DI SIMONETTA COSSU
Non capita spesso che incontrando la persona che ti appresti a intervistare ti trovi intervistato. E’ quello che può succedere se la persona è Amy Goodman. Giornalista d’attacco, scrittrice, leader del movimento pacifista americano, Amy Goodman è la spina nel fianco del grande “sistema” d’informazione americano. La incontriamo a Roma in occasione dell’uscita in Italia del suo libro, “Scacco al Potere” edizione Nuovi Mondi Media. Prima ancora di avere il tempo di chiederle qualcosa mi punta adosso la sua video-foto-camera e mi interroga: cosa succede in Italia? Cosa ne pensi di Berlusconi? Quale è il ruolo di Liberazione?
Si capisce subito che prima di ogni cosa Amy Goodman è una giornalista che vuole capire per poter raccontare ai suoi ascoltatori cosa sta succedendo in Italia. I suoi colleghi la descrivono come una donna in perpetuo movimento. E infatti anche se in trasferta, Amy non ha rinunciato alla sua trasmissione “Democracy Now” e da uno studio romano ha condotto in diretta il suo programma.
Dopo aver cercato di rispondere alle sue domande arriva il mio turno. Amy, puoi raccontarci dove lavori?
Ho iniziato a lavorare a Pacifica Radio. Una radio ormai storica, fondata 55 anni fa da un pacifista obiettore di coscienza della II guerra mondiale. Dopo essere stato in prigione decise che c’era bisogno di un mezzo di informazione che non fosse sotto il giogo delle multinazionali. Così è nata Pacifica. La prima stazione venne messa in piedi a Berkeley in California. Poi vennero le stazioni di New York, Washington, Los Angeles e Houston. Per capire cosa rappresenta basta dire che quando la stazione di Houston incominciò a trasmettere negli anni ’70 il suo trasmettitore venne fatto saltare per due volte. Non è mai successo a nessuna altra radio in America. Era stato il Klu Klux klan che si fece vanto di quanto aveva fatto. Pacifica era “pericolosa”, permetteva e permette alla gente di parlare senza intermediari. Ti faccio un esempio: quello che è successo nella prigione di Abu Graib ha avuto inizio molto tempo prima che uno dei soldati alzasse le mani su uno dei prigionieri. Credo che tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti, e tra i principali responsabili io indico i mezzi di informazione. Noi americani siamo abituati a ricevere le informazioni in sound bite: dichiarazioni di 8-9 secondi. Ma che cosa si può dire in 8-9 secondi? Puoi solo ripetere quello che l’establishment ha deciso che venga detto. Non hai bisogno di spiegare nulla, chi ascolta deve percepire solo un messaggio. Tu dici “Saddam Hussein è come Hitler” e sei pronto per il prime time. Ma se tu dici “Il governo degli Stati Uniti è responsabile di crimini di guerra” sei spacciato, tutti ti prendono per matto. Hai bisogno di più tempo per spiegare cosa significa “crimini di guerra”, per argomentare… Attraverso i media, che si offrono da megafoni per il potere, si “fabbrica il consenso”. Se demonizzi intere popolazioni, ed è questo quello che ha fatto l’amministrazione Bush, allora è abbastanza logico che sia accaduta Abu Graib: e cioé che alcuni soldati abbiano percepito quei prigionieri come dei sub-umani.
Parlami di “Democracy Now”…
Tutto è iniziato nel 1996. Il programma era diffuso inizialmente solo da Pacifica a livello nazionale. Era nato per le elezioni, un progetto di 9 mesi. Alla fine però ci accorgemmo che le elezioni non erano state il tema centrale della trasmissione, ma invece le voci di tutte quelle persone che erano intervenute per parlare dei problemi reali che incontravano, persone che guarda caso non venivano coinvolte nel processo elettorale… Così decidemmo di andare avanti. Oggi Democracy Now è diventata la più vasta collaborazione di media pubblici negli Usa. Usiamo tutti i mezzi per raggiungere la gente: trasmettiamo su centinaia di stazioni radiotelevisive, diffondiamo audio e video, su internet, usiamo la Tv satellitare e trasmettiamo in tutto il mondo su onde corte. Mi chiedevi come possiamo rompere il muro di gomma, io ti dico che la gente vuole sapere, capire. Il fatto che le armi di distruzione di massa di Saddam non siano state trovate non ha solo rivelato il vero volto di Bush, ma ha messo a nudo la responsabilità che i principali organi di informazione americani hanno avuto nel “fabbricare il consenso” per questa guerra.
Parliamo delle ultime elezioni. La sensazione era che Kerry potesse farcela, poi la debacle rapida e dolorosissima. Cosa è successo?
Non so chi ha vinto le elezioni.
Il sistema elettorale americano è sempre più computerizzato e a fornire le macchine sono proprio le stesse corporation che 4 anni fa hanno “garantito” a Bush il risultato. Quello che è accaduto è fuori da ogni regola. Sono stati gli stessi osservatori internazionali, invitati da Bush, a denunciare l’irregolarità del processo. Alcuni esempi? In Ohio, uno degli Stati chiave, le “stranezze” sono state tantissime. In un seggio dove erano registrati 600 elettori, sono apparse 4000 preferenze per Bush. Chi ha vinto le elezioni? Non lo sapremo mai…
Ma esiste una opposizione negli Usa?
Temo proprio di no. Kerry ha terminato la campagna elettorale con 51 milioni di dollari ancora nelle casse. Una somma enorme, un fatto che non era mai accaduto nella nostra storia. Più del doppio di quanto restava alla campagna di Bush. Quei fondi possono essere usati solo per determinate cose, tra queste c’è la possibiltà di pagare il riconteggio dei voti. I democratici non hanno voluto. Ci stanno provando i Verdi che hanno raccolto i 150 mila dollari per chiedere il riconteggio dei voti nell’Ohio. Quindi viene spontanea la domanda: dove è l’opposizione? Sulla guerra ad esempio la posizione di Bush è molto chiara: è favorevole e vuole che continui. Kerry ha cercato di superararlo. Kerry non è contro la guerra. Ad agosto a New York mezzo milione di persone hanno marciato mentre era in svolgimento la convention repubblicana per dire no a Bush e alla guerra in Iraq. E’ stata la più grande manifestazione degli ultimi decenni e voleva essere anche un messaggio per Kerry. Ma il candidato democratico non ha saputo ascoltare. Bush sa parlare alla sua base elettorale: religiosa, familistica, conservatrice. Kerry ha cercato di pescare in quei voti. Il suo errore fatale è stato credere che tutti quelli che erano a sinistra, non avrebbero avuto altra scelta che votare per lui. E questo non è successo. Tutte queste persone avevano un’altra scelta: quella di restare a casa.
I diritti. Negli Stati Uniti sono sempre più nel mirino: l’aborto, i gay, gli immigrati…
Pensa che il nuovo leader della minoranza al Senato, Harry Reid è favorevole alla guerra e contro l’aborto. Non sto parlando del leader repubblicano, sto parlando di quello democratico! E’ per questo che il movimento pacifista deve mobilitarsi. Le elezioni vanno e vengono, la guerra resta. A nostro conforto guardiamo alla storia, una cosa che i media raramente fanno. Guardiamo al 1972. E’ stato l’anno più terribile della guerra in Vietnam e per il movimento pacifista. Eppure Richard Nixon vinse la rielezione con un margine nettissimo, mentre il candidato dei pacifisti George McGovern subì una umiliante sconfitta. Cosa sta facendo ora Bush? Sventola per caso un ramoscello di ulivo e invita tutti a lavorare insieme? No, sta facendo esattamente l’opposto. Il suo nuovo motto è: ho vinto, ora intendo fare a modo mio.
Torniamo a parlare di informazione. Due dei più importanti giornalisti televisivi hanno annunciato le dimissioni. Dan Rather (Cbs) ha ammesso degli errori. Cambierà qualcosa nel sistema dell’informazione americana?
Dan Rather il giorno che incominciarono a cadere le bombe sull’Iraq aprì il suo telegiornale dicendo Goodmorning Bagdad, ed è considerato tra i giornalisti più progressisti. Tom Brokaw ha detto che «non vogliamo distruggere le infrastrutture dell’Iraq perché un giorno saranno nostre». Suona buffo oggi sentire dire che Rather viene cacciato perché è contro Bush. La realtà è che non importa se c’è Dan Rather o Tom Brokaw, è il sistema che non permette che opinioni diverse siano fatte circolare. Sulla guerra gli americani vedono e sentono solo una delle parti. Quando ho intervistato uno dei conduttori televisivi della Cnn gli ho chiesto: «dove sono le immagini?» Lui mi ha risposto che erano stati cacciati via da Bagdad. Allora gli ho detto: «ma potete averle da Al Jazera. Trasmettete pure i fuochi d’artificio dei bombardamenti, i video di Osama. Perché non fate vedere le vittime». Sai cosa mi ha detto? «E’ una questione di buon gusto…». L’immagine simbolo della guerra in Vietnam, la bambina che fugge nuda bruciata dal napal oggi non sarebbe trasmessa.
Quale il futuro del movimento pacifista americano?
Negli ultimi 2 anni molti rappresentanti della società civile si sono concentrati su un unico messaggio: tutti, tranne Bush. Il problema reale che non c’è stata una vera alternativa a Bush. Come ho già detto la strategia di Kerry è stata tutta concentrata a cercare voti al centro, senza offrire nulla di veramente nuovo. Quello che serviva e serve è un vero programma alternativo. Bisogna ripartire da noi. Dalle lotte che ogni giorno i singoli individui portano avanti per migliorare la propria comunità. Il movimento pacifista ha la forza per continuare la lotta. Il nostro compito, parlo come giornalista, è quello di costruire un sistema di comunicazione democratico al servizio di una società democratica. Non sarà facile, ma ci proveremo.
Simonetta Cossu
Fonte:www.liberazione.it
10.12.04