto uccidere, nell’ottobre 2006, 200 studenti che protestavano e per avere imprigionato decine di migliaia di persone. (16)
Molti ufficiali dell’esercito gli si sono opposti per avere intrapreso una guerra senza speranza di riuscita con l’Eritrea.
Meles, privo di qualsiasi sostegno popolare, è diventato il vassallo degli USA più leale e servile nella regione. Imitando in modo imbarazzante come un pappagallo la retorica “anti-terroristica” imperiale di Washington per la sua aggressione contro la Somalia, Meles ha inviato più di 15.000 soldati, centinaia di veicoli corazzati, dozzine di elicotteri ed aerei da guerra contro la Somalia. (17)
Conclamando che stava impegnandosi nella “Guerra contro il terrorismo”, Meles terrorizzava il popolo della Somalia con bombardamenti aerei e con una tattica da terra bruciata. In nome della “sicurezza nazionale”, Meles inviava le sue truppe a liberare dall’accerchiamento il signore della guerra, fantoccio degli USA, Abdullahi Yusuf.
Washington coordinava le sue forze aeree e navali con l’avanzata della valanga militare degli invasori Etiopi. Come i mercenari Etiopi, con consiglieri USA, avanzavano via terra, allora l’aviazione da guerra USA bombardava i Somali in fuga ammazzandoli, presumibilmente a caccia di simpatizzanti di Al Queda. (18) Secondo resoconti affidabili, che più tardi sono stati confermati dalle fonti degli USA e del fantoccio Somalo, le forze armate USA ed Etiopi non hanno potuto identificare nemmeno un leader di Al Queda dopo l’esame di un gran numero di combattenti o profughi morti o fatti prigionieri. (19)
Quindi, ancora una volta, il pretesto di invadere la Somalia usato da Washington e dal suo satellite Etiope – che l’ICU veniva attaccata perché dava rifugio ai terroristi di Al Queda – si dimostrava essere un falso.
Le forze navali USA illegalmente impedivano a tutte le navi l’accesso alla costa della Somalia, per ostacolare la fuga dei leaders Somali. In Kenya, Washington impartiva direttive al suo vassallo di Nairobi di catturare e inviare oltre confine i Somali in fuga. Sotto la direzione di Washington, sia le Nazioni Unite che l’Organizzazione per l'”Unità” (sic) Africana concordavano di inviare un esercito di occupazione di ‘peace-keepers’ per proteggere il regime fantoccio di Yusuf imposto dagli Etiopi.
Data la precaria posizione interna di Meles, questo non poteva permettersi di mantenere a lungo in Somalia il suo esercito di occupazione di 15.000 mercenari. (20) I Somali avevano odiato gli occupanti Etiopi fin dal primo giorno dell’ingresso di costoro a Mogadiscio. Erano avvenute dimostrazioni di massa ogni giorno e si erano succeduti incidenti di resistenza armata da parte di combattenti dell’ICU, che si erano riorganizzati, da parte di militanti locali e di signori della guerra anti-Yusuf. (21)
L’occupazione Etiope sotto la direzione USA aveva dato seguito al ritorno degli stessi signori della guerra che avevano saccheggiato il paese tra il 1991-2005. (22)
Molti giornalisti, esperti e osservatori indipendenti riconoscono che senza la presenza di un appoggio “esterno” – vale a dire la presenza di almeno 10.000 mercenari (‘peacekeepers’) Africani finanziati dagli USA e dall’Unione Europea – il regime di Yusuf sarebbe collassato nel giro di giorni, se non di ore.
Washington conta su un’informale coalizione di vassalli Africani, l’Asse degli Stati Sub-Sahariani (ASS) – una specie di “Associazione di Tirapiedi Sub-Sahariani” – per reprimere le agitazioni di massa del popolo Somalo e per impedire il ritorno delle popolari Corti Islamiche.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che non avrebbero inviato un esercito di occupazione fino a quando i contingenti militari ‘ASS’ dell’Organizzazione dell’Unità Africana non avessero pacificato il paese. (23)
Comunque, l’ASS, pur desiderando i loro dominatori vassalli eseguire gli ordini di Washington nel mettere a disposizione truppe mercenarie, riteneva difficile inviare truppe nelle condizioni effettive. Dato che risultava palese trattarsi di un’operazione ‘made- in-Washington’, si dimostrava impopolare nei vari paesi l’invio di forze ASS contro la resistenza nazionale Somala sempre crescente. Anche l’Ugandese Yoweri Musevent, un servo ossequiente di Washington, incontrava resistenze all’interno del suo “fedele” congresso fantoccio.(24) Il resto dei paesi ASS rifiutava di inviare truppe, fino a che l’Unione Europea e gli USA non mettevano sul tavolo il denaro e gli Etiopi non mettevano il paese in sicurezza.
A fronte dell’opposizione passiva da parte della grande maggioranza di Somali e della resistenza attiva militante delle Corti, il dittatore Etiope dava inizio al ritiro delle sue truppe mercenarie. Washington, riconoscendo che il suo fantoccio Somalo, il ‘Presidente Yusuf’, era totalmente isolato e screditato, tentava di cooptare i più conservatori fra i leaders delle Corti Islamiche. (25)
Yusuf, sempre timoroso di perdere la sua fragile presa di potere, rifiutava di accondiscendere alla tattica di Washington di creare divisioni all’interno dell’ICU.
L’invasione della Somalia: l’Impero e le sue ramificazioni
Il caso della Somalia illustra bene l’importanza dei dominatori vassalli, dei signori della guerra, dei clan e degli altri collaborazionisti in prima linea nel difendere le posizioni geo- politiche strategiche opportune per allargare e difendere l’Impero degli Stati Uniti. L’esperienza Somala sottolinea l’importanza dell’intervento dei “signori vassalli regionali” degli stati confinanti, in difesa di questo Impero.
I regimi satelliti e le elites collaborazioniste riducono di molto i costi politici ed economici per conservare gli avamposti Imperiali.
In modo particolare, questo si verifica nel caso della sovra- estensione delle forze di terra USA in Iraq, in Afghanistan e nell’incombente confronto con la Repubblica Islamica dell’Iran.
Data questa sovra-estensione delle forze di terra USA, l’Impero fa affidamento su aggressioni dal mare e dall’aria, in combinazione con forze terrestri di mercenari regionali, per spodestare un regime indipendente che gode del sostegno popolare.
Senza l’invasione da parte degli Etiopi, il fantoccio signore della guerra Somalo Abdullahi Yusuf sarebbe stato cacciato via dalla Somalia, il paese si sarebbe unificato, e Washington non avrebbe controllato più a lungo le zone costiere in previsione di un importante oleodotto marino. La perdita di un regime fantoccio Somalo avrebbe privato Washington di una piattaforma costiera per minacciare il Sudan e l’Eritrea.
Comunque, da un punto di vista pratico, i piani strategici di Washington per controllare il Corno d’Africa sono stati pesantemente invalidati.
Per garantirsi il massimo dei controlli sulla Somalia, la Casa Bianca ha scelto di scommettere su un veterano signore della guerra profondamente detestato, con nessuna base sociale nel paese e dipendente da clan delegittimati, sempre in contrasto fra loro, e da signori della guerra criminali. Fantocci isolati e senza alcun credito costituiscono un fragile filo di riferimento per chi vuole costruire politiche strategiche di intervento nella regione (basi militari e missioni di consiglieri). Secondariamente, Washington ha optato di utilizzare un paese confinante (l’Etiopia), odiato dall’intera popolazione Somala, per riportare al potere il suo fantoccio Somalo. L’Etiopia aveva attaccato la Somalia già nel lontano 1979 a causa dell’indipendenza dell’Ogaden, la cui popolazione si sentiva vicina ai Somali. Washington faceva assegnamento su un esercito di invasione di un regime in Addis Abeba, che doveva affrontare crescenti agitazioni popolari in tutta la nazione ed era chiaramente incapace di sostenere una prolungata occupazione.
Per ultimo, Washington teneva per buone le assicurazioni verbali dei regimi dell’ASS, che avrebbero inviato immediatamente truppe per proteggere il fantoccio degli USA rimesso al potere. Questi regimi vassalli manifestavano sempre ai loro signori imperiali di essere propensi ad obbedire, anche se si trovavano nell’impossibilità di una
pronta e completa acquiescenza. In particolare, questo è il caso di quei satelliti che temono per un’opposizione interna e per un prolungato e costoso coinvolgimento all’esterno, con il conseguente discredito derivante da questi loro impegni.
L’esperienza della Somalia dimostra il divario fra la proiezione strategica del potere imperiale e la sua reale capacità di realizzare i propri obiettivi.
Inoltre, questo esemplifica come gli imperialisti, impressionati dal numero di vassalli, dai loro impegni sulla “carta” e dal loro comportamento servile, vengono meno nel riconoscere la loro debolezza strategica di fronte ai movimenti popolari di liberazione nazionale.
I tentativi di estendere l’Impero USA sul Corno d’Africa, specialmente sulla Somalia, dimostrano che anche con una elite collaborazionista, con regimi clientelari, con eserciti mercenari e con alleati regionali del tipo ASS, l’Impero incontra grande difficoltà nel controllare o debellare i movimenti popolari di liberazione nazionale. Questo viene dimostrato dal fallimento della politica di Clinton di intervento in Somalia nel periodo 1993-1994. Il costo umano ed economico di prolungate invasioni militari con
truppe di terra ha ripetutamente condotto l’opinione pubblica USA ad esigere un ritiro (e quindi accettare la sconfitta), come era avvenuto per la Corea, l’Indocina ed ora, sempre più, per l’Iraq.
L’appoggio finanziario e diplomatico, incluse le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e le squadre di consiglieri militari, non sono sufficienti per rendere stabili i regimi vassalli. La precarietà della dittatura del signore della guerra Yusuf imposta dai mercenari dimostra il limiti delle risoluzioni delle Nazioni Unite sponsorizzate dagli USA.
L’esperienza Somala di un fallimento dell’estensione dell’Impero rivela un altro lato, anche più scuro, dell’imperialismo: una politica di “dominio o rovina”. L’insuccesso dell’amministrazione Clinton di conquistare la Somalia veniva seguito da una politica che contrapponeva i brutali signori della guerra uno contro l’altro, terrorizzando le popolazioni, distruggendo il paese e la sua economia, fino all’andata al potere dell’Unione delle Corti Islamiche.
La politica di “dominio o rovina” viene correntemente messa in opera in Iraq e in Afghanistan e arriverà al culmine con l’incombente attacco contro l’Iran per mare e dall’aria, con l’appoggio di Israele.
Le origini delle politiche di “dominio o rovina” hanno le loro radici nel fatto che conquiste da parte degli eserciti imperiali non sono possibili nei confronti di regimi stabili, legittimati e popolari. Originati come prodotti di conquiste imperiali, i regimi vassalli risultano instabili e dipendenti da eserciti stranieri a loro puntello. L’occupazione straniera e le guerre associate contro movimenti nazionali provocano un’opposizione di massa. Il risultato di una resistenza di massa è la repressione imperiale che prende di mira popolazioni intere e le loro infrastrutture. L’incapacità di radicare una stabile occupazione ed un regime clientelare rende inevitabile per i signori dell’impero decidere di devastare l’intero paese, con la conseguente riflessione che un avversario indebolito e distrutto è una consolazione per una guerra imperiale perduta.
Di fronte all’ascesa in Africa di movimenti e di stati Islamici o laici antimperialisti, ed avendo il dominio su numerosi regimi vassalli nel Nord Africa e nel raggruppamento degli ASS, Washington sta insediando un comando militare Statunitense per l’Africa.
Il Comando Africa avrà lo scopo di irrigidire il controllo sulle forze armate Africane e di accelerare le disposizioni per reprimere i movimenti d’indipendenza o per abbattere i regimi antimperialisti. Considerata la presenza in espansione, altamente competitiva, di uomini d’affari, investitori e programmi di aiuti Cinesi, Washington
sta creando ponti d’oro ai suoi affidabili alleati presenti fra le elites clientelari e i generali Africani. (26)
James Petras
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=PET20070319&articleId=5121
19.04.07
(Traduzione a cura DI CURZIO BETTIO di Soccorso Popolare di Padova)
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L’ultimo libro di James Petras è “The Power of Israel in the United States – Il potere di Israele negli Stati Uniti” (Clarity Press: Atlanta). I suoi articoli in Inglese possono essere trovati sul sito web – www.petras.lahaine.org e in Spagnolo su – www.rebellion.org.
Note
1. Petras, James e Morris Morley. “Empire or Republic – Impero o Repubblica” (NY: Routledge, 1995); Petras, J. and M. Morley: “The Role of the Imperial State – Il Ruolo dello Stato Imperiale” in “US Hegemony Under Siege – Egemonia USA sotto assedio” (London” Verso Books 1990).
2. Petras, James and Morris Morley. “The US imperial State – lo Stato Imperiale USA” in James Petras et al. “Class State and Power in the Third World – Stato di classe e potere nel Terzo Mondo” (Allanheld, Osmin: Montclair NJ, 1981).
3. (3A) vedi Petras, James “The Power of Israel in the United States – Il potere di Israele negli Stati Uniti” (Clarity: Atlanta 2006) 3. vedi Andrew England “Spectre of Rival Clans Returns to Mogadishu – Lo spettro dei Clan rivali ritorna a Mogadiscio”, Financial Times (London), 29 dicembre 2006, p.3
4. Financial Times, 22 gennaio 2007, p.12.
5. Financial Times, 29 dicembre 2006, p.3.
6. William Church: “Somalia: l’azione di retroscena della CIA si indebolisce in Africa Orientale” Sudan Tribune, 2 febbraio 2007.
7. (7A) “Il governo di Transizione veniva ristretto a Baidoa, una piccola città, e la sua sopravvivenza dipendeva da Addis Abeba.” Financial Times, 29 dicembre 2006, p.3
7. Financial Times, 31 gennaio 2007, p.2.
8. Stephan Shalom “Gravy Train: Feeding the Pentagon by Feeding Somalia – Una miniera d’oro: nutrire il Pentagono per nutrire la Somalia ” Z Magazine, febbraio 1993.
9. Clinton dichiarava che l’impianto farmaceutico stava producendo armi biologiche e chimiche – una storia che veniva rifiutata dagli investigatori scientifici.
10. Shalom ibid.
11. Mark Bowden Black Hawk Down (Signet: New York 2002)
12. Financial Times, 31 dicembre 2006, p.2
13. Financial Times, 5 gennaio 2007, p. 4
14. William Church ibid.
15 “Somalia, Another War Made in the USA – Somalia, un’altra Guerra made in USA”, intervista con Mohamed Hassan, ([email protected])
16 ibid.
17. Financial Times, 5 gennaio 2007, p.5; Financial Times, 29 dicembre 2006, p. 3
18. BBC News: “US Somali Air Strikes ‘Kill Many’- I bombardamenti aerei USA sulla Somalia ‘ne ammazzano molti’ “, 9 gennaio 2007; aljazeera.net “US Launches Air Strikes on Somalia – Gli USA danno il via a bombardamenti aerei sulla Somalia”, 9gennaio 2007.
19. Financial Times, 5 febbraio 2007, p.5 “.non vi sono ancora state conferme di sospetti al-Queda fatti bersaglio, come affermava Meles Zenawi, Primo Ministro Etiope.”
20. aljazeera.net, 23 gennaio 2007; BBC News, “La maggioranza degli Etiopi sta abbandonando la Somalia “, 28 gennaio 2007.
21. aljazeera.net, 29 dicembre 2006; aljazeera.net, 6 gennaio 2007; BBC News, 26 gennaio 2007; aljazeera.net, 28 gennaio 2007, aljazeera.net, 11 febbraio 2007.
22. “Saccheggi ed uccisioni si sono scatenati appena che i combattenti Islamici hanno abbandonato la capitale dopo il suo crollo, quando le milizie fedeli ai clan locali si sono mossi per le strade.” Financial Times, 29 dicembre 2006
23. BBC News, 25 gennaio 2007; BBC, 30 gennaio 2007; BBC, 5 gennaio 2007
24. People’s Daily Online, “Il Parlamento Ugandese blocca l’offerta di inviare uno spiegamento di peacekeepers in Somalia”, 2 febbraio 2007
25.Financial Times, 26 gennaio 2007, p.6
26.aljazeera.net, 7 febbraio 2007