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L’OCEANIA DI ORWELL E L’AMERICA DI BUSH: SEMPRE PIU’ UGUALI.

DI DAVID BENJAMIN

Parigi. Recentemente mi sono riletto dei libri che avevo già visto da liceale. Come era da immaginarsi l’esperienza ha avuto più facce. Alcuni dei libri preferiti hanno risvegliato e fatto rivivere, anche aumentati, i piaceri letterari di oltre 40 anni fa, altri invece hanno mostrato dei difetti di cui non mi ero accorto all’età di 16 anni. Altri ancora si sono rivelati profetici rispetto a situazioni inconcepibili per l’epoca.

L’esperienza più rivelatrice è stata quella di “1984” di Orwell, un classico della non utopia. Anche se Orwell non ha anticipato la realtà culturale e politica della cultura occidentale nell’anno della sua profezia, e cioè quando Reagan e la Thatcher comandavano la vera Oceania, è stato però capace di prevedere in modo preoccupante sia la corruzione della lingua che l’erosione delle libertà civili che segnano la seconda amministrazione Bush, 20 anni dopo il 1984 (Anno, non libro).

Rileggendo il libro non volevo certo mettere in parallelo, intenzionalmente, il Grande Fratello di Orwell e il Boy George (Il ragazzo Gorge) di oggi. Il parallelo si è formato da solo. Ho segnato 11 casi in cui Orwell in qualche maniera ha anticipato le mosse della Casa Bianca nella prima decade del 21 secolo.

L’Oceania di Orwell, per esempio, come l’America di Bush, si affida a una stato di guerra continua per instillare nelle masse la paura e la passione e, in ambedue i regimi, l’identità del nemico cambia continuamente, secondo vari ripensamenti. Il Grande Fratello individua nemici dappertutto, prima in Eurasia, poi in Estasia e poi di nuovo in Eurasia. Bush ha iniziato la sua ascesa bellicosa prima prendendosela con Al Qaeda, poi con Saddam, e adesso deve scegliere fra la Siria, l’Iran e di nuovo Al Qaeda per il ruolo del super cattivo. La sostanza, ha detto Orwell, è questa: “Il nemico del momento rappresenta sempre il male assoluto, con la conseguenza che qualsiasi accordo presente o futuro con è e sarà impossibile.”

Notare come la definizione di male puro del nemico comporta che gli accordi “del passato”, se mai esistiti, debbano essere dimenticati o rifiutati. Consideriamo, per esempio, la visita di Rumsfeld a Bagdad durante l’era reganiana, quando è stato filmato mentre salutava Saddam. Non è mai successo, vero? Saddam lo abbiamo sempre odiato, e non gli abbiamo mai mandato interi arsenali di armi per aiutarlo a combattere il precedente “nemico del momento”, l’Iran.

“La storia si è fermata”, ha spiegato Orwell, “Non esiste niente se non un continuo presente nel quale il Partito ha sempre ragione. Effettivamente l’attuale Casa Bianca, in quanto a ideologia, rifugge anche dall’idea di aver mai sbagliato. George Bush è patologicamente contrario ad ammettere anche il pur minimo sbaglio perché, come dice Orwell, “… la cosa più importante di tutte per aggiustare il passato, nasce dalla necessità di salvaguardare l’infallibilità del Partito. Non si tratta semplicemente di aggiornare in continuazione discorsi, statistiche e registrazioni di ogni tipo e genere per dimostrare che le previsioni del Partito erano in ogni caso esatte. Si tratta anche che non viene ammesso nessun cambiamento di dottrina o di schieramento politico. Perché ogni cambiamento d’opinione, o anche di politica, è una confessione di debolezza.”

Se ci riflettiamo Orwell ha scritto la monografia di quasi tutte le comparse retoriche della carriera del presidente Bush: “E’ proprio una bella cosa la distruzione delle parole.”

Non c’è una descrizione migliore di quello che è stato fatto, da parte dell’impresario presidenziale Karl Rove, per capovolgere il significato degli eventi come la dichiarazione di vittoria contro l’Irak il primo maggio del 2003 con la scritta “Missione compiuta”, oppure il grande spettacolo dell’anniversario dell’11 settembre a New York nel 2005, tipo luminarie e fuochi artificiali, o la presenza di Bush incastonato da una luce particolare in Jackson Square, o la sua comparsa a New Orleans dopo l’uragano Catrina, come questo passaggio di Orwell: “Processioni, incontri, parate militari, mostre, spettacoli cinematografici, programmi a distanza, tutto deve essere organizzato; bisogna alzare degli stand, costruire delle immagini, creare nuovi slogan, cantare nuove canzoni, far circolare dei si dice, ritoccare le foto…”

Il regime di Bush, per quanto riguarda le tecniche di pubbliche relazioni, ha fatto un’arte della “dissonanza cognitiva”, e cioè l’abilità di proclamare sinceramente due verità opposte allo stesso tempo. Orwell adopera un termine semplice per definire questa capacità “doublethink” (doppio pensiero). Ad esempio Bush ha inizialmente insistito sul fatto che Saddam fosse collegato all’attentato dell’11 settembre, poi ha ammesso che il legame non c’era, poi ha insistito di nuovo. Orwell così si esprime: “Dichiarare deliberatamente delle bugie mentre si crede genuinamente che siano vere, dimenticare tutto quello che è diventato non conveniente, e poi, quando diventa nuovamente necessario, tirarlo fuori dal dimenticatoio giusto per il tempo che è necessario, negare l’esistenza della realtà obiettiva e allo stesso tempo fare fronte alla realtà che viene negata…”

Proviamo a confrontare queste frasi con le osservazioni di un funzionario elevato della Casa Bianca, citato da Bob Woodward: “Ora siamo un impero, e quando agiamo creiamo la nostra propria realtà. E mentre voi studiate questa realtà, coscienziosamente, noi agiamo di nuovo, creando un’altra realtà, che adesso dovete studiare di nuovo, ed è così che vanno le cose. Noi siamo gli artefici della storia.”

Si tratta della voce del potere allo stato grezzo e dell’arroganza allo stato puro, ciò di cui Orwell si è ampiamente occupato nel suo “1984”. Forse il punto dove l’Oceania di Orwell e l’America di Bush convergono di più è nella loro inclinazione verso la crudeltà umana. Orwell ci ha fatto conoscere il così cinicamente denominato Ministro dell’Amore e la Stanza 101. Bush ci ha fatto conoscere Abu Ghraib, Guantanamo, e “le consegne straordinarie” (di gente da torturare. NdT) mentre contemporaneamente si dichiara esente dalle regole della più elementare decenza umana scritte nella Convenzione di Ginevra. Il potere crea le proprie regole, e le proprie realtà.

Orwell ha scritto anche su questo: “… Ma, non dimenticarti di questo Winston, ci sarà sempre una ubriacatura di potere, sempre più grande e sempre più sottile. Sempre, in ogni momento, ci sarà il brivido della vittoria, la sensazione di sopraffare un nemico che è senza difese. Se vuoi un immagine del futuro, immaginati uno stivale che schiaccia una faccia umana, per sempre,,,”

David Benjamin
Fonte:www.commondreams.org
Link:: http://www.commondreams.org/views05/1104-26.htm

4.11.05

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