DI VITTORIO CARLINI
ilsole24ore.com/
Settembre è arrivato. Il mese in cui, di solito, cadono le Borse è iniziato. Molti si domandano se anche quest’anno la prassi verrà confermata. Oppure, se vivremo un’altra eccezione. Al di là delle dichiarazioni e dei commenti di molti esperti, i motivi per procedere con molta cautela sono numerosi. Il Sole24Ore.com ne ha analizzati, senza pretesa di completezza, alcuni.
Non fate ciò che dico, fate ciò che faccio.
Potrebbe riassumersi così l’analisi del comportamento di molte banche e investitori istituzionali. Per rendersene conto basta ritornare con la mente al 26 agosto scorso. In quella data si è svolta un’asta di titoli di Stato, con la domanda che ha superato l’offerta. I BoT semestrali sono stati collocati con un rendimento medio ponderato dello 0,550%. Secondo Assiom, vuole dire un yield semplice al netto di tassazione e commissioni dello 0,08 per cento. Ebbene – si chiederà – cosa mostra questo fatto? La risposta è semplice: visto che gli acquirenti sono stati in maggior parte banche e istituzionali, ciò vuole dire che questi soggetti, spesso impegnati a distribuire ottimismo (pur con le debite riserve) sui rally dei mercati, preferiscono parcheggiare la loro liquidità a breve in investimenti con rendimenti vicino allo zero.
«In effetti – dice Alberto Drusiani, esperto obbligazionario di Albertini Syz – il messaggio di ottimismo sui mercati è arrivato con chiarezza. Però, tutta questa sicurezza sull’equity evidentemente non c’è. Gli istituzionali, che ovviamente sono già esposti sull’azionario, preferiscono diversificare». Si potrebbe obiettare che l’attuale forte inclinazione della curva dei tassi, sia negli Usa sia in Europa, segnala i timori della ripresa dell’inflazione e quindi dell’economia. Insomma, le condizioni per proseguire nella salita dei mercati ci sarebbero. Anche in questo caso, però, bisogna fare attenzione. Le obbligazioni a lunga durata scontano sì un surriscaldamento dei prezzi che, tuttavia, potrebbe essere conseguenza dell’enorme liquidità immessa dalla banche centrali, piuttosto che di una ripresa dell’economia. Come dire, insomma, che passato l’effetto ondata di liquidità sul mercato, se non il mondo dell’economia reale non riparte i corsi azionari potrebbero risentirne.
Il rally di banche e istituzioni finanziarie
Un altro aspetto interessante da valutare, peraltro già indicato da questo questo foglio elettronico, è il balzo di molti istituti finanziari dai minimi di marzo. Basta ricordare il caso Aig che è cresciuta più del 260% negli ultimi 6 mesi, raggiungendo quota 50 dollari (dai 7 dollari toccati in marzo). È ben vero che si tratta di una quotazione sempre molto al di sotto di quelle prima del crollo: l’8 settembre 2008 Aig viaggiava sui 455 dollari. Tuttavia il carburante che ha spinto il titolo di recente non è stato poco. Proprio nello scorso agosto c’è stato l’innamoramento degli investitori per Aig: il 3 dello scorso mese il titolo è salito del 3,5% sulla notizia della nomina del nuovo ceo Robert Benmosche, al posto di Ed Liddy. Poi, è balzato del 63% sui rumors che il colosso assicurativo sarebbe tornato all’utile (5 agosto); una notizia confermata (per la felicità dei soliti insider) il 7 agosto, quando Aig ha pubblicato i conti del secondo trimestre: profitti netti a 1,8 miliardi e titolo che guadagna un altro 20,5%. Cui si aggiunge un altro salto in alto: il 20 agosto, dopo le parole di Benmoshe sulle buone possibilità di restituire gli 80 miliardi di dollari ricevuti dal governo, le azioni crescono del 21 per cento. Si tratta di un rally “sensato”? Indubbiamente, la trimestrale è l’indizio di una ripresa del business; cui deve aggiungersi il fatto che, con lo stato come azionista, il futuro di Aig è meno a rischio. Tuttavia sono molti a Wall Street nel sottolineare che l’azienda ha ancora molti problemi. Solo due giorni fa Benmosche, tramite il Wall Street Journal, ha inviato un ramoscello di ulivo al grande vecchio della compagnia: Hank Greenberg. Quello stesso Greenberg con cui il gruppo assicurativo ha in piedi due cause per avere ricevuto compensi troppo elevati. Un segnale che, i maligni, hanno interpretato come una debolezza di Benmosche, soprattuto rispetto alle tanto annunciate dismissioni di asset.
Rotazione settoriale o fuga dalla Borsa?
L’idea che ha preso piede, e non solo nei confronti di Aig bensì di molti titoli finanziari, è che siano stati colpiti da un’ondata speculativa. Un massa ingente di liquidità che cercava un qualche ritorno. Ora che l’ha trovato, è naturale che il fiume di soldi si indirizzi verso altri lidi. Dove? «Il comparto farmaceutico, l’energia e i consumi di base – risponde Mike O’Rourke, di Btig – hanno sottoperformato». Questi settori entreranno nel mirino degli investitori «dando vita non una correzione – dice O’Rourke – bensì a un movimento laterale». L’idea, tuttavia, non convince tutti. «Se gli operatori vanno long sui comparti difensivi – sottolinea John Kosar, di Asbury Research – significa che non sono così sicuri della tanto decantata ripresa economica. Molti money manager hanno investito per cogliere il momento e non perché credono nella Borsa. Il rischio è che, ad un certo punto, granparte di loro sceglierà di uscire, conetmporaneamente».
Corsi e ricorsi storici
Le statistiche, si sa, sono fatte per essere smentite. La recessione che stiamo vivendo ne è la prova lampante: i sistemi stocastici, basati su serie storiche, non hanno previsto alcunché. Tuttavia, è dal 1982 che il buon andamento dei listini in agosto non è proseguito in settembre. E solo in un altro anno, «nel 1972 – dice Nick Kalivas, di Mf Global Research-, dopo un rimbalzo del 4%, l’S&P500 è salito anche nel mese successivo» . Un dato, insomma, che invita alla riflessione. Ed Yardeni la pensa diversamente. Secondo l’esperto, infatti, al di là dei dati storici ci sono alcuni elementi che danno forza al rally iniziato a marzo. Quali? In primis la Federal reserve che, mantenendo i tassi sullo zero, sostiene di fatto la liquidità; poi, l’iniezione di liquidità della Fed e delle altre banche centrali che hanno “monetizzato” più di metà del deficit federale Usa solo in questo anno; infine la Cina che, preoccupata di sostenere la domanda interna a fronte del calo di quella proveniente dall’America, proseguirà nella sua politica monetaria e fiscale espansiva.
La Cina vera locomotiva?
Già, la Cina. Non tutti gli esperti sono daccordo con la tesi di Yardeni rispetto al paese del Dragone. Lo scoppio della bolla di Shangai, infatti, ha convinto il governo di Beijing a varare delle misure restrittive sull’emissione del credito, in particolare rispetto ai bond subordinati e a quelli ibridi. Una stretta che, a detta di molti, rischia di rallentare la crescita economica cinese. Se così fosse, anche solo in parte, tutta questa spinta dal Far East potrebbe rivelarsi una chimera.
Vittorio Carlini
Fonte: www.ilsole24ore.com
Link
1.09.2009