A SCUOLA DI JAFAR

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com/

E’ un bel lusso essere nonni, non tutti – oggi – riescono a diventarlo: sarà che si diventa oramai padri a 50 e più anni, che i figli si sposano tardi…insomma, diventare nonni – nell’era globalizzata – è diventato un miraggio. Soprattutto, esserlo senza essere confinati in un letto e dunque di peso per i figli affaccendati in mille lavori e lavoretti: giovani che s’arrabattano e s’affannano per portare a casa un salario da fame. Un altro bel regalo della globalizzazione.
Fra i privilegi dell’esser nonni, c’è quello di rivedere i vecchi cartoni che, quando s’era genitori, o non esistevano oppure (più frequente) non s’aveva il tempo di seguire insieme ai figli (i quali, alla prima occasione, te lo fanno notare con un pizzico di sarcasmo).
La “nonnità” è quindi un privilegio, anche se chi scrive è un nonno che ancora lavora, ma impegnando poco di se stesso: il minimo indispensabile, quello richiesto dai “brunettiani” per non essere tacciato di “fannulloneria”. Perché? Poiché, quando si è nonni, s’inizia a percepire il tramonto della vita, quello che le tradizione colte del Pianeta (quella dell’India, ad esempio) riservavano all’anziano per prepararsi all’ultimo passaggio.

Noi, invece – schiavizzati dalla cultura del “giovani sempre”, per fornire “un’occasione di consumo” alla finanza anche quando non ce ne sarebbe più bisogno – posticipiamo l’età della pensione inviando, contemporaneamente, nell’etere messaggi subliminali: vecchi/giovani che saltano staccionate, s’inerpicano su ripidi pendii, giocano a calcio perdendo nelle azioni più concitate non la palla, bensì il libretto della pensione.
Ci sembra, tutto sommato, un mondo alla rovescia, dove chi dovrebbe decidere se ha meno di 70 anni non viene nemmeno preso in considerazione, mentre se ne ha solo (!) 40 riceve pacche sulle spalle ed inviti a “pazientare”. Verrà il tuo momento, credimi, quando sarai così bacucco che nemmeno più il Viagra ti salverà: sai che consolazione…

Lasciamo queste riflessioni ad altri lidi, ad altri articoli, perché – proprio mentre stavamo rivedendo “Aladin” con il nipotino al fianco – siamo stati colti da una folgorazione della logica, un’Epifania della sintesi politica, un’illuminazione sui tempi che stiamo vivendo.

A dire il vero, tutta la vicenda di Alfredo Milioni, dei suoi panini, delle telefonate, delle “assistenti del cavo orale” catapultate in politica [1], più che farci inorridire ci fa ridere. E di gusto. Com’è possibile che, una paperotta che ti lava i denti la sera (ma perché il Pelatone non se li lava da solo?), diventi degna di uno scranno in politica? Per fare cosa? Il ministro della sanità orale? Mah…
Giustamente, il Web ha incoronato Alfredo Milioni come l’icona del suo tempo: uno sfaccendato che ammette d’esser entrato in politica solo per non guidare più gli autobus, è “nel personaggio” se si dimentica delle liste da consegnare per mangiare un panino con la porchetta. Oppure, pressato da troppe telefonate – scrivi, cancella, riscrivi, ri-cancella, sovrapponi un nome… – alla fine il buon Alfredo sbotta: ma andatevela a piglià…vado a mangiare un panino con la porchetta…li mortacci vostri…
Nel miglior stile di Albertone: non fa una grinza.
Stante la consueta normalità della vicenda, nel panorama della politica “alla Cosimo Mele” – la coca non è coca se è la coca di un politico, la squinzia un po’ escort è solo un’assistente sociale, s’organizza l’orgia solo perché si è lontani dalla famiglia, ecc – tous va bien, c’est habituel.
Quello che invece non torna è l’atteggiamento del Nanus Primus dal cavo orale assistito, il quale va a tirar fuori addirittura “l’interpretazione autentica” di una norma del 1968.

Stiamo proprio riflettendo su questa “autenticità” quando, sullo schermo, transita Jafar che è stato chiamato dal Sultano per rispondere della (presunta) esecuzione di Aladin.
La situazione ci appare subito comica: anche sullo schermo c’è un vecchietto che abita nel Palazzo più alto, sul “colle” di Aqaba e che, ad onor del vero, non sembra tanto sveglio. Anzi.
E c’è Jafar.
Quel che incuriosisce è che, per giustificare la richiesta del Sultano sulla repentina esecuzione, Jafar sostiene che è stato il Sultano stesso a chiedergli di far rispettare l’ordine ad Aqaba, e così lui ha fatto. Ha dunque “interpretato” le volontà del Sultano.

Le interpretazioni più comuni nel Diritto sono tre: letterale, logica e teleologica. La prima non necessita di spiegazioni – è quella per la quale vale la più comune accezione dei termini e delle frasi, con il rischio che se rubi una banca od una mela sia la stessa cosa – la seconda è la più comune, che si affida al buon senso del magistrato, ossia alla correlazione della norma con la vicenda sotto esame. La terza riguarda principalmente l’interpretazione della norma alla luce dello scorrere del tempo.
C’è poi l’interpretazione “autentica”, che sembra più che altro la figlia di un Dio minore.

Jafar non applica nessuna delle tre interpretazioni, giacché non tutti i crimini sono puniti con la repentina decapitazione (letterale), tanto meno cerca di correlare il crimine di Aladin con la pena (logica), mentre ad Aqaba il tempo non scorre, e quindi non può esistere interpretazione teleologica.
Jafar, ricevuto dal Sultano il generico ordine di far rispettare la legge ad Aqaba, fa in pratica quel che vuole e si giustifica affermando che è stato il Sultano stesso a chiedergli di farlo: potrebbe starci un’interpretazione logica, ma il Sultano gli ricorda che le condanne a morte vanno discusse con lui prima, e non dopo.
Curiosamente, tutto ciò che fa Silvio Berlusconi è ripetere, alla noia, che lui fa tutto quel che fa perché ha ricevuto quel mandato dagli italiani.
Quando s’afferma che l’Italia è oramai un sultanato, non si è proprio fuori strada.

Con l’interpretazione autentica, insomma, si va a riscrivere – di fatto – una norma precedente ritenuta generica o di non facile interpretazione; di più: ha valore retroattivo!
Fuor di metafora, viene da chiedersi perché sia stata lasciata aperta una simile “porta” del Diritto, dalla quale può passare tutto ed il contrario di tutto.
L’unica spiegazione è che i giuristi ritennero, in casi sporadici, che ci potessero essere dubbi così fondati da richiedere al legislatore di tornare sui suoi passi e chiarire. Seguendo questa logica, le interpretazioni autentiche non dovrebbero accadere a distanza di molto tempo: se una norma è poco chiara, si dovrebbe capirlo subito.
E, invece, osservate cosa combina il piazzista di Arcore con la sua mania “jafariana”: approfitta di una interpretazione che fu accettata solo per ambiti temporali limitati – altrimenti diventa un’interpretazione teleologica, la quale deve giustificare le mutate condizioni (sviluppo tecnologico, ecc) per essere valida – per fare e disfare a piacimento. Retroattivamente!
E, il buon Jaf…pardon, Berlusconi, è un maestro d’interpretazioni “autentiche”.

Nel 2005, Berlusconi si trova alle prese con una delle tante “rogne” che puntualmente scadono perché è sempre occupato dagli affari suoi e non da quelli degli italiani: la vicenda del personale scolastico, transitato nel 2000 dagli Enti Locali allo Stato, viene al pettine. Dopo numerosi ricorsi e sentenze, la Corte di Cassazione sancisce semplicemente che due lavoratori con identico livello e la stessa anzianità di servizio debbano percepire lo stesso salario.
La Corte, interpreta in modo letterale l’art. 8 della legge 124/99:

2. Il personale di ruolo…omissis…dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato n
elle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili…omissis…A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto
[2].

Insomma, il testo è così chiaro che consente l’interpretazione letterale: passi dagli Enti Locali allo Stato (senza licenziamento e riassunzione, chiariamo) e percepirai, di conseguenza, lo stesso salario di un dipendente statale tuo pari grado.
Il che, però, richiede di mettere a bilancio una cifra – quisquilie, al confronto di quel che lo stesso Berlusconi sta letteralmente sprecando, nominando Direttori Generali alla Presidenza del Consiglio delle semplici segretarie, però delle segretarie “a lui care” – e non ci sta. Gli “altri”, quelli che vedono calpestare un loro diritto sancito molti anni prima (quando potevano scegliere se accettare il trasferimento) a Berlusconi non interessano: non sono mica “care” segretarie, sono soltanto carne da cannone.
Fa allora inserire nella Finanziaria per il 2006 un minuscolo comma (218), che è definito di “interpretazione autentica”, con il quale “chiarisce” il significato di quella norma del 1999.
Ecco come Jafarioni interpreta “autenticamente” l’art 8 della Legge 124/99:

Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale, tra quelle indicate nell’allegata tabella B, d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31-12-1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità nonché, per coloro che ne sono provvisti, dall’indennità specifica prevista dall’art. 4, comma 3 del CCNL 16-7-1996 enti locali come modificato dall’art. 28 del CCNL 1-4-1999 enti locali, dall’indennità prevista dall’art. 37, comma 4, del CCNL 6-7-1995 e dall’indennità prevista dall’art. 37, comma 1, lettera d) del medesimo CCNL.
E’ fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge
[3]. [4]

Ci avete capito qualcosa? Della norma originaria è rimasto qualcosa?
Molto semplice: seguendo il “metodo Amato” – il quale ha ammesso che il Trattato di Lisbona è stato scritto volutamente in modo incomprensibile per non essere capito – quelle frasi indecifrabili significano che continuerai a percepire lo stipendio del 1999, senza nessuna comparazione con i pari grado, qualifica ed anzianità dello Stato.
Ridicola poi la disposizione finale, che concede a chi ha avuto una sentenza definitiva di non rientrare nell’applicazione della legge, creando un’ulteriore sperequazione, ma si sa: le interpretazioni “autentiche”, proprio perché tali, sono il frutto di un’intuizione e quindi, se qualcosa non ci sta dentro…oh, insomma, che noia…sono solo per il volgo…
Recentemente, infine, lo scendiletto del capataz – Jago/Sacconi – è riuscito a far passare una norma che sottrae le controversie sul lavoro al giudice naturale, affidandole ad un non meglio identificato “arbitrato”. Del Gran Visir?

La vicenda della scuola, per chi desiderasse prenderne visione [5], è kafkiana (per il centro-destra e per il centro-sinistra): siccome in presenza di sentenze favorevoli quei lavoratori ebbero dallo Stato il dovuto, oggi si trovano a doverlo rendere con gli interessi. Una rapina: alcuni di quei poveri bidelli, dopo una vita di lavoro, sono andati in pensione con 400 euro il mese, poiché devono restituire mensilmente cifre altissime. Lo Stato si premunisce: restituisci in fretta, prima che la “sentenza” dell’aspettativa di vita vada in giudicato.
Vorremmo chiedere dov’è – ad ascoltare certe becere prostrazioni – il difensore dei deboli Tremonti, quello che in campagna elettorale scriveva libri su libri contro la globalizzazione. C’è ancora? Attendiamo nuove pubblicazioni.

A questo punto, Jafarioni si è ripetuto con il “decreto ad listam”, con il quale ha “interpretato” l’art. 9 comma 1 della Legge 17 Febbraio 1968 [6]:

Le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale di cui al primo comma dell’articolo precedente dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione ; a tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20.

Con questa bella innovazione:

Il primo comma dell’articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati può essere provata con ogni mezzo idoneo [7].

Scrivere un simile articolo di legge significa essere semplicemente degli incompetenti, non sapere nemmeno dove s’inizia a scrivere un testo di legge. I delegati “fanno ingresso”: come si può provarlo? “Con ogni mezzo idoneo”.
Cosa significa? Dico al magistrato che Milioni è al bar, ma è passato un momento dal Tribunale? Scatto una foto a Milioni all’interno del Tribunale e vale come prova? E l’ora? Scatto con l’ora sullo sfondo? E come si fa a sapere se la foto è taroccata? E la documentazione che Milioni ha sotto braccio, è la stessa che sarà consegnata?
Non basta ancora aver emanato una legge elettorale per la quale i parlamentari sono tutti “senatori del Re”, ossia nominati dai partiti e non scelti dalla popolazione: con questa norma i candidati si presenteranno “al buio”. Si dirà “parole” per arrestare il processo di formazione delle liste? Cos’è, una partita di poker? Ogni serio commento è superfluo.

La spicciola realtà è che, quando Berlusconi non riesce ad ottenere quel che vuole – proprio come Jafar – non esita ad usare tutti i mezzi a disposizione, anche quelli che la Costituzione limita ai casi eccezionali – come legiferare per Decreto – e li utilizza per la comune normalità, by-passando tutte le strutture di controllo.
Recentemente, il “pentito” avv. Taormina ha dichiarato che, quando Berlusconi lo chiamava perché desiderava che fosse presentata una delle tante leggi ad personam (per salvarlo dall’ennesimo processo) non parlava mai di leggi per la Nazione. Gli chiedeva, semplicemente, di scrivere una norma per lui, perché gli serviva così. E gli italiani? Chi se ne frega!
Se ancora non l’avete letta, prendete visione dell’intervista di Taormina: è illuminante [8].
I risultati, si vedono.

Nei giorni scorsi, l’OCSE ha redatto il consueto rapporto dove tira le orecchie un po’ a tutti: la solita solfa, lavorare di più e guadagnare di meno. Ci sono, però, alcuni passaggi riservati all’Italia che non sono consueti: viene chiaramente esplicitato che l’Italia non sta soffrendo per la crisi internazionale (per qualche aspetto sì, ma di riflesso), bensì per i suoi mali strutturali. Apparato produttivo fatiscente, scarsa intraprendenza d
egli imprenditori, organizzazione del lavoro desueta, ecc.
A tutto questo, i vari governi hanno sempre risposto con ricette vecchie: “flessibilità” (usiamo un eufemismo) per i giovani e spostamento dell’età pensionabile per i più anziani, con l’obiettivo di finanziare il welfare (da fame) con le casse previdenziali.
Tutto l’andazzo è chiaramente a termine poiché, se è vero che c’è pace sociale, è altrettanto vero che la fiducia degli italiani nella vita sta crollando: sempre di più, le persone “tirano a campare” con l’impressione di vivere in una grande galera, dove nessuno t’ascolta e dove non puoi cambiare niente.
Tutto ciò, ha dei pesanti riflessi sul lavoro inteso come progettualità, impegno, dedizione: a parte le sorridenti facce dei politici e del gossip, c’è poca allegria in giro. Se il PIL va sotto zero, il QFN (Quoziente di Felicità Netta) è sotto i piedi: dove si vuole andare con una simile crisi di fiducia? Ci salverà la rinnovella Cassa del Mezzogiorno? Per carità…

Oppure, noi insegnanti dovremmo credere in quel pasticcio inverosimile che sarà la cosiddetta Riforma Gelmini? La riforma partita (un piccolo esempio) con 40 classi di Liceo Musicale e 10 di Coreutico, passata quindi sotto la “forbice” di Tremonti e finita con 10 classi di Musicale ed una (sì! Una in tutta Italia!) di Coreutico? E, questo, doveva essere il fiore all’occhiello della riforma!
Non si potevano, semplicemente, ripristinare le vecchie Scuole Medie ed i Licei interni ai Conservatori, com’era un tempo? Eh no – dice Tremonti – novanta Conservatori in Italia sono troppi! Nemmeno uno per Provincia? Ma miss Gelmini firma e tace, tanto sa d’esser lì per figura.
L’importante è far soldi per non far pagare le tasse agli amici degli amici, per foraggiare ogni sorta di corruzione che trasformi i soldi pubblici in privati sollazzi: escort, G8, Protezione Civile…si perde addirittura il conto.
In un simile panorama, l’istituzione della Presidenza della Repubblica ha dei ruoli? A sentire Napolitano parrebbe essere soltanto un passacarte, ma a leggere la Costituzione così non è.

La figura del Presidente della Repubblica, dopo le ultime vicende, ha perso parecchio “smalto” ed è stato costretto a giustificare il suo operato sul sito Web della Presidenza: non era mai successo, in tutta la storia repubblicana, che un Presidente si giustificasse tramite la stampa.
E’ sbagliato “sparare a zero” sulle istituzioni, ma in un Paese democratico si ha il pieno diritto di criticare tutti, anche il Presidente della Repubblica quando, a nostro avviso, sbaglia. E si ha tutto il diritto di criticarlo a viso aperto, non con l’atteggiamento da sacrestia di Bersani & soci, i quali beffardamente affermano che quella valutazione non può essere data dal “volgo”, ossia da chi è digiuno di Diritto.
Dimenticano che prerogativa del Capo dello Stato è di trattenere un decreto 30 giorni prima di firmarlo, se proprio ritiene di doverlo fare.
Inoltre, i rilievi esposti dal TAR del Lazio [9] sono anche di natura Costituzionale (materia di sua competenza), ed il Presidente non può passar oltre il pronunciamento di un magistrato su un decreto così discusso (e da lui stesso firmato a tempo di record) come se niente fosse.

Ma, in democrazia, criticare non significa fucilare: se Napolitano s’è preso a cuore la vicenda degli italiani che non potevano votare per colpa d’Alfredo Milioni, dovrebbe pure prendersi a cuore quelle di milioni d’italiani che non campano più a causa dei disastri di Silvio Berlusconi.

Ora, chi è sostanzialmente un determinista – ossia pensa che tutto sia deciso nelle ristrette cerchie della finanza internazionale, dalla danza dei “grembiulini”, oppure ritiene che la classe operaia tutto sistemerà – può terminare di leggere qui, e lo salutiamo, perché non troverà nulla d’interessante da qui in avanti.
Chi, invece, ancora crede che l’Italia dovrà in qualche modo uscire dal budello dove s’è cacciata, rifletterà che negli anni (o forse addirittura nei mesi) a venire dovranno per forza avvenire degli importanti rivolgimenti.

La parabola di Silvio Berlusconi è al tramonto, oramai è chiaro: qualcuno ritiene che tutto sia ordito dai vari potentati internazionali – e non la escludiamo come concausa – ma il destino di Berlusconi è semplicemente il karma maturato in tanti anni di sotterfugi e di piccole furbizie, condite con il dolo ed ottenute grazie al suo potere sui media. Una situazione che – ricordiamo, per la contemporanea proprietà delle TV – ha avuto un solo parallelo nel Pianeta: in Thailandia dove, peraltro, se lo sono già tolto di mezzo.
L’abbiamo ascoltato in molti, nell’intercettazione dove chiedeva a Saccà di far lavorare alcune attrici solo per comprarsi qualche senatore e far cadere il governo Prodi: cosa che, con Dini e Mastella, puntualmente avvenne. Non dobbiamo ricordare a nessuno che questa si chiama corruzione o concussione ed attentato alle istituzioni della Repubblica. Ma la Procura di Napoli decise che l’intercettazione non aveva rilievo penale: posso comprarmi un senatore? Anche la moglie? C’è per caso un “prendi tre e paghi due”?

L’uomo, occupato solo a celebrare il suo carisma personale, ha dimenticato che il dovere di un politico è quello di scegliere, di compiere delle azioni che – nelle intenzioni – diano buoni risultati. Si potrà affermare che anche in tempi precedenti siano vissuti corrotti e corruttori, ma erano anche uomini di Stato: ancora oggi, il dibattito su Bettino Craxi verte proprio sulla sua dualità, ovvero essere stato indubbiamente un corrotto, ma con il senso delle istituzioni, vedi Sigonella.
Quel che manca a Silvio Berlusconi – offuscato dal suo delirio personale, esplicitato a chiare lettere dalla ex moglie come “malattia” – è il senso del divenire, della continuità oltre la propria persona. Qui è il dramma: lo stesso demone di Jafar.
Tutta la vicenda delle escort ha in sé il nocciolo del problema: un uomo anziano, che fatica ad accettare la sua caducità, e per rimuoverla si circonda di giovani donzelle facendo finta che siano “amiche”, mentre ben sa che sono soltanto delle prezzolate puttane.
Accecato – come giustamente afferma Veronica Lario – dalla sua malattia, perché tale è questo disturbo della psiche, non riesce nemmeno a comprendere cosa significhi governare un Paese: difatti, a parte le strombazzate mediatiche, non lo sta facendo.

Ora, le istituzioni internazionali possono anche fregarsene dell’Italia, ma se l’Italia dovesse finire come la Grecia non sarebbe possibile nessun salvataggio in extremis: non sarebbe soltanto la débacle del nostro Paese, ma un colpo mortale per l’intera Unione Europea.
Ciascuno di noi avrà le sue idee sull’UE, ma ammetterà che un simile spettro l’UE non può permetterselo.
All’estero ed all’interno, dunque, vi sono forze che ritengono oramai Silvio Berlusconi una iattura, un uomo che servì quando era il momento, e che oggi è semplicemente da buttare.
Ovviamente, questi potentati tramano alle sue spalle – come sta facendo Fini da tempo – ma non possono chiudere la faccenda perché non c’è un’alternativa possibile: non si tratta di miseri numeri parlamentari, bensì di prospettive politiche che mancano, d’idee all’ammasso, di un’etica della politica che è andata completamente perduta. Mancano i giovani che portino idee giovani, nuove prospettive, coraggio: tutto quello che la gerontocrazia al potere non può più dare.

L’Italia avrebbe un gran bisogno di riformare alle fondamenta il proprio sistema amministrativo – nessuno, in Europa, si permette di sovrapporre lo schema tedesco a quello napoleonico, i costi sarebbero astronomici – eppure noi lo facciamo: ad ogni elezione promettono d’abolire le Province, ed oggi ne stanno promuovendo altre 24. Perché?
Poiché la macchina partitica del PdL
e del PD è praticamente la stessa, con differenze di dettaglio: un ristretto gruppo dirigente ed una pletora di parvenu della politica che bisogna mantenere per ricevere voti.
Oramai, l’appoggio elettorale s’ottiene più con le prebende che con le proposte: siamo tornati alle corporazioni del ‘400, con la moderna rivisitazione del lobbismo. Al resto, pensano nani e ballerine delle TV.

Se qualcuno pensa che tutto il mondo sia paese, viaggi un po’ per l’Europa e si renda conto che sì, esiste la corruzione ovunque, ma nessuno ha un Parlamento infarcito di condannati ed inquisiti: alcuni anni or sono, un parlamentare tedesco si dimise sua sponte perché condannato per un grave incidente stradale.
In aggiunta, c’è quel cancro che si stima controlli il 30% dell’economia nazionale – al Sud praticamente tutto – che era tollerabile nell’era pre-globalizzazione, quando l’apparato produttivo del Nord era in grado di far fronte alle mafie, alla corruzione ed all’evasione fiscale.
Oggi, il tutto è troppo.

Qui non stiamo parlando dell’economia di Wall Street, bensì di quella che regge la sopravvivenza di molti italiani: quella della famiglia, che rimane l’unico sicuro welfare sul quale possiamo contare. Negli ultimi vent’anni, la discontinuità di lavoro di molti giovani – causata dalle note riforme liberiste – è stata calmierata dalle maggiori potenzialità economiche dei genitori.
I giovani d’oggi, non solo non riescono ad avere un reddito costante, ma non accumulano quasi nulla sotto il profilo previdenziale. Il fenomeno sta iniziando ad interessare anche le generazioni che attualmente stanno andando in pensione: con l’abbassamento dei coefficienti ed altri trucchi delle tre carte, i futuri pensionati riusciranno a badare appena a loro stessi, che tutto vada bene.
Sta frantumandosi un equilibrio che ha retto per mezzo secolo: in famiglia, bene o male, si riusciva sempre a trovare una soluzione. Domani, la coperta sarà più corta per tutti: non serve andare lontano per rendersene conto, basta osservare quel che accade intorno a noi, nelle nostre famiglie, con giovani precari e cinquantenni che perdono il lavoro.

Questo disastro avviene principalmente per due motivi: l’Italia, a differenza delle altre nazioni europee, non ha curato il settore agricolo. A differenza di Francia e Germania – dove il ricambio generazionale è completo (circa un giovane agricoltore per un anziano) – il rapporto italiano è di sette a uno: ciò significa l’abbandono d’attività generatrici di ricchezza e l’inevitabile inurbamento. Perché è avvenuto?
Per due ragioni: per la completa assenza di pianificazione economica e poi – last but not least – poiché una persona che non ha indipendenza economica è più ricattabile.
Hanno preferito ingombrare le anticamere della politica piuttosto che incrementare la gente nei campi: oggi, con la rete a disposizione per vendere i prodotti, un’agricoltura di qualità potrebbe essere fonte di reddito per tanti.

La seconda ragione è che l’Italia ha drammaticamente perso il treno delle nuove tecnologie energetiche (e non solo): fra le follie nucleari di Jafarioni e l’inettitudine del centro sinistra, non abbiamo creato quasi niente.
A Parigi sistemano turbine Kaplan sotto i ponti della Senna, a Londra con tetti fotovoltaici riescono a far funzionare intere reti di computer, senza parlare dei Paesi di lingua tedesca, che sono al “top” in queste realizzazioni (basta recarsi a Friburgo per capire che è un altro pianeta): in Italia, Sgarbi scatena per misere questioni di bottega la guerra contro gli aerogeneratori, mentre l’ENI non porta nemmeno a termine la prima centrale termodinamica, attesa oramai da lustri, non da anni. In Spagna, costruiscono oramai quelle di seconda generazione.
Quella dell’energia potrà rivelarsi veramente la pietra tombale di questa classe politica, perché essere fuori da quel mercato significa non partecipare, domani, al più esteso settore economico a livello planetario.

La perdita di ricchezza nei settori tradizionali dell’industria non è stata compensata con la ricerca, con l’attuazione di nuove tecnologie e di nuovi approcci ai settori tradizionali: a poco serviranno le “interpretazioni autentiche” quando questi nodi verranno al pettine. Il problema non siamo noi: sono loro, la loro incompiutezza come politici, la loro incompetenza nel governare una Nazione che potrebbe essere ricca, soddisfare le esigenze della popolazione senza queste continue ristrettezze.

Il problema che potrebbe dover affrontare Napolitano (o un suo successore, ma non crediamo a tempi così lunghi) non sarà più il misero dilemma di firmare un pateracchio elettorale: dovrà usare tutti i suoi poteri per ricostruire una classe politica che è maturata nella corruzione e che, alla fine, n’è rimasta strangolata perché ha finito per rimirarla come unico orizzonte.
L’unica soluzione – se ci si pensa un attimo non è poi così strampalata, anzi, sembra quasi l’unica via d’uscita – sarebbe quella d’usare i poteri che la Costituzione gli conferisce all’art. 88 per lo scioglimento delle Camere.
Un Presidente può sciogliere le Camere senza chiedere niente a nessuno: non lo può fare soltanto negli ultimi sei mesi del suo mandato.

Dovrebbe innanzitutto chiedere una riforma elettorale in senso proporzionale puro, senza sbarramenti, poiché sarebbe l’unico modo per scegliere una nuova classe politica. Ma dove, come in Italia al Senato, ci sono sbarramenti all’8 per cento? Che, in un sistema bicamerale perfetto, significa controllare anche l’altro ramo del Parlamento?
Le “buone coscienze” urleranno che si rischierebbe l’ingovernabilità: perché, oggi, qualcuno governa? Ci sono vere risposte ai problemi del lavoro, dell’energia, della scuola, della sanità…eccetera?
Parallelamente, rimuovere tutti gli ostacoli per la presentazione di nuove formazioni politiche: una sorta di “costituente” che non avrebbe il compito di riscrivere la Costituzione, bensì la prassi della politica che è andata smarrita. Le aggregazioni e le inevitabili bocciature, eventuali sbarramenti per non frammentare troppo il quadro, avverrebbero in seguito: la prima istanza dovrebbe essere quella di portare gente nuova, con idee nuove, nel posto dove la politica va discussa, ossia in Parlamento.
In tanti penseranno che nessun Presidente avrà mai quel coraggio: se lo faranno, non avranno compreso il senso di questa analisi.

Non si tratterà più di una scelta, ma di una situazione così incancrenita che non consentirà altro: una sorta di nemesi non procrastinabile, l’ingovernabile necrosi – di fatto – dell’attività politica.
Nessuno dei piccoli partiti che oggi ritengono di portare in Parlamento “aria nuova” riuscirà mai a farlo: i nani politici controllano tutti i media e sono loro a scrivere le regole per la presentazione di nuove liste. In Germania, per presentarsi alle elezioni, bastano 50 firme.
Nonostante tutto ciò, ed anche ai numeri che ancora riescono a radunare intorno ad essi, gli attuali partiti sono cotti e stracotti, senza una rotta da seguire né gente in grado di reggere il timone: le liste che presentano sono infarcite di persone incompetenti e, in larga parte, poco intelligenti (eufemismo).
Potranno ancora tirare a campare per qualche tempo, ma anche governi “tecnici” o simili pateracchi dovranno nutrirsi dall’humus che manca: una classe politica in grado di pensare: trepidiamo, nell’attesa di conoscere i dati sull’assenteismo alle prossime elezioni, poiché si presume che saranno alti. Buon segno.

Il dilemma che si troverà a dover affrontare il Presidente della Repubblica – tramontato ogni “sogno” secessionista, la Lega s’è accomodata nella greppia – sarà quello di una classe politica incartata, come un motore grippato durante una salita.
Quel che sta accadendo non è più la “crisi” di un centro, della destra o della sinistra: qui si va nel mondo reale. Sta andando in fra
ntumi l’ultima certezza degli italiani, ossia che all’interno della famiglia ci siano sufficienti risorse per ripararsi dalle buriane: la generazione degli attuali 50-60enni non potrà mai soccorrere i propri figli come ha fatto la generazione precedente. Queste sono realtà, non fanfaluche.
E, quando le sofferenze passano dal mondo delle idee e dei dibattiti alla realtà quotidiana, nessuno sa come evolverà una società: la “pace sociale”, propalata ai quattro venti, potrebbe finire in un amen.

Speriamo che il Presidente riesca a comprendere l’incedere dei tempi, i gravi rischi ai quali siamo esposti (la voragine del debito pubblico che avanza), che nulla sono rispetto al “Bagaglino” dell’attuale politica.
Se non dovesse comprenderlo per tempo, gli scenari che si spalancherebbero sarebbero davvero molto fumosi: non vorremmo che dovesse prendere simili decisioni sotto la spinta degli eventi. In quel caso, non basterebbe certo scrivere una bella letterina sul sito del Quirinale.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/03/scuola-da-jafar.html
14.03.2010

[1] Vedi:
www.corriere.it

[2] Per chi desiderasse prendere visione della legge 124/99:
http://www.edscuola.it/archivio/norme/leggi/ddl932.html
[3] Approfondimento:
www.flcgil.it
[4] Comma 218: www.flcgil.it (Pdf)

[5] Vedi: http://www.carlobertani.it/la_nazionale_avversaria.htm
[6] Legge 17 Febbraio 1968:
http://www.comune.jesi.an.it/MV/leggi/l108-68.htm
[7] Decreto 5 Marzo 2010: http://gazzette.comune.jesi.an.it/2010/54/1.htm
[8] Intervista all’avv. Taormina:
www.notiziegenova.altervista.org

[9] www.federalismi.it

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

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