AMERICA LATINA: L'INVASIONE TRANSGENICA

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DI CARMELO RUIZ MARRERO
Geostrategie

L’America Latina è l’obiettivo di una nuova invasione: quella delle culture geneticamente modificate. I promotori di questo tipo di culture, che si chiamano anche transgeniche, affermano che esse permetteranno di combattere meglio la fame, di ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche tossiche e di portare la prosperità agli agricoltori ed alle comunità rurali dell’America latina. Ma, finora, l’esperienza ha dimostrato che questo nuovo modello di culture non diminuiscono affatto la fame, né riducono l’uso di prodotti chimici, non apportano alcun beneficio ai piccoli agricoltori, anzi, creano nuove forme di dipendenza economica.
Argentina: la repubblica della soia

Nessun paese latino-americano si è consegnato in modo tanto sfrenato alla cultura transgenica come l’Argentina. Gli ultimi anni hanno visto la crescita esponenziale della superficie destinata alla coltivazione della soia geneticamente modificata (GM). In Argentina, la coltivazione della soia è passata da 9500 ettari all’inizio degli anni ‘60 a 5,9 milioni nel 1996. Dopo l’introduzione della soia transgenica, alla fine degli anni ’90, la superficie dei campi di soia è passata a 10,3 milioni di ettari nel 2000. Ora sono già stati superati i 14 milioni di ettari, e almeno il 95% di questa soia è transgenica. Tutta la soia transgenica coltivata in Argentina è della varietà «Roundup Ready” (RR), prodotta dall’impresa statunitense di biotecnologie Monsanto [1].

Le ideologie neoliberiste ed i padroni dell’agro-business considerano la cultura della soia come un grande successo e una manna economica per il paese. Essi rilevano che questa coltivazione porterà grandi quantità di valuta, così necessarie per il pagamento del debito estero. Ma le conseguenze di questo “successo” sono state distruttrici per il territorio e per la vita della maggioranza degli argentini.

Il resto della produzione del paese è trasferito e spinto all’estinzione in modo che la campagna argentina è riorganizzata intorno alla monocultura della soia. Le culture di lenticchie, patate, piselli, cotone, grano, mais, riso, sorgo, di frutta e verdura, la produzione lattiera, ed anche i celebri, in tutto il mondo, allevamenti di bestiame si riducono davanti all’estensione implacabile della soia. Questo paese, che in passato era autosufficiente sul piano alimentare ed esportava carni di prima qualità, deve oggi importare gli alimenti di base. Ma gli alimenti importati sono più cari e inaccessibili per una grande parte della popolazione, molto povera. Dal 1970 al 1980, il tasso degli argentini che vivono al di sotto della soglia di povertà è passato dal 5% al 12%. In seguito all’applicazione delle politiche neoliberali di assetto strutturale, questo tasso ha raggiunto il 30% nel 1988, fino al 51% nel 2002. Oggi 20 milioni di argentini sono poveri e 10 milioni sono sotto alimentati [2].

Più del 99% della soia argentina viene esportata verso i mercati di Asia e d’Europa dove serve per l’alimentazione del bestiame. In questo modo, il paese avvia al sacrificio il suo allevamento, altamente noto nel mondo intero per la sua qualità, unica, a beneficio dei suoi concorrenti europei. Dal 1998 al 2003, il numero delle aziende lattiere si è ridotto da 30.000 a 15.000. Come ha detto l’agronomo e genetista Alberto Lapolla, “la nazione argentina è passata dallo stato di granaio del mondo a quello della “piccola repubblica soiera” (repubblichetta soiera), produttrice di foraggio, perché i paesi con vere politiche di sviluppo allevino il loro bestiame e non abbiano da importarlo dagli altri paesi come il nostro ” [3].

Gli agricoltori ed i proprietari terrieri si convertono alla soia in risposta alle numerose pressioni economiche. In primo luogo, i produttori locali non sono in grado di sostenere la concorrenza di fronte alle importazioni agricole, massicce e a buon mercato, che derivano dalle politiche del libero scambio. A ciò si aggiunge una struttura di sollecitazioni e di sovvenzioni governative che favoriscono i produttori di soia. E se questo non fosse ancora sufficiente, la ditta Monsanto fornisce ai produttori l’assistenza di esperti e le attrezzature necessarie alle semine dirette (siembra directa) che rende redditizia la monocultura massiccia di soia, oltre a sementi ed erbicidi, il tutto accompagnato da facilitazioni per i pagamenti.

La soia GM Roundup Ready non è stata modificata per essere più produttiva o più nutriente. E’ stata modificata per resistere al Glifosato, ingrediente attivo dell’erbicida Roundup di Monsanto. L’effetto sul territorio di questa nuova agricoltura si è rivelato devastante.
Il sistema delle semine dirette, con l’utilizzo massiccio di sostanze agro-chimiche (Roundup), ha già prodotto nella zona di monocultura una desertificazione biologica molto marcata, con la scomparsa di uccelli, lepri, crostacei, lombrichi, molluschi, insetti, etc., il che attacca particolarmente la microflora e la microfauna, alterando così la microbiologia dei suoli, sterminando i batteri ed altri microrganismi sostituiti da muffe ”, ha avvertito Lapolla.

L’espansione della soia è avvenuta non solo a scapito delle altre colture, ma anche dei boschi e delle zone forestali. Per estendere la monocultura, i grandi proprietari terrieri ed i padroni dell’agro-business dissodano grandi superfici di montagne boscose ai piedi delle Ande, come quelle delle Yungas e del Chaco alla frontiera con la Bolivia ed il Paraguay. Nella provincia di Entre Rios, a nord di Buenos Aires e alla frontiera con l’Uruguay, ci sono più di un milione di ettari che sono stati dissodati tra il 1994 ed il 2003 per lasciare posto alla soia. Tale deforestazione è la causa di disastrose inondazioni senza precedenti storici, in particolare nella provincia di Santa Fé.

L’effetto economico non è stato meno disastroso. La monocultura a semina diretta di soia RR ha creato disoccupazione, dal momento che necessita di una ridotta mano d’opera. Mentre un ettaro di pesche o di limoni ha bisogno di 70-80 lavoratori, la stessa superficie di soia impiega al massimo dieci o due persone.

Coloro che non hanno piegato la schiena alla cultura della soia per dedicarsi alla piccola agricoltura tradizionale di sussistenza si sono trovati nell’impossibilità di farlo, poiché le nuvole di Glifosato, sparso per via aerea, viaggiano su grandi distanze lasciando sul loro passaggio tracce di morte e di distruzione.

A la Colonia Los Senes, nella provincia di Formosa, alcune famiglie che coltivavano arachidi, barbabietole e banane, ed allevavano polli, anatre e maiali, hanno visto la loro vita cambiare nel 2003 quando gli aerei hanno iniziato a sorvolare i loro territori, spandendo erbicidi sui campi, poco tempo dopo consacrati alla cultura della soia. Gli abitanti hanno allora cominciato a soffrire di nausea, diarrea, vomito, dolori gastrico, allergia e irritazioni cutanee. I bambini hanno iniziato a soffrire di macchie e di piaghe dolorose sulla pelle, a volte molto dolorose. Le piante di banano hanno subito deformazioni, gli animali sono morti o hanno partorito esseri deformi, e sono stati registrati casi di laghi pieni di pesci morti [4].

L’Argentina a suo tempo è stata il granaio del mondo, ha pure alimentato l’Europa. Però, oggi i bambini affamati girano a vuoto nelle loro ‘villas miserias’ (bidonvilles). I ‘cartoneros’ [5], così come intere famiglie di disoccupati, vagano nelle strade alla ricerca di scarti da riciclare per guadagnare, difficilmente, di che sopravvivere. E più della metà della popolazione vive al disotto della soglia di povertà”, hanno rilevato l’avvocato Facundo Arrizabalaga e l’antropologo sociale Ann Scholl.

Essi aggiungono che “ la soia sconvolge non solo l’essenza stessa della terra, ma anche quella della società. Le bidonville continuano ad esplodere nelle periferie delle città per l’afflusso dei contadini cacciati dagli aerei pieni di Glifosato, mentre i giganti dell’agro-industria si impadroniscono delle terre. Il fatto è che la soia non genera impiego, è un’agricoltura senza lavoratori, senza cultura. L’esodo rurale ha visto in questi ultimi anni un ritmo allarmante: 300 000 contadini hanno lasciato i campi e circa 500 villaggi sono stati abbandonati. La conseguenza di tutto ciò è l’aumento quotidiano del crimine e della violenza, e con essi, l’emarginazione.” [6]

Brasile: il pragmatismo di Lula

La monocultura di soia RR sta per passare la frontiera dell’Argentina e penetrare nei paesi vicini. In Brasile, secondo produttore mondiale di questa pianta, c’è stato negli ultimi anni un massiccio contrabbando di semi di soia RR dall’Argentina verso lo Stato brasiliano del Rio Grande do Sul, dove si concentra la produzione di soia del paese.

Il traffico di queste sementi, che ha beneficiato della complicità (per lo meno passiva) dei padroni dell’agro-industria e dei grandi proprietari era illegale, dal momento che la loro importazione è avvenuta clandestinamente, e senza l’approvazione degli organismi dello Stato. Alcuni gruppi della società civile, come il Movimento dei lavoratori rurali senza terre (MST) sostengono che le culture transgeniche avrebbero prima di tutto sottostare a test per valutare il loro impatto nel territorio come richiesto dalla Costituzione brasiliana. Essi segnalano anche che il Brasile è tenuto ad effettuare tali test secondo il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza, protocollo che prende in considerazione i possibili rischi degli OGM. Altra preoccupazione : questa invasione rischia di rovinare il vantaggio competitivo dei prodotti agricoli brasiliani sul mercato mondiale dove i prodotti liberi da contenuto transgenico sono più ricercati.

Durante la sua campagna elettorale, l’allora candidato alla presidenza, Luiz Ignacio “Lula” da Silva, aveva promesso di tenere conto delle preoccupazioni dei settori che denunciavano l’ingresso illegale dei transgenici nel paese. Una volta al potere, egli ha optato per il pragmatismo e sottoscritto nell’ottobre 2004 una misura che i gruppi della società civile sostengono essere favorevole all’industria delle biotecnologie, in quanto avalla le illegalità commesse dai contrabbandieri e da coloro che usano illegalmente la soia RR.

Numerose organizzazioni, tra le quali le cooperative dei movimenti sociali come l’MST, i sindacati dei lavoratori agricoli come la Federazione dei lavoratori dell’agricoltura familiare, l’Istituto della difesa del consumatori, ActionAid Brasile e la Commissione pastorale della terra (CPT), denunciano in una lettera di protesta il fatto che la misura “viola il principio di precauzione della Convenzione sulla diversità biologica”, cui il paese è vincolato, liberando l’uso dei transgenici “ senza alcun studio preventivo sull’impatto ambientale e sul rischio per la salute dei consumatori ”.
Secondo i firmatari, l’introduzione clandestina della soia RR della Monsanto “ha impedito che la popolazione brasiliana avesse l’opportunità di scegliere se o no consumare ed esporre il territorio alla cultura dei transgenici. Di più, ha impedito che si prendessero misure per garantire l’isolamento e la marchiatura della produzione transgenica, misure che avrebbero protetto gli agricoltori che intendevano seminare in modo convenzionale o sviluppare una agricoltura ecologica.

João Pedro Stédile, leader dell’MST, descrive il conflitto in questo modo : “ Da un lato, ci sono gli interessi del profitto ed il controllo del monopolio sui semi da parte delle imprese multinazionali come Monsanto, Cargill, Bung, Du Pont, Syngenta, e Bayer. Dall’altra, gi interessi degli agricoltori onesti e del popolo brasiliano. Questo è il vero confronto legato alla questione dei transgenici.

Se noi possiamo alimentare il nostro popolo con prodotti di altre sementi più sicure e più sane, perché rischiare con i transgenici ? Solamente per garantire la rendita alla Monsanto?”, s’interroga Stédile.

Paraguay: l’invasione dei “Brésiguayens

Il Paraguay, quarto esportatore mondiale di soia, ha subito l’assalto della monocultura transgenica, malgrado che, fino ad oggi, il suo governo non abbia ancora legalizzato questo tipo di coltivazione. Questo paese possiede 2 milioni di ettari di soia, di cui oltre la metà appartiene ai “Brésiguayens”, come sono definite le decine di migliaia di fittavoli grandi e medi, immigrati illegalmente dal Brasile. Essi violano la legge non solo installandosi in modo illegale e praticando l’agricoltura ed il commercio, ma anche coltivando transgenici, ritenuti illegali in Paraguay.

Con la monocultura di soia transgenica sono arrivati gli spandimenti intensivi di Glifosato, riproducendo così lo schema della deforestazione, inquinamento e avvelenamento, che si sviluppa attualmente in Argentina.

Particolarmente drammatico è il caso della colonia Ka’aty Mirî, un modesto villaggio indigeno di 16 famiglie situato nel dipartimento di San Pedro, che è praticamente circondato da campi di soia. Secondo un rapporto del 2004 del Coordinamento Nazionale delle organizzazioni delle donne lavoratrici rurali e indigene (CONAMURI), le aspersioni di Glifosato hanno causato la morte di tre bambini, ed hanno provocato tra gli abitanti problemi digestivi e polmonari, mal di testa e di gola, diarrea ed eruzioni cutanee. Inoltre sono stati rilevati casi di parti prematuri e di bambini nati malati. La colonia non ha accesso all’acqua potabile poiché il ruscello dove gli abitanti si approvvigionavano è ormai inquinato dal Glifosato.

Un bollettino dell’organizzazione Rel-UITA [7] descrive un viaggio verso Ka’aty Mirî:

Mano a mano che avanziamo verso i colonias le colonie il paesaggio cambia drasticamente. Non vi sono quasi più zone boscose né foreste, solamente interminabili ettari di campi di soia transgenica.
Le oleaginose si alzano dietro i cortili delle modeste case di campagna, si confondono quasi con i loro abitanti, come se fossero parte naturale della loro vita, ciò che in realtà è un ‘visitatore indesiderato’. Le piccole piante (cotone, manioca, e grano) lottano per sopravvivere e non per morire distrutte dall’effetto altamente nocivo degli agrotossici, mentre le oleaginose godono di buona salute.
E’ doloroso vedere come una parte di foglie del cotone è ‘bruciata’, macchiata e disseccata dall’azione del veleno. Parallelamente, la crescita delle piante di manioca si è bloccata; esse non misurano più di 10 o 15 centimetri, benché in questo periodo avrebbero dovuto superare normalmente i 35 centimetri , secondo gli agricoltori.

Messico: immigranti illegali dal Nord

In Messico l’invasione transgenica si manifesta in modo diverso. Dopo il 2001, si è registrato l’arrivo di mais transgenico proveniente dagli Stati Uniti. I contadini hanno utilizzato dei campioni di semi importati come semente, senza sapere di che cosa si trattasse, ed ora quel mais transgenico prolifera in modo aggressivo e incontrollato, incrociandosi con il mais indigeno.

Alcuni settori contadini, ecologisti, progressisti, della società civile e delle popolazioni indigene mettono in guardia contro le conseguenze potenzialmente nefaste di questo inquinamento genetico sul territorio, sulla salute umana e sull’alimentazione mondiale.

Rapporti dell’IRC Américas [8] hanno segnalato l’impatto del mais transgenico in Messico e le risposte della società civile [9]. Noi ci limiteremo qui ad aggiornare le informazioni.

* Nel dicembre 2004, il senato messicano ha approvato una legge di biosicurezza, che, come la misura approvata dal presidente brasiliano, è altamente favorevole all’industria biotecnologica e legalizza l’inquinamento genetico, a parere di alcuni settori della società civile messicana.

Questo progetto di legge “è un’aberrazione, perché non garantisce alcun margine di sicurezza per la diversità biologica, la sovranità alimentare, le culture e piante di cui il Messico è un luogo d’origine o di diversità e che sono la base dell’alimentazione e delle culture degli agricoltori e degli indigeni che le hanno create. Per contro, assicura la tranquillità alle cinque imprese transnazionali che controllano i transgenici su scala globale, tra cui la Monsanto detiene il 90% del mercato”, accusa Silvia Ribeiro, del Gruppo d’azione sull’erosione, la tecnologia e la concentrazione [10].

I critici denunciano anche il fatto che il progetto approvato non prevede consultazioni pubbliche, ma concede alle transnazionali il diritto di ricorrere in appello se viene loro negata l’autorizzazione di seminare transgenici. Di più, esso esonera le compagnie da tutte le responsabilità per l’inquinamento genetico causato dalle loro sementi. “[Questo progetto di legge] non considera neppure di avvertire coloro che potrebbero essere contaminati, e, di fatto, li rende vittime responsabili lasciandole senza ricorsi”, riporta la rivista Biodiversité, Alimentation et Cultures [11].

* Nel giugno 2004, la Commissione per la cooperazione ambientalista dell’America del Nord, organismo creato dall’Accordo di libero-scambio nord-americano (ALENA), ha pubblicato un rapporto sulla polluzione [genetica] del mais messicano. Questo rapporto, intitolato “ Mais e biodiversità: gli effetti del mais transgenico in Messico ”, si proponeva di rafforzare la moratoria sull’utilizzo commerciale del mais GM in questo paese e di diminuire le importazioni statunitensi di grano, così da stabilire un sistema di sorveglianza delle culture tradizionali e di etichettatura dei prodotti geneticamente modificati.

Inoltre raccomandava anche di migliorare i metodi di localizzazione e di controllo dello stato di avanzamento della contaminazione genetica del mais e dei suoi parenti silvestri, l’etichettatura del mais statunitense, e che i semi garantiti non contaminati fossero macinati al fine di non permetterne l’utilizzo come semi.

Portorico: buon clima politico

Porto Rico è uno dei luoghi prediletti dall’industria delle biotecnologie per realizzarvi i suoi esperimenti di culture transgeniche. Secondo i dati del Dipartimento dell’Agricoltura degli USA, 2957 esperimenti in materia sono stati portati avanti nell’isola tra il 1987 ed il 2002. Queste cifre non sono superate che dagli stati dell’Iowa (3831), dell’Illinois (4104) e Hawai (4566).

Bisogna tuttavia prendere in considerazione l’enorme differenza delle misure: l’Illinois e l’Iowa misurano ciascuno più di 50 000 miglia quadrate [circa 130.000 km²], quando Puerto Rico misura meno di 4000 miglia quadrate [meno di 10.500 km²].
Evidentemente, l’isola ospita molte più sperimentazioni di qualsiasi stato americano, ad eccezione delle Hawai. Le prove dei transgenici a Porto Rico supera in numero quelle realizzate in California (con 1709 prove), 40 volte più estesa di Porto Rico, e con una produzione agricola ben superiore.

Sono prove a campo libero e senza controllo”, afferma Bill Freese, del gruppo di difesa ambientale, gli Amici della Terra, commentando la situazione di Porto Rico. “Queste piantagioni transgeniche sperimentali contaminano senza alcun dubbio le culture convenzionali, come fanno le produzioni transgeniche già commercializzate. Inoltre le culture transgeniche non sono sottoposte all’obbligo delle dichiarazioni, al quale sono tenute quelle che vengono commercializzate. E’ perciò che penso che la forte concentrazione di esperimenti sulle culture geneticamente modificate a Porto Rico è realmente una fonte di preoccupazione.” [12]

Perché Porto Rico ? Sono state date molte risposte a questa domanda durante un simposio sulla biotecnologia che si è tenuto nel villaggio di San Germán nel 2002, organizzato dal Servizio di estensione agricola. Secondo quanto riportato dal giornale locale Claridad, molti degli intervenuti hanno affermato che l’accogliente clima tropicale dell’isola permette fino a quattro raccolti l’anno, ciò che lo rende ideale per gli agronomi e per le aziende di biotecnologie come Dow, Syngenta, Pioneer e Monsanto. Queste quattro imprese si sono riunite per formare l’Associazione di ricerca sulle sementi di Porto Rico.

Uno dei partecipanti ha però fornito una spiegazione molto più interessante: ha dichiarato che Porto Rico ha “un buon clima politico”. La popolazione nel suo insieme ignora in effetti l’esistenza di culture e di prodotti transgenici, e ciò contribuisce al “buon clima politico” al quale quel presentatore alludeva.

Resistenze e alternative

La resistenza contro l’agricoltura transgenica si manifesta in tutti i paesi dell’America latina da parte dei diversi settori, dalle popolazioni indigene che si adoperano per preservare le loro millenarie tradizioni agricole ed a proteggere le granaglie dalla polluzione genetica, dai settori ecologisti che tengono alta la guardia sulle conseguenze ambientali dei transgenici e dell’agricoltura industriale in generale, fino agli agricoltori che cercano di praticare una agricoltura realmente ecologica, e alle organizzazioni progressiste, ai movimenti popolari per la riforma agraria che si oppongono al dominio delle transnazionali sulla produzione alimentare.
Queste voci critiche e contestatarie si integrano al movimento di opposizione alla Zona di libero scambio delle Americhe ed all’agenda neoliberale.

L’agricoltura ecologica o organica si profila come alternativa ai transgenici ed a tutti i modelli agricoli di monocultura industriale controllata dalle imprese transnazionali. Il Brasile è in particolare riuscito ad occupare una nicchia nel commercio internazionale dei prodotti tropicali organici, diventandone una reale potenza esportatrice.

Le transnazionali dell’agrobusiness ed i loro porta voce sostengono che l’agricoltura organica è perfettamente compatibile con le culture transgeniche, e che si possono dunque sviluppare i due fronti. Ma i produttori organici e gli oppositori agli OGM comprendono che i due modelli di produzione non possono coesistere, che nella misura in cui cresce l’una l’altra diminuisce, e che verrà il momento in cui l’America latina dovrà scegliere tra le due strade.

Carmelo Ruiz Marrero
Fonte: http://www.geostrategie.com
Link: http://www.geostrategie.com/cogit_content/verbatim/AmriqueLatinelinvasiontran.shtml
27.05.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di MARIAVITTORIA GAZZOLA

Note:

[1] Lilian Joensen e Stella Semino, “Argentina’s torrid love affair with tè soybean”, Seedling, ottobre 2004. www.grain.org.
[2] Alberto J. Lapolla, “El monocultivo di soia transgénica amenaza gravamente il sostenibilidad del ecosistema agropecuario argentino”, Joensen and Semino.
[3] Alberto J. Lapolla,” El monocultivo di soia transgénica: Gran negocio o política di dominación coloniale?”
[4] Davide Jones, “Bienvenidos a la república de soja : testimonio de un periodista inglés en Argentina”, Bulletin du Réseau pour une Amérique latine libre de transgéniques, n° 94 et 95.
[5] Cartoneros (cartonniers): poveri delle città che vivono della raccolta e della rivendita della carta e del cartone raccolta tutto il giorno nelle pattumiere e per le strade. (ndt)
[6] Ann Scholl e Facundo Arrizabalaga, ” La soja, un mal augurio “, www.adital.org.br.
[7] Rel-UITA: Union Internationale des Travailleurs de l’Alimentation, l’agriculture, l’hôtellerie, la restauration, les tabacs – Région Amérique Latine rel-uita.org . Pour le rapport cité : rel-uita.org.
[8] IRC Américas : www.irc-online.org
[9] Ramón Vera Herrera, “En defensa del maíz (y el futuro) : Una autogestión invisible”, www.americaspolicy.org. ; Carmelo Ruiz Marrero. “La Biodiversidad en Peligro : La Contaminación Genética del Maíz Mexicano”

[10] Silvia Ribeiro. “La ley Monsanto : parece mala pero es peor”, La Jornada, 22 de enero 2005.

[11] Revue Biodiversidad, Sustento y Culturas. “Sin nuestros maíces no somos pueblo”, janvier 2005 (article non signé).

[12] Bill Freese, entrevue avec Ruiz Marrero, juin 2004.

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