DI MIKE WHITNEY
counterpunch.org
L’ora di tagliare la corda
“Queste due visioni, una di tirannia e uccisioni, l’altra di vita e libertà, si sono scontrate in Afghanistan. E grazie alle coraggiose truppe americane e della coalizione, e grazie ai patrioti afgani, l’incubo dei talebani è finito e quella nazione sta tornando alla vita.”
– George W. Bush, The War College Address, 2004
Aspetta un attimo, George.
Gli Stati Uniti non hanno liberato l’Afghanistan. Non hanno ricostruito l’Afghanistan. Non hanno né rimosso i signori della guerra dal potere, né ridotto la produzione di oppio. Non hanno stabilito una forte istituzione democratica, né hanno migliorato la vita dei normali lavoratori. Gli Stati Uniti non hanno raggiunto nessuno degli obbiettivi strategici prestabiliti. I talebani sono più forti che mai, il governo centrale non è che una corrotta farsa, e, dopo 11 anni di guerra, il paese è in rovina.
Questo assomiglia a una sconfitta. I militari statunitensi sono stati sconfitti da una milizia scarsamente armata, che ha dimostrato un piglio superiore sulla guerra moderna e sugli scontri asimmetrici. I talebani hanno dimostrato di essere più versatili, più motivati e più furbi. Per questo hanno prevalso. Per questo hanno battuto l’esercito più celebrato del mondo.
Agli Americani non piace questo tipo di discorso. Sono molto fieri del loro esercito e sono disposti a pagare fino a un trilione di dollari l’anno per tenerlo equipaggiato con le armi più avanzate al mondo. Ma le armi non vincono le guerre da sole, nè lo fa la propaganda. Fosse il caso, gli Stati Uniti avrebbero vinto da un pezzo, ma non è così. E’ la tattica a vincere le guerre, sono le operazioni, la strategia. Ecco su cosa bisogna puntare se si vuole avere successo.
Ecco un estratto di un articolo di William S. Lind che spiega il perché del fallimento americano in Afghanistan:
“Una regola generale in guerra è che un livello superiore trionfa su un livello inferiore, e la tecnica è il livello più basso che c’è. I nostri SEALs, Rangers, Delta, SF (Special Force), e tutto il resto sono nettamente superiori ai talebani in tecnica. Ma gli avversari si sono a volte dimostrati abili nella tattica, le operazioni e la strategia. Li possiamo battere solo sorpassandoli su quei livelli più importanti. Lì, purtroppo, le Special Operation Forces (forze operative speciali) non han nulla da offrire. Non sono niente più che un altro proiettile di piombo in un arsenale obsoleto di seconda generazione.” [“What’s so special about Special Ops?”, William S. Lind, The America Conservative]
I gadget di alta tecnologia e i droni auto-pilotati dell’esercito USA mascherano il fatto che l’America sta ancora combattendo una guerra vecchia e non si è adattata alla nuova realtà.
Ecco un altro commento di Lind sullo stesso argomento:
“La più grande sfida intellettuale delle guerre di quarta generazione – guerre contro nemici che non sono nazioni – è quella di come combatterle a un livello operativo. La NATO in Afghanistan, come i sovietici tre decenni fa, non è stata efficace in questo. Mentre sembra che i talebani sì” … “L’esercito sovietico focalizzò i suoi migliori talenti sull’arte operativa. Ma in Afghanistan fallì, come abbiamo fallito noi. Come i sovietici, possiamo prendere e tenere qualsiasi sprazzo di terra afgana. Ma ciò, come per i sovietici, non ci porta neanche un passo più vicino alla vittoria strategica. Al contrario, i talebani hanno trovato un modo elegante per connettere strategia e tattica nella moderna guerra decentralizzata.
La strategia NATO sarebbe quella di addestrare abbastanza forze afgane per tenere a bada i talebani una volta che ci ritiriamo. La risposta talebana è stata quella di avere uomini in uniforme afgana – molti dei quali effettivamente poliziotti o militari del governo – che puntano fucili verso i loro colleghi della NATO. E’ un colpo fatale verso la nostra strategia perché rende impossibile la missione di addestramento. Ecco a voi l’arte operativa della guerra di quarta generazione”… “I talebani sanno che questa tecnica è operativa, non solo tattica. Ci si può aspettare che ci ripongano tutti i loro sforzi. Come possiamo opporci? Ordinando alle nostre truppe di far finta di niente, di continuare a fidarsi dei loro colleghi afgani. Quest’ordine, se applicato, metterebbe i nostri soldati in una posizione talmente insopportabile da far collassare il morale.”
[“Unfriendly Fire”, William S. Lind, The American Conservative]
Lind non sottovaluta i talebani, né li etichetta come “ignoranti pecorari”. In realtà, sembra ammirare il modo in cui hanno interpretato la guerra 4-G e buttato fuori un nemico con tecnologia, comunicazioni e potenza di fuoco nettamente superiori. Ciò contribuisce a dimostrare la sua tesi, cioè che la tattica, le operazioni e la strategia sono quel che conta di più.
Per più di un decennio, i talebani hanno portato avanti una guerriglia impressionante, vanificando i tentativi degli Stati Uniti di stabilire una situazione sicura, di tenere territori o di aumentare il potere del governo centrale (Karzai). Nell’ultimo anno, gli sforzi della milizia sono stati ripagati essendo che gli attacchi, chiamati “green on blu”, di poliziotti e militari Afgani sulle truppe della coalizione hanno distrutto l’obbiettivo degli USA di mantenere un regime amichevole a Kabul quando le operazioni belliche americane terminano e le truppe si ritirano. I talebani hanno trovato l’anello debole nella strategia del Pentagono e l’hanno sfruttato fino in fondo. Con le parole dello specialista dell’American Security Progect Central and South Asia, Joshua Foust:
“La missione di addestramento è la base della strategia corrente. Senza quella missione, la strategia crolla. La guerra è alla deriva, ed è difficile pensare che si possa evitare un disastro totale.” [“The Day we lost Afghanistan”, Joshua Foust, The National Interest]
E’ ORA DI TAGLIARE LA CORDA?
I continui attacchi green on blu hanno convinto i leader degli Stati Uniti e della NATO che questa guerra non si potrà vincere, motivo per il quale il Presidente Barack Obama ha deciso di gettare la spugna. Ecco una parte del discorso di Obama a Maggio a una conferenza NATO a Chicago:
“Non penso ci sarà mai un momento ottimale nel quale potremmo dire: è tutto compiuto, è perfetto, abbiamo raggiunto quello che volevamo e ora possiamo fare le valigie e tornarcene a casa”… “La nostra coalizione si è impegnata nel piano di portare la nostra guerra in Afghanistan ad una fine responsabile.”
La classe politica sta annunciando che abbandonerà. Hanno deciso di tagliare le perdite e andarsene. Ecco come lo riassume il New York Times:
“Dopo più di un decennio di sangue americano versato in Afghanistan”… “è giunta l’ora per le forze statunitensi di lasciare l’Afghanistan” … “Non ci dovrebbe voler più di un anno. Gli Stati Uniti non raggiungeranno neanche gli obbiettivi rimaneggiati del Presidente Obama, e prolungare la guerra creerebbe solo altri danni.” …
“Gli Ufficiali amministrativi dicono che non considereranno una “ritirata logistica”, ma non danno nessuna speranza di raggiungere pieno controllo né gli obbiettivi di sicurezza. E l’unica missione di cui siamo a conoscenza, quella di fornire sicurezza nelle elezioni afgane del 2014, sembra quantomeno dubbiosa”…
“l’idea di realizzare le aspirazioni di sicurezza e di una più ampia democrazia diventa sempre più sfuggente”… “Altri combattimenti non consolideranno il modesto guadagno ottenuto con questa guerra, e sembrano esserci poche possibilità di garantire che i talebani non torneranno”…
“L’Afghanistan post-americano sarà presumibilmente più presentabile della Corea del Nord, meno presentabile dell’Iraq e forse al livello del Vietnam. Ma rappresenta la stessa forma di punto morto. Dobbiamo andarcene quanto più velocemente possibile mantenendo la sicurezza.”…
“Gli interessi globali dell’America ne risentono, quando essa è infangata in guerre invincibili in terre lontane.” [“Time to Pack Up”, New York Times]
Si noti come il Times non menzioni la Guerra al Terrore, al Qaida o Bin Laden, tutte ragioni usate per raccogliere supporto per la guerra. Quello che conta adesso sono gli “interessi globali dell’America”. E’ un bel capovolgimento, non credete?
Cosa è successo alla ferrea decisione di combattere la “giusta battaglia” finché sarà necessario; di liberare le donne afgane, di spargere la democrazia alla vasta Asia Centrale e di eliminare i fanatici talebani una volta per tutte? Era solo un vuoto atteggiarsi mirato a ingranare la macchina da guerra e a sbilanciare la pubblica opinione?
Guardate come è facile per il Times fare una radicale dietrofront quando solo pochi mesi fa provavano a persuadere i lettori che avremmo dovuto stringere i denti e rimanere per proteggere le donne afgane. Date un occhiata a questo editoriale datato Agosto 2012 intitolato “The Women of Afghanistan”:
“L’Afghanistan può essere una terra difficile e crudele, specie per donne e bambine. Molti temono che saranno ancora più vulnerabili alle dure tradizioni tribali e agli uomini che le impongono dopo la ritirata delle truppe americane nel 2014.
I diritti delle donne hanno avuto una modesta ma significativa evoluzione nell’ultimo decennio. Ma questa evoluzione potrebbe sparire senza un forte impegno per preservarla ed accrescerla da parte dei leader afghani, di Washington e degli altri partner internazionali”…
“…tutti gli afghani dovrebbero impegnarsi ad aumentare il potere delle donne. Come ha argomentato Mrs. Clinton, ci sono molte indicazioni che mostrano che nessun paese può crescere e prosperare nel mondo di oggi se le donne sono marginalizzate e oppresse.” [“The Women of Afghanistan”, New York Times]
Ahh, ma dare un mano alle donne afgane “marginalizzate e oppresse” non aiuta troppo gli “interessi globali americani”, eh? Come ci si può attendere, i più nobili sentimenti del Times sono modellati da interessi politici. In ogni caso, la tacita ammissione del Times prova che la guerra non ha mai avuto il proposito di liberare le donne o spargere democrazia, o neanche di uccidere Bin Laden. Era per gli “interessi globali americani”, in particolare, oleodotti, estrazione di minerali e il Grande Gioco, controllare i beni immobili nella prolificante Eurasia, il centro economico del secolo che verrà. Ecco perché gli USA hanno invaso l’Afghanistan, tutto il resto è propaganda.
C’è un’altra evidente omissione nell’articolo del Times che vale la pena notare. Gli editori girano meticolosamente intorno alla parola che meglio sintetizza la situazione: Sconfitta. Gli Stati Uniti non stanno lasciando l’Afghanistan volontariamente. Sono stati sconfitti. L’esercito degli USA è stato sconfitto proprio come fu sconfitto l’IDF da Hezbollah nell’estate del 2006, sottovalutando la tenacità, l’abilità, la ferocia, l’adattabilità e l’intelligenza del loro avversario. Ecco perché Israele ha perso la guerra in Libano ed ecco perché gli USA han perso quella in Afghanistan.
C’è un motivo per il quale i media non usano la parola “sconfitta”, adatta quant’è a descrivere la situazione. Perché l’americano medio capisce “sconfitta”, capisce la vergogna della sconfitta, ne capisce il dolore e ne capisce la rabbia. La sconfitta porta al ripudio del potere, è la prova che siamo governati da buffoni e canaglie. La sconfitta è anche un forte deterrente, l’idea si ingigantisce nella testa della gente e li rivolta contro gli interventi all’estero, le azioni della polizia e la guerra. Per questo il Times non si azzarda a pronunciare la parola, perché la sconfitta è l’antidoto contro l’aggressione, e il Times non desidera ciò. Nessuno dei media lo desidera.
La verità è che gli Stati Uniti sono stati sconfitti in Afghanistan. Se possiamo cogliere questo fatto, allora forse possiamo fermare la prossima guerra prima che abbia inizio.
Mike Whitney vive nello stato di Washington. Contribuisce a Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion (AK Press). Può essere raggiunto a [email protected].
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2012/10/31/afghanistan-the-smell-of-defeat/
31.10.2012
Traduzione per www.Comedonchisciotte.org a cura di PEREA