DI PAOLO BARNARD
In Italia c’è una congiura
accidentale fra la politica e l’antipolitica che ha come risultato il medesimo
punto d’arrivo: impedire ai cittadini di agire sui problemi più gravi che li
affliggono. In questo senso, Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Bruno Vespa e
soci vanno a braccetto con Beppe Grillo, Marco Travaglio, Piero Ricca e
compagni. I primi hanno un preciso interesse nell’agire: il mantenimento del
loro potere e quello dei loro sponsor nazionali e
internazionali. I secondi hanno un interesse non dissimile: il mantenimento
della loro fama e del loro ego ipertrofico, che alla fine sono potere,
travestito da passione civica. I metodi però sono
molto differenti. Quelli del potere politico sono noti. Più subdoli e meno
citati sono quelli dell’antipolitica, ovvero dei
leader dell’antipolitica. Essi hanno lavorato e lavorano ormai da anni per contagiare i cittadini attivi con una febbre,
con una sorta di frenesia incontrollabile, un’ossessione esponenziale che
riguarda Silvio Berlusconi e ogni suo trascorso, ogni suo collaboratore,
contatto, conoscenza, ogni sua mossa, processo, lite, decisione, idea, parola,
battuta, tic, smorfia, tutto. Decine di migliaia fra
dibattiti, libri, blog, articoli, documentari, film, serate, comunicati,
volantini, manifestazioni, discussioni, notti insonni, grida e furie rincorrono
ossessionati il Cavaliere e i suoi, ogni giorno, da anni, moltiplicato per
centinaia di migliaia di italiani in un chiasso che fa uscire di senno. E infatti sono tutti usciti di senno. Come se Arcore fosse il
centro cosmico dei destini di questo nostro Paese.
Invece, i fondamentali problemi
che ci stanno sequestrando la vita sono altri, e soprattutto esistono da ben
prima del berlusconismo politico. Non sono le leggi ad personam, le ruberie delle
Caste, o gli inciuci degli amministratori. Quella roba è patrimonio comune di
quasi tutti i regimi politici, e anzi, in Paesi da noi
considerati più civili si scoprono, a voler scavare, fenomeni molto più
aberranti di qualsiasi cosa il Cavaliere o i d’alemiani
abbiano mai fatto da noi.
Mi prendo
qui la responsabilità di elencare alcuni dei grandi problemi reali e
invalidanti che stanno affossando la nostra vita e il futuro di chi abbiamo
messo al mondo, ma ai quali viene dedicata una frazione dell’energia che si
impiega ad alimentare il movimento No Cav. Ne cito, fra tanti, solo cinque.
Le donne italiane. Sono passate
nella Storia dall’essere considerate 3/5 umane – dunque animali da soma
liberamente stuprabili dal padre o bruciabili in piazza – alla modernità del manageriato, dello spinning, dell’università o del parto
indolore senza acquisire la cosa più preziosa: una soglia di
dignità invalicabile. L’immagine e il corpo della donna in Italia sono abusati
come in pochi altri casi sull’intero pianeta. Ma come siete arrivate a permetterlo? Come permettete che
milioni di vostre figlie crescano in un Paese che vi
umilia con una sistematicità giunta al grottesco? Come tollerate che quasi ogni
media e sistema commerciale esistenti vi chiedano
preferibilmente di essere “viste (nude) ma non udite”? Cioè delle immagini mute
ma tirate a lucido perennemente preda di voluttuosi
spasmi al solo contatto con lo yogurt, con i collant, con la superficie di una
cucina economica. Per non parlare di ciò che vi accade negli ordinari ambienti
di lavoro. E allora ditemi, a chi toccava tutelarvi? A Berlusconi e alla
sensibilità delle sue tv commerciali? Ma figuriamoci!
No, toccava a voi. E non lo avete fatto. E’, questa, una tara che voi
permettete venga trasmessa in dote a ogni singola
ragazza italiana nella relazione col mondo maschile, e che così spesso ne
sfigura senza rimedio la dignità, l’autostima, lo spirito. Altro che la vicenda
Carfagna. Ne compromette sia le chances
di affermazione paritaria in ogni sfera della vita
adulta che la collocazione come genere nella modernità civile internazionale.
Ecco un vero urgente problema italiano per cui mai avete
fatto un No Day, una marcia su Roma o uno sciopero
generale di tutte le lavoratrici italiane.
E poi c’è il tempo. Ce lo siamo rubato, l’abbiamo reso inconcepibile, ormai
insperabile e neppure più sognato. Non abbiamo più tempo, neanche per salvarci
la vita. Abbiamo acconsentito a uno stile di vita che porta in sé un paradosso
assurdo: l’esplosione della tecnologia che ha ridotto enormemente i carichi di lavoro in ogni campo (immaginate oggi
un’archiviazione di un ministero senza computers, la
trebbiatura a mano di 100 ettari), ma che non ha liberato alcun tempo per noi,
anzi. La mancanza di tempo è poi uno dei fattori di
maggior importanza nella strategia del Potere per mantenere se stesso, come
spiego più sotto. Siamo masse di milioni di persone
prive di tempo per imparare a costruire una relazione vera con i figli, non c’è
il tempo per la cura della propria anima fuori dalla parrocchia di default,
eppure dobbiamo tutti morire, o per la conoscenza delle più basilari regole di
salute; non c’è tempo per sopravvivere a un lutto, per trovar senso se un senso
viene a mancare, per accorgerci se la vita ci sta deformando e per trovare
rimedio prima di fare danni tragici a noi stessi o ai nostri figli. Lavoriamo
tutta la vita adulta e più nessuno osa immaginare che potremmo ottenere un
nuovo diritto, un passo avanti epocale di civiltà: il
diritto a non dover lavorare sempre. Il diritto ad avere tempo per noi, finché
il corpo funziona, finché possiamo goderne. E poi questo: chi non ha tempo,
mai, come fa, ditemi, a informarsi oltre le narrative preconfezionate (solo
questo richiede tempi enormi), e poi a partecipare, a organizzare, a lottare, e
a dare di se stesso/a per cambiare il proprio tempo?
Come fa, in altre parole, a contrastare il Potere? Impossibile, non può farlo,
e infatti la maggioranza non lo fa. Ecco perché la
società civile organizzata realmente e costantemente attiva si assesta in media
sullo 0,25% degli elettori italiani. E per il Potere il gioco è fatto. Ecco un
vero gravissimo nostro problema. Altro che lodo
Alfano.
Ce ne sono altri, come la scuola,
dove non è assolutamente una questione di Moratti o Gelmini, ma di obbrobrio strutturale dell’istituzione stessa. La scuola
è sempre stata, e rimane, una macchina il cui compito primario è distruggere
l’autostima della persona entro l’età di 8 anni, per
annientarne la futura capacità di essere cittadino attivo, temuta dal Potere.
Nell’istruzione superiore essa insegna da sempre contenuti del tutto
irrilevanti alle priorità essenziali ed esistenziali dei giovani. In generale,
lungo tutto il suo iter essa impartisce due insegnamenti, che saranno poi alla
base del congelamento delle coscienze civiche dei
futuri cittadini: non avete diritti, siete ricattati. Dall’età di 6 anni fino alla maggiore età l’alunno/a impara soprattutto
questo: inutile ribellarsi alle tante plateali storture o follie del regime scolastico, inutile contestare un insegnante o un metodo, non si ottiene nulla, anzi, ci si
rimette. Devastante, da tempi immemorabili e ben prima di Berlusconi. Altro che
depenalizzazione del falso in bilancio, qui parliamo
dei nostri bambini, tutti.
E poi l’autostima. Nella mia vita
ho avuto il pregio di vivere quasi sempre fuori dalla
cerchia dei miei simili, e nel mondo maggioritario. Sono un giornalista,
scrittore, ho studiato, ho avuto una carriera che mia ha portato a contatto coi miei pari, cioè con una gamma ampia fra professionisti,
intellettuali, attivisti, pensatori. In genere ci collochiamo saldamente all’interno della cerchia dei nostri affini a da lì non ci
spostiamo più. Finiamo per fonderci in essa e da essa osserviamo e giudichiamo
il mondo (folli!). Ma in tal modo, in realtà, perdiamo contatto con esso, chiusi
come siamo nella nostra torre d’avorio d’appartenenza.
Io invece no. La gran parte del mio tempo l’ho speso in mondi che col
giornalismo, l’intelletto e il potere che essi comportano non avevano nulla, ma
proprio nulla da spartire, e nei quali mai ho incontrato un mio pari. Sono i
mondi maggioritari, quelli che non comprano il giornale, che vivono
con Rete 4 perennemente accesa, che Santoro sanno vagamente chi è, e Travaglio
proprio non l’hanno mai sentito nominare. Sky calcio, super Enalotto, le rate
della casa e della macchina, Franco Rosso, il venerdì sera fuori con le amiche
e lui con gli amici, Piero Angela ogni tanto, governo ladro… ma che ci vuoi
fare?, e soprattutto la loro vita ordinaria ovunque si
trovino. Nati alla Fantuzza di
Medicina, a Piazzola sul Brenta, a Termoli, o nelle periferie di tutta Italia, impiegate in un’acciaieria, magazzinieri da Pittarello, o taxisti, camiciaie, bariste sull’Eurostar, studenti degli istituti professionali, postini…
Milioni di persone così, soprattutto giovani, con un
problema asfissiante, o meglio, una domanda asfissiante: “Chi sono io? Sono qualcuno io? Cioè, come mi
colloco nella scala dei valori in cui sono nato/a?
Perché quella scala, che mi martellano nella testa da quando sono venuto/a al mondo mi dice una e solo una cosa: io non sono nessuno.
Nel trionfo smisurato della Cultura della
Visibilità (leggi Vip) che oggi tutto pervade (anche l’antisistema), io non ho chances. Non sono visibile, non lo sono i miei genitori,
non lo sarò mai. Non ho la cultura, non ho la bellezza shock, non ho la ricchezza,
non ho le conoscenze che contano, non ho potere, la mia parola non conta, mai,
non ho accesso ai luoghi che contano, la mia vita è il tran tran. Io sono la massa, indistinta, che non piace, che non muove
nulla, che non ha accesso a nulla, che subisce sempre, che assiste di continuo
alla vita degli altri, quelli Visibili,
quelli che contano, i ‘Personaggi’, onnipresenti, strapresenti, vincenti. Vivo
in un mondo che mi insegna ogni giorno che noi, ‘the little people’, non siamo nulla, anzi, non siamo“. Fine di ogni brandello di autostima.
Non so come esprimerlo in queste righe, forse non ci sono le parole, ma la
devastazione che la totale mancanza di autostima in tal modo indotta infligge a questi esseri umani
spezza il cuore a vederla. La si spia con chiarezza anche
solo se si è vagamente ‘qualcuno’, come sono io. Non appena costoro apprendono che
tu sei ‘qualcuno’, perché ti hanno visto in tv per
caso e anche una sola volta, perché gliel’hanno detto, o per qualunque altro
motivo, si trasformano, si piegano su se stessi, si paralizzano spesso. E
regolarmente, quando ti si rivolgono per una domanda o altro, la premessa è “io non sono nessuno, ma…”. Sempre, quel
terribile “io non sono nessuno”, Dio quante
volte! Poi, “mi scusi se la disturbo, lei
è impegnato…” (riflettete su questa valutazione dell’impegno
di chi è ‘qualcuno’, che è automaticamente valutato come più importante dell’identico
impegno di chi ‘qualcuno’ non è), o addirittura ti mandano a dire che ti
vorrebbero chiedere qualcosa, non osano. O ancora, se in una situazione
pubblica prendi le loro difese, li vedi improvvisamente divenire baldanzosi,
proprio mettersi dietro di te con un fervore da bimbi e
con una afflato che commuove perché per una volta qualcuno “che conta” li ha considerati. Per una
volta!
Per sfuggire al soffocamento del non essere, essi fanno di tutto. E
spesso sono comportamenti fatui, deleteri, persino aberranti, solo perché
quelli che contano, i Vip, fanno esattamente la stessa
cosa, che però a loro garantisce impunità, anzi ancor più fama, e ancor più
privilegi.
Persone che crescono così private
di qualsivoglia autostima, e sono milioni, muoiono
dentro fin dall’adolescenza. Soprattutto perdono per sempre ogni speranza di
incontrare se stessi, di amarsi, e di sentirsi degni. E chi non si sente
degno, non osa, non partecipa, non può cambiare il proprio tempo. E’ così che
milioni di cittadini vengono resi inattivi, e la
società civile muore. Questo fa la Cultura
della Visibilità, quest’orrore incalcolabile. Altro che leggi ‘salva
premier’.
Direttamente collegato a quanto
appena detto è l’emergenza nazionale di questo Paese,
che si chiama Prolasso Civico. Dimenticate i politici, le loro ruberie e la
loro immoralità che, lo ripeto, sono intrinseche nella natura di ogni politico al mondo. Il dramma non sono
loro, siamo noi, che non reagiamo a sufficienza. Il Prolasso Civico italiano
siamo noi, tutti noi, è la disabilità civica cromosomica propria degli italiani
sopra a ogni altro popolo, è tutto, è la ragione di
tutto ciò per cui soffriamo come collettività, è Il Punto. Un’osservazione
onesta di ciò che ciascuno di noi ha visto e udito dai propri simili in questo Paese (ma anche in e da se stesso/a) non può che
spingerci a dichiarare che siamo impastati di inciviltà, di indisciplina, di
un’etica del lavoro traballante, di omertà, di mafiosità, di egoismo. In diverse misure, ma tutti lo siamo. Ed è
per questo che in così tanti adoriamo la pratica della fustigazione
della Casta e i suoi sacerdoti, perché essa ci autoassolve in massa dalla
verità: l’Italia di Berlusconi, Cuffaro, Ricucci, dei casalesi, di Andreotti, di Briatore, delle
Veline, di Mediaset, di Moggi, Fassino o Sircana…
siamo noi. Essi sono solo le nostre ombre sul muro. Il più grande problema di questo Paese, mi si perdoni la scurrilità, è questo:
siamo circondati da feci che galleggiano? Bene, perché allora da sessant’anni noi cittadini non tiriamo lo sciacquone?
Noi. La risposta è probabilmente nelle righe appena sopra.
Paolo Barnard
Fonte:http://www.paolobarnard.info/
Link: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=42
20.10.08